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Fragola al cinema: 6 classici per l’estate

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Ed eccoci di nuovo in quel caldissimo periodo dell’anno. Quello in cui possiamo tirare un po’ il fiato, dedicarci alle agognate vacanze e rilassarci con qualche visione casalinga quando il caldo rende insonni oppure semplicemente per il piacere di poter finalmente fare un po’ più tardi senza il timore della sveglia l’indomani mattina. L’anno scorso vi avevo elencato i 10 film a mio parere imperdibili d’estate. Questa volta si scende nel particolare e, dato che di belle storie non se ne ha mai abbastanza, vi propongo una lista dedicata ai classici e a quei film che hanno fatto la storia del cinema, da rivedere e riscoprire da soli o con chi amiamo.




1) Harry ti presento Sally (1990)

Una delle commedie romantiche più amate quest’anno compie 25 anni. E allora una nuova visione è d’obbligo, per rivivere la storia ironica, divertente, romantica e commovente tra Harry e Sally. Conosciutisi durante un viaggio in macchina verso New York, i due protagonisti si rincorrono per quasi vent’anni durante i quali saranno confidenti, amici, amanti, innamorati. In questo film troverete la famosa scena dell’orgasmo simulato da Meg Ryan in una tavola calda, con la ormai celebre battuta finale “Prendo quello che ha preso la signorina”. Il finale, poi, è di quelli a cui non si resiste, con una delle dichiarazioni che tutte abbiamo sognato almeno una volta di ricevere. Kleenex alla mano e via!



2) Il padrino - la saga (1972)

Una di quelle visioni che se non l’avete mai fatta è tempo di rimediare. Una lunghissima saga (Il padrino è diviso in tre film, sebbene il terzo non sia paragonabile allo splendore del primo e, soprattutto, del secondo) che racconta le vicende di Michael Corleone e della sua famiglia, italoamericana e tra le principali famiglie mafiose in America. Un cast da outstanding, da Marlon Brando a Al pacino, da Robert De Niro (che interpreta il giovane Vito Corleone nella seconda pellicola) a Diane Keaton, per la regia di un Francis Ford Coppola ineccepibile, a coronare una saga che è ormai considerata pietra miliare della storia del cinema.



3) Io e Annie (1977)

Woody Allen ci sta sempre bene, anche d’estate. Perché allora non rispolverare uno dei suoi film più belli, una storia che sa essere romantica e piena di commozione nonostante l’umorismo cinico e il pessimismo cosmico che pure tanto amiamo di Allen? Il film segue la storia di Alvy e Annie, dalle origini alla sua conclusione, in uno scorrere continuo di scene dove il dialogo la fa da protagonista, quasi come un flusso di coscienza o una seduta di psicanalisi senza sosta, che si sofferma su temi come l’amore, la vita moderna, la morte. Diane Keaton è adorabile in questo film, Allen una garanzia.



4) Non ci resta che piangere (1984)

Un vero e proprio film culto, il capolavoro di Massimo Troisi con Roberto Benigni. Gag memorabili ed esilaranti ancora adesso, come quella del fiorino alla dogana o quella del “Ricordati che devi morire! Si mo’ me lo segno”. Si racconta che il film non avesse copione e che i due comici abbiano improvvisato per tutto il tempo, generato ilarità e risate in tutto il cast e la troupe che lavorava alla pellicola a Cinecittà. Indimenticabile film e ancora più indimenticabile Troisi.



5) Sabrina (1954)

Audrey Hepburn è divina, sempre. Sabrina è uno dei film che più amo, insieme a Colazione da Tiffany e Vacanze romane, ed è il film che permise alla Hepburn l’ingresso ufficiale nell’Olimpo dorato delle star hollywoodiane dell’epoca. Una commedia romantica dai canoni classici ma irresistibile, come lo era già lo stile di Audrey, non ancora un’icona ma sul trampolino di lancio per diventarlo: fu lei, infatti, a scegliere personalmente alcuni abiti usati poi in scena. L’attrice volò fino a Parigi e lì conobbe lo stilista Givenchy, dalla cui collezione selezionò alcuni tra gli abiti destinati al film, dimostrando fin da subito un gusto e un’eleganza destinate a essere leggendarie.



6) Shining (1980)

Troppo caldo? E allora rinfreschiamoci con un horror d’autore. Un film di culto capace di provocare brividi anche con 40 gradi all’ombra. “All work and no play makes Jack a dull boy” scrive ininterrottamente Jack nello sperduto e inquietante Overlook Hotel e noi non possiamo che esserne d’accordo.



Ovviamente la lista potrebbe essere infinita, ma io mi fermo qui e se volete potete aggiungere voi il film classico che amate rivedere d’estate nei vostri commenti qui sotto.

Non mi resta che augurarvi buona visione!


Recommendation Monday: Consiglia un libro letto un'estate fa

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Buon lunedì! Torna finalmente la mia cara rubrica Recommendation Monday. Questa settimana riciclo un tema che ho utilizzato un paio di anni fa ma che ci sta sempre bene:

CONSIGLIA UN LIBRO LETTO "UN'ESTATE FA"


La scorsa estate non è stata né facile né proficua per le letture, ma perlomeno ciò che letto p stato di qualità. Dato che Stoner ve l'ho già consigliato più e più volte, ho deciso di dedicare questo RM a uno dei miei autori preferiti e a un libro intenso e malinconico, che parla di amore e vita come solo Murakami sa fare. Il libro in questione è A sud del confine, a ovest del sole.


Non sarai solo per sempre. Hajime ha dodici anni quando lo intuisce per la prima volta stringendo la mano di Shimamoto, una compagna di classe. È in quell'istante che scopre che la somma di due solitudini, a volte, dà l'inatteso risultato di un amore piú forte del tempo.
La grazia incantata di questa delicata storia d'amore ha fatto di A sud del confine, a ovest del sole uno dei romanzi piú celebrati di Murakami Haruki, un distillato purissimo della sua poesia.


















Dettagli

    • Titolo: A sud del confine, a ovest del sole
    • Autore: Haruki Murakami
    • Editore: Einaudi
    • Pagine: 216
    • Traduttori: Antonietta Pastore
    • ISBN: 9788806206239
    E il vostro RM qual è? Buona settimana!

    Serie Tv: Mr. Robot, la serie dedicata al mondo degli hacker

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    L’estate sta finendo, le vacanze pure e una nuova stagione seriale è lì per ricominciare. Ma prima di essere sommersi da premiere e nuovi pilot da valutare, mi ritaglio una ultima parentesi estiva per parlarvi di Mr. Robot. Mentre eravamo tutti intenti a parlare male di True Detective e a rimpiangere Rust Cohle, infatti, quest’estate è probabile che vi siate persi una delle sorprese del 2015. Insieme a Halt and Catch Fire (di cui non vi ho mai parlato direttamente in questa sede ma che straconsiglio di recuperare #btw), Mr. Robot è stata una delle visioni più belle di questa stagione. Serie creata da Sam Esmail (noto finora per essere il fidanzato di Emmy Rossum di Shameless), Mr. Robotè partita lo scorso 24 giugno negli States, attualmente inedita in Italia, e vanta già la conferma di una seconda stagione anche se la prima non è ancora giunta a termine. Ambientata nel mondo complesso e ipertecnologico degli hacker, a metà strada tra una mega “nerdata” e il miglior thriller, Mr. Robot vi farà cambiare l’idea che avete sugli “smanettoni” ed entrare in una nuova ed eccitante dimensione dove la realtà non è affatto scontata.


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    Elliot (Rami Malek) è un programmatore della AllSafe, azienda che si occupa di sicurezza informatica, ma conduce una seconda vita e di notte, grazie alle sue formidabili doti di hacker, si trasforma in un giustiziere informatico a caccia di coloro che, secondo la morale di Elliot e il suo senso di ciò che è giusto o sbagliato, commettono crimini contro la società. Le sue doti non passano inosservate e ben presto viene contattato da un misterioso Mr Robot (Christian Slater) che desidera assoldarlo nella sua schiera di hacker per attuare un piano rivoluzionario: rovesciare il sistema e attaccare la E Corp, dal primo episodio in poi chiamata Evil Corp a confermarne la natura maligna e il suo essere un cancro della società (evil significa malvagio, funesto, cattivo), con la quale Elliot ha un conto in sospeso da quando suo padre morì ammalandosi gravemente tra i corridoi dell’azienda. Da questo momento la vita di Elliot, riservata e solitaria anche a causa dei suoi disordini e disfunzioni antisociali che gli impediscono di relazionarsi con il mondo, sarà completamente stravolta, trasformandosi non solo in una corso contro il tempo per far fuori il “nemico”, ma anche in una caccia alla verità che fin da subito appare chiaro essere contorta e non così facile da leggere e interpretare.

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    L’intera storia ci viene raccontata dallo stesso protagonista nel momento esatto in cui le vicende si succedono. Il ragazzo è in terapia e vede regolarmente un’analista e per questo crede di rivolgersi all’ennesimo “amico immaginario”, spettatore silenzioso delle sue avventure. Tuttavia, questo espediente metanarrativo e metatelevisivo permette a noi veri spettatori di entrare fin da subito nella storia, penetrare facilmente la spessa coltre che separa Elliot dalla realtà e sentirci subito parte integrante di ciò che guardiamo sullo schermo, con un effetto di coinvolgimento perfettamente riuscito e totale. Il merito di tale immedesimazione va soprattutto all’interpretazione di Remi Malek, che ci piace e ci convince nei panni dell’hacker asociale e allucinato, confermandosi un attore talentuoso e una delle rivelazioni di quest’anno destinate a dare notizia di sé molto a lungo.

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    Insieme alla indubbia bravura di Malek, convincenti risultano essere anche la storia e l’universo in essa raccontato. Se Halt and Catch Fire ha sdoganato in tv il mondo dei programmatori e dei pionieri della moderna tecnologia e informatica, con Mr Robot scende in campo quello dell’hacking estremo, degli attacchi informatici ai sistemi di sicurezza, e con esso arriva anche l’idea di un mondo dove il controllo è potere e dove ribellarsi a questo stato di cose sembra tanto necessario quanto difficile. Elliot diventa così voce dei pensieri più reconditi di una società che intuisce la presenza di un errore nel sistema ma non sa cosa sia e dove trovarlo. Lui ha le capacità e le risorse per riuscirci, finalmente.


    Se nel primo caso il mondo della tecnologia si trasforma in metafora di un disagio generazione e delle illusioni e aspettative di un’epoca, in Mr. Robot la figura dell’hacker diventa qualcosa di familiare e comprensibile, paladino della società nel quale quasi riconoscersi e per cui fare il tifo, ma tale processo si verifica non certo per semplificazione: la terminologia è specifica e precisa, la metà delle azioni compiute dai personaggi sono per noi comuni mortali incomprensibili o stupefacenti, eppure non c’è nulla che sappia di esagerato, eccessivo, fantascientifico. Ogni azione ha una sua plausibilità e la veridicità con cui Elliot e gli altri personaggi agiscono trasmette un’idea di strategia, riflessione, pianificazione tale da impedire allo spettatore di dubitare che qualcosa sia inventato o finto, in un mondo in cui tutto invece sembra ormai possibile, e allo stesso tempo spinge a intrigarci ed emozionarci di fronte a quello che pare a tutti gli effetti un azzardo reale e per questo quanto mai avvincente.

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    A garantire l’impatto e la forza di tale messaggio ci pensano colonna sonora e resa visiva, entrambe curate e attente ai vari momenti salienti della storia. L’alternanza di sonorità elettroniche con brani più orecchiabili ben si adattano alla natura del protagonista e all’adrenalinica avventura che vive, dagli equilibri delicati e l’andamento schizofrenico, mentre le immagini e la fotografia edulcorata, spesso giallognola che dona un aspetto malsano a chiunque,  in diversi tratti quasi fluorescente come quella resa dai pixel degli schermi, denotano ed evidenziano il carattere disturbante e allucinogeno della serie. La regia, pulita e precisa, solo di tanto in tanto si lascia andare a incursioni visionarie e immagini oniriche, che danno all’intera vicenda contorni distorti e alienanti, accrescendo, però, proprio per questo, l’interesse e l’attenzione per ciò che viene raccontato.

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    A voler cercare un difetto in Mr. Robot, questo possiamo trovarlo nella caratterizzazione dei personaggi secondari. Visti attraverso lo sguardo di Elliot, questi appaiono sfocati e sfuggenti, ma al contempo rivelano tratti che facilmente li catalogano in una categoria più o meno nota di personaggi, come l’amica/eterno amore Angela oppure la hacker Darlene, intelligentissima ma che si rivela come la bad girl con problemi di gestione della rabbia. I cattivi, poi, appaiono fin troppo eccentrici, a partire dal soprannome diabolico dato all’azienda contro cui si batte Elliot, e quasi tutti i personaggi investiti di quel ruolo appaiono quasi voler scardinare quella rete di credibilità e verosimiglianza che la serie con tanta cura cerca di costruire. Eppure, occorre fare attenzione in questa definizione dei caratteri, perché se c’è qualcosa che la vicenda di Elliot ci insegna nel corso degli episodi è proprio che niente è come sembra e che a realtà è pronta a farci ricredere e a ritornare sulle nostre posizioni costantemente. A ogni modo, tra tutti i vari personaggi una menzione spetta a Christian Slater, in spolvero dopo anni di alti e bassi, qui benissimo nella parte di personaggio chiave per la storia personale del protagonista.

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    Piccole pecche a parte, Mr. Robot si rivela una delle serie più interessanti dell’anno, dal grande potenziale e dagli spunti di riflessioni tutti da sviluppare, in grado, con la sua storia distorta e allucinogena, di mostrare al mondo della serialità qualcosa di nuovo e sorprendente. I gusti cambiano e Mr. Robot ne è un segno, assolutamente da non lasciarsi scappare.


    Eh sì, Remi Malek mi piace un botto.

    Fragola legge: La distanza di Colapesce e Baronciani

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    Prima di mettere l’estate in una scatola, mi piace ricordare le vacanze appena trascorse con una lettura piacevole fatta proprio in quei giorni. E’ la seconda volta che parlo di una graphic novel in questo blog, si tratta di un genere che ho scoperto da poco e mi fa molto piacere poter dire che continua a sorprendermi e a conquistarmi. Merito anche di La distanza, il libro a quattro mani del cantante Colapesce e del disegnatore Alessandro Baronciani, pubblicato da Bao Publishing, che porta con sé gli odori e i sapori dell’estate e quella malinconia insita in una stagione che sappiamo libera e dalle infinite possibilità, ma anche sempre troppo breve per viverle tutte.


     
     
     
     
     
    Titolo: La distanza
    Autore: Colapesce – Alessandro Baronciani
    Anno: 2015
    Editore: Bao Publishing
    Pagine: 200
    ISBN 9788865434765
     
     
     



    La distanzaè un fumetto on the road. Il protagonista Nicola vive in Sicilia e sta per partire per Londra per andare a trovare la sua fidanzata di sempre, con la quale ha una relazione a distanza che si fa sempre più complicata. Nicola, però, grande amante della musica ed esperto conoscitore di gruppi e brani ai più sconosciuti, decide di concedersi prima un mini tour della sua amata isola e un festival con i suoi amici di sempre. Sulla sua strada il destino vuole che Nicola conosca due ragazze, Francesca e Charlotte, che lo seguono nella sua avventura. Tre i tre ragazzi si instaurerà una strana relazione, in cui i pensieri, i ricordi e le emozioni li accompagneranno tra scorci e panorami emozionanti, lungo un percorso che si fa sempre più metafora di vita.

    La distanzaè una lettura quanto mai suggestiva, capace di lasciare nel lettore sensazioni in grado di risalire in superficie anche a distanza di giorni e settimane, alla stregua di quelle emozioni estive il cui calore riesci a sentirlo ancora a novembre se ti concentri un po’. Le tavole di Baronciani sono appassionanti, intuitive e senza quella smania al dettaglio ricercato, proprio per questo efficaci e potenti, ammalianti quanto la terra e la storia che i colori e tratti dell’artista vogliono raccontare. Ho particolarmente apprezzato il taglio cinematografico del disegno, una sintesi studiata con cura tra gli stilemi del fumetto e i tempi e le pause dei film, che consente alla storia di prendere fiato e di far sedimentare i dialoghi tra i protagonisti, ma soprattutto quello che non viene detto e che occorre leggere tra sguardi, gesti e silenzi.


    I testi di Colapesce sono semplici ma arrivano dritti al punto, freschi e spontanei, attecchiscono nel lettore dove prendono la forma di pensieri e riflessioni. Al centro di la distanza c’è Nicola ma anche “la distanza” stessa e insieme creano un binomio in cui si concentra l’essenza di questa storia. Nicola è un ragazzo introverso, cinico, ironico, ma amante delle cose belle della vita, come dimostrano l’amore per la musica e per la sua terra. La sua vita rappresenta quella della sua generazione, i trentenni di oggi che appaiono come sospesi in un mondo che non comprendono mai fino in fondo, che preferiscono vivere “distanti” dalla vita per non subirne le inevitabili disillusioni di cui già conoscono le origini e le sorti, persi in quel “futur vacui” di cui parla Nicola nella solitudine di un aeroporto di notte, che rende difficile la realizzazione tanto nella vita adulta quanto nelle relazioni con gli altri – come testimoniano la rottura con la fidanzata storica e il piccolo ménage à trois con Francesca e Charlotte in grado solo di portare ulteriore confusione – una distanza emotiva che appare sempre più difficile da colmare un po’ per rabbia, un po’ per cinismo, un po’ semplicemente per paura. A corroborare l’idea ci pensa la Sicilia, che in La distanza appare schiva, gelosa dei suoi tesori, lontana da ogni rotta e immersa in una dimensione parallela che appartiene solo a lei, proprio per questo estremamente affascinante come una chimera ma anche pericolosa come un sogno che non è destinato a tramutarsi in realtà.

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    Tuttavia, La distanza non è un racconto triste, serioso, introspettivo e strutturato, ma rimane a suo modo leggero e delicato, intimo ma con una sana nota di ironia, profondo ma allo stesso tempo concreto e senza troppe complicazioni né stilistiche né narratoriali. Il suo punto di forza sta proprio in questo, nel suo essere una storia per l’estate, dai colori vividi e i profumi caldi, inebrianti, trasportati via dal vento, dai dialoghi immersi in una atmosfera di sogno e realtà, sospesi tra passato e futuro, quelle riflessioni fluttuanti e tipicamente estive, in cui tutto sembra possibile e che muoiono all’alba sulla spiaggia. La distanza va letto così, come il segno di una stagione che non vorremmo finisse mai (tanto per parafrasare una canzone di qualche anno fa), ma che contiene in sé già tutta la malinconica bellezza di un ricordo di qualcosa che poteva essere ma che non è stato, ormai indelebile nella nostra memoria.

    Serie Tv: il calendario dell’autunno 2015 [Parte 1- il ritorno]

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    E come da tradizione, anche quest’anno è tempo di calendario, ovvero tutti i telefilm da guardare e scoprire durante l’imminente stagione autunnale televisiva. Tra nuove stagioni, grandi ritorni e novità, le prossime settimane saranno il periodo più caotico ma godurioso della mia via di addicted seriale. E a voi che mi fate compagnia in questa “innocente passione”, non posso non dedicare un calendario con le date di inizio di tutte le serie tv che vedremo in autunno, con un focus su quelle più note e che guardo.

    In questo primo post, si parlerà delle nuove stagioni e dei ritorni di quelle serie che abbiamo già imparato ad amare e non vediamo l’ora di rivedere sui nostri schermi. Il prossimo post sarà invece dedicato alle novità. Pronti? Si parte.



    hell yeah

    19 Settembre: Doctor Who - Stagione 9


    Si parte con una delle serie più nerd che seguo. Dopo la scorpacciata dello scorso anno, ho definitivamente abbandonato il mio buon senso e sono divenuta una whovian sfegatata. Quest’anno quindi attendo con impazienza il ritorno del Dottore, il dodicesimo, anche quest’anno interpretato da Peter Capaldi. The Doctor sarà accompagnato nuovamente dalla companion Clara Oswald (Jenna Coleman) e troveremo nuovamente Michele Gomez nei panni di Missy, senza contare la presenza di Maisie Williams, ovvero Arya di Game of Thrones, nell’episodio The Magician Aprentice. Le storie di quest’anno si faranno più articolate e sarà possibile imbattersi in episodi doppi e doppiamente gustosi. La chicca finale? Hello sweetie! Ebbene sì, River Song tornerà sul Tardis a fianco del Dottore per o speciale natalizio. E speriamo che Moffat non ci rovini il regalo sotto l’albero!


    20 Settembre: Downton Abbey – Stagione 6


    Restiamo in terra britannica per una premiére che sa già di nostalgia. Perché la sesta stagione di Downton Abbey sarà anche l’ultima. Si tratta di un epilogo ampiamente annunciato, Julian Fellowes ne parlava già lo scorso anno, nonché piuttosto prevedibile per una serie che racconta un’epoca che, per gli anni ornai raggiunti, sta per tramontare. Una stagione di chiusura che naturalmente saprà essere all’altezza della serie e dei fan di DA. Gli intrallazzi di Lady Mary saranno ancora al centro delle vicende narrate, a pare che Matthew riuscirà ad avere la meglio sui vari pretendenti. Intanto Edith prosegue la sua vita di donna in carriera a capo del quotidiano per il quale una volta scriveva, forte ormai della vicinanza con la sua figlioletta ormai parte integrante della famiglia. E ai piani bassi cosa accade? Dopo anni di reciproca compagnia, Carson e Mrs Hughes progettano le nozze e noi siamo tutti più tranquilli pensando che anche il vecchio Carson  troverà una sua sistemazione quando “The Abbey” chiuderà le sue porte definitivamente. Sigh.



    21 Settembre: Gotham – Stagione 2


    Quest’autunno torna an che la serie dedicata alle origini di Batman e dei suoi amici e nemici. La prima stagione di Gotham ha avuto i suoi alti e bassi, con un inizio scoppiettante, un intermezzo che ha fatto temere la trasformazione della serie in un banale procedural con un tocco fumettistico, per poi riprendersi dalla seconda metà fino al finale con l’entrata in scena di personaggi interessanti e per l’evoluzione e gli sviluppi della storia e dei personaggi presenti fin dall’inizio, che si fanno decisamente più controversi e decisamente più intriganti. E se il primo ciclo di episodi si è concentrato soprattutto su Gotham e sulle figure di Jim Gordon e del Pinguino, il trailer della seconda stagione mostra chiaramente che l’attenzione si sposterà tutta sul giovane Joker, interpretato da quel caro ragazzo di Cameron Monaghan (c he abbiamo imparato ad amare in Shameless), mostrandoci la sua trasformazione del giovane Jerome nel più grande e temibile nemico del futuro Batman.

     




    21 Settembre: The Big Bang Theory – Stagione 9


    The Big Bang Theory non mi fa ridere più come un tempo da ormai diverse stagioni. Eppure, lungo il corso dell’anno, non riesco a non seguirlo qui e là. La nuova stagione si concentrerà sul finale di quella passata, in cui Amy chiede a Sheldon una pausa di riflessione mentre lui ha appena comprato un anello per lei, dedicandosi alla figura di Amy che sarà a vera protagonista dei primi episodi. La coppia Shamy tornerà insieme? Lo scopriremo nei prossimi mesi. intanto però, sta girando questo trailer per la premiére del 21 in cui Leonard e Penny sembrano convolare a nozze… e direi anche finalmente perché glie eterni fidanzatini alla lunga stancano. Ma sarà vero?


    24 settembre: Grey’s Anatomy – Stagione 12


    A settembre riaprono le porte anche del Seattle Grey. E già siamo in fibrillazione per scoprire cosa Shonda ci vorrà riservare quest’anno. Si tratta della prima stagione senza Derek Shepher e l’arrivo di un nuovo sostituto ribalterà ancora una volta gli equilibri dei nostri dottori preferiti. Non sappiamo ancora quale sarà il ruolo del nuovo dottore e come questo coinvolgerà Meredith, quello che è sicuro è che sarà difficile dimenticare Derek. Quello si prospetta è un ritorno alle origini e ad atmosfere più leggere rispetto alle stagioni passate, ma con Shonda non si può mai sapere quindi incrociamo le dita.


    27 Settembre: Once Upon a Time – Stagione 5


    La quinta magica stagione di OUAT è in arrivo e le novità non mancheranno di certo. La nuova season sarà sicuramente incentrata su Emma e la sua trasformazione in Dark Swan e su come l’oscurità cambierà le sorti egli abitanti di Storybrooke. E mentre Snow e Charming si riveleranno inutili come al solito, il povero e fichissimo Hook cercherà di tenere la sua fidanzata dalla parte dei buoni, ma senza successo. Infine, non mancheranno grandi ritorni e nuove entrate: dopo essere uscita dal cast nella terza stagione, Ruby alias Cappuccetto Rosso tornerà a Storybrooke; inoltre, appariranno personaggi come Merida di Brave e Merlino, l’unico in grado di scacciare l’oscurità dal cuore della Salvatrice. Prossima destinazione Camelot!


    27 settembre: Brooklyn Nine Nine – Stagione 3


    Il dipartimento più pazzo di New York torna anche quest’anno con le sue divertenti avventure. Lo scorso maggio la serie ci ha lasciato con il trasferimento di Holt al reparto PR, ma la sua presenza nei poster promozionali della terza stagione sembrano voler confermare la sua presenza nel distretto. E poi, tra Peralta e Amy come andrà a finire? Una delle comedy più fortunate e divertenti degli ultimi anni in Italia è ancora inedita e questo particolare comincia ad apparire quasi insensato. Nell’attesa che qualcuno rinsavisca e la riproponga doppiata anche sui canali nostrani, prepariamoci a ridere con i nuovi episodi in arrivo.


    27 settembre: The Last Man on Earth – Stagione 2


    La prima stagione è terminata solo a maggio, ma Fox ha deciso che la serie ha superato il test di prova, premiandola con il ritorno della seconda stagione. La comicità paradossale e le gag demenziali della serie ci hanno conquistato durante il primo ciclo di episodi, merito soprattutto del protagonista Phil e della “sua dolce metà” Carol, e ora siamo curiosi di sapere dove i due novelli sposini sono diretti, dopo aver lasciato Tucson e gli altri superstiti. Inoltre, tutta da scoprire è la sorte del fratello di Phil: rimarrà intrappolato nello spazio o riuscirà a tornare sulla Terra? Di certo sarà divertente vedere i due fratelli in azione e possiamo aspettarci un po’ di rivalità tra i due. Finiranno per contendersi l’amore di Carol? Io spero soprattutto di continuare a ridere anche questo autunno.


    01 Ottobre: The Blacklist – Stagione 3


    James Spader fa il suo ritorno per la terza volta nell’autunno televisivo. The Blacklist si prepara a una terza stagione che, ad avviso del suo show runner, sarà molto più dinamica e “fuorilegge” delle precedenti. Abbiamo lasciato Red e Liz in fuga mentre la task force della CIA per cui ha lavorato per due anni viene completamente smantellata in seguito alla scoperta di molti segreti scomodi che riguardano la vita di Liz e dello stessi Reddington. Nella nuova stagione, vedremo nuove dinamiche tra i personaggi e una caccia ai due da pare della CIA che sarà un po’ il fil rouge della prima parte degli episodi di quest’anno. Prepariamoci, finalmente dopo stagioni piuttosto altalenanti e fin troppo “procedural”, a vedere qualcosa di diverso.



    04 Ottobre: The Leftovers – Stagione 2

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    In arrivo anche l’attesissima seconda stagione di The Leftovers. Il teaser dello scorso giugno ci aveva già anticipato un cambio di scenario, spostando la storia da Mapletown a una cittadina del Texas, l’unica dove nessuna persona è scomparsa. Molti personaggi della prima stagione, inoltre, verranno rimpiazzati da un nuovo cast, eccetto per i protagonisti come Kevin e Nora, trasferitisi dove si sentono più al sicuro. Tuttavia questa positività durerà poco e gli incubi e le inquietudini della prima stagione torneranno a tormentare Kevin e soci, mentre un ritorno scuotera nuovamente gli animi di tutti.



    04 Ottobre: The Affair – Stagione 2


    Anche The Affair torna questo autunno con la seconda stagione, nonostante in Italia continuate a infischiarvene (e fate male). Seguendo sempre le due prospettive di Lui e Lei, The Affair avrà una virata molto più vicina al thriller che al genere sentimentale che ‘ha resa famosa lo scorso anno, Cercheremo di scoprire che ne sarà di Noah e Allison e rivedremo Joshua Jackson che fa sempre piacere.



    04 Ottobre: Homeland – Stagione 5


    Carrie è pronta a tornare e anche quest’anno si metterà in pericolo, in barba al desiderio di una vita più tranquilla. Nuovo cambio di scena,  siamo in Germania dove una Carrie più dimessa e sulla difensiva lavora per un’agenzia privata che si occupa di sicurezza. Per lei, però, non c’è mai pace e il pericolo questa volta sembra provenire dall’amico di un tempo Saul, che nel trailer l’accusa di ingenuità e la costringe con le spalle al muro. Ci penserà Peter Quinn a tirarla fuori dai guai? Non possiamo dirlo con certezza, dato che il personaggio apparirà solo nei primi episodi e sul finale di stagione. Dopo Brody, siamo destinati a un nuovo grande addio? E da sola, Claire Danes, per quanto bravissima, potrà continuare a reggere la storia ancora per molto? Lo scopriremo presto.



    06 Ottobre: The Flash – Stagione 2


    Che fine ha fatto The Flash? Lo sapremo presto con la seconda stagione della serie dedicata all’eroe più veloce che c’è. Tante novità, come un nuovo amore (ciao Iris), nuovi avversari e un nuovo Flash (dal passato e parecchio belloccio), nuovi mondi che si incrociano (per complicare già le idee poco chiare di noi poveri spettatori) e nuovi poteri da usare sui super cattivi, ma anche ritorni come Cisco e Caitlin e persino il Reverse Flash che sembrava morto ma a ben pensarci non è proprio così. Curiosi?


    07 Ottobre: Arrow – Stagione 4


    A proposito di supereroi. La terza stagione di Arrow era terminata con Oliver e Felicity diretti verso lidi più felici. Ma le vacanze sono ormai finite e anche per Freccia Verde è ora di tornare alla lotta contro i cattivi. Molte le novità, a partire dai nuovi costumi fichissimi (ce n’è anche uno per Dig, finalmente) e un nuovo rifugio sempre più tecnologico e futuristico. Speedy entrerà ufficialmente nel team Arrow, e tra i vari nemici della stagione troveremo ancora Malcom Merlyn, divenuto il nuovo Ras al Ghul e tornato a essere pericoloso come un tempo. E Olicity? La coppia dovrà affrontare nuovamente la realtà e la loro vita di coppia si alternerà con quella da vigilante di Olly con accanto il valido aiuto di Felicity, per la serie “casa e bottega”. Infine, non mancherà la resurrezione dell’anno, con una rediviva Sara nelle vesti di White Canary. Siamo pronti?


    07 Ottobre: American Horror Story Hotel – Stagione 5


    American Horror Story Hotel sta per aprire le porte ai suoi fan e come sempre la curiosità è tanta, forse ancora di più del solito. Quest’anno, infatti, a destare l’attenzione di noi spettatori è soprattutto l’arrivo nel cast di Lady Gaga, nei panni della proprietaria dell’hotel sfondo degli incubi e degli orrori che vedremo quest’anno. Dopo il saluto di Jessica Lange con la quarta stagione (anche se si rumoreggia che la Suprema Lange tornerà il prossimo anno) la serie mancava di un personaggio forte e capace di concentrare su di sé le file delle vicende narrate. Le aspettative quindi sono molto alte, non solo per Gaga ma anche per tutti i protagonisti, dalla sempre brava Sarah Paulson a Matt Bomer e Chloe Sevigny, che mi auguro tanto sappiamo farci rabbrividire di gusto.


    07 Ottobre: Supernatural – Stagione 11


    Supernatural ha ufficialmente compiuto dieci anni (in questi giorni il debutto nel 2005), eppure Dean e Sam riescono ancora a fare breccia nel nostro cuore. Nella scorsa stagione abbiamo assistito a un capovolgimento dei ruoli e i fratelli Winchester si sono rivelati essere non solo nemici di se stessi ma anche i veri antagonisti della serie. Il trailer girato sul web negli ultimi giorni ce li mostra in difficoltà: Sam imprigionato e torturato, Castiel è completamente nelle grinfie di Rowena, Crowley appare confuso e infine Dean sembra ritrovarsi nuovamente con il peso del mondo sulle spalle. Una stagione che si preannuncia più dark che mai.



    12 Ottobre: Fargo – Stagione 2


    Acclamatissima lo scorso anno, Fargo torna con la seconda stagione questo autunno. Serie antologica, Fargo cambia ambientazione, epoca e protagonisti: siamo nel 1979 a Luverne (Minnesota) e i nuovi personaggi hanno i volti di Jess Plemons, Kirsten Dunst, Ted Danson e Patrick Wilson. Ed e Peggy Blomquist restano coinvolti in una storia criminale in cui è anche coinvolta la famiglia mafiosa dei Gerhardt: il caso viene affidato allo sceriffo Hank Larsson e al suo giovane agente Lou Solverson.




    16 Ottobre: The Knick – Stagione 2


    Riparte The Knick e l’ospedale più avveniristico del ventesimo secolo. La serie prodotta da Steven Soderbergh avrà ancora Clive Owen come protagonista, nei panni dell’arrogante e geniale dottor Thackery, e sarà ambientata tra New York e San Francisco. Di più non si sa, il plot è ancora avvolto nel mistero ma sappiamo che The Knick saprà conquistarci con le sue ricostruzioni e le ambientazioni curate ed estremamente affascinanti.


    Inoltre, non mancheranno all’appello: Castle (21/09), Modern Family (23/09), Scandal (24/09), How to get away with murder (24/09), Agents of Shield (29/09), Bones (01/10), Sleepy Hollow (01/10), The Good Wife (04/10), The Vampire Diaries (08/10), The Walking Dead (11/10)

    Alla prossima, con le novità dell’autunno!

    SERIE TV: IL CALENDARIO DELL’AUTUNNO 2015 [PARTE 2 - Le Novità]

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    Secondo post, come promesso. Dopo il calendario di tutti i ritorni e le nuove stagioni delle serie che amiamo di più, questa volta ci dedichiamo alle novità dell’autunno 2015. Tanta carne al fuoco e non sarà facile destreggiarsi tra pilot più o meno riusciti, ma la stagione si preannuncia molto interessante e decisamente calda. Allacciate le cinture che si parte!
    (Piccola precisazione: le date si riferiscono alle première negli Stati Uniti. Per molte di queste serie la data di uscita italiana è ancora da decidersi.)


    21 Settembre: Minority Report



    La serie si ispira la film del 2012 di Steven Spielberg con Tom Cruise ed è ambientata nel 2065, dieci anni dopo gli avvenimenti raccontati nel film. Siamo a Washington, il mondo ha abbandonato i metodi della polizia che abbiamo conosciuto e il dipartimento precrimine, che sfruttava le premonizioni dei precogs, capaci di predire i futuri omicidi, è ormai smantellato da anni. Il protagonista Dash, naturalmente ancora in grado di avere visioni del futuro, decide di intervenire per evitare una serie di sanguinosi omicidi e inizia a collaborare con il detective Lara Vega. le sue premonizioni, però, sono frammentarie e confuse, poiché Dash condivide le sue doti con il fratello Arthur con il quale non si parla da tempo. Al netto della trama, i punti di forza della serie paiono essere i protagonisti e le dinamiche che si instaureranno tra loro, nonché l’ambientazione fantascientifica e gli effetti speciali usati senza remore.

    Perché vederla: se siete fan della fantascienza e se il mix con il crime vi fa ben sperare in qualcosa di più rispetto al solito
    Perché non vederla: la trama non è delle più originali e il rischio è quello di imbattersi in una lunga serie di episodi molto procedural


    21 Settembre: Blindspot

    Blindspot: First look

    La nuova serie della NBC è una delle più attese di questa stagione. Ideata da Greg Berlanti, già sceneggiatore e produttore di Arrow, The Flash e Supergirl, Blindspot racconta la storia di una misteriosa donna (Jaimie Alexander), chiamata Jane Doe dagli agenti del FBI, la quale viene trovata dentro una borsa a Times Square, nuda e completamente coperta di tatuaggi. Tra i vari segni sulla pelle compare anche il nome di Kurt Weller (Sullivan Stapleton), un agente del FBI, che subito inizierà a collaborare con la sconosciuta per indagare sulla sua identità e la sua storia. La serie è un crime che punta sia sulla complessità dei rapporti tra i personaggi e l’atmosfera di mistero e intrigo che avvolge l’intera vicenda, ma potrebbe catturare l’attenzione dello spettatore anche grazie all’aurea fantasy che tanto la storia quanto la resa visiva e sonora suggeriscono. Le potenzialità ci sono, insomma, per diventare una hit del prossimo autunno.

    Perché vederla: perché Blindspot si preannuncia una serie ricca di mistero, suspense e azione e per la bella protagonista
    Perché non vederla: il rischio dei crime/thriller di NBC è che la partenza sia una bomba ma che poi la serie si perda per strada come è capitato con The Blacklist, per citare una serie della stessa emittente e sullo stesso filone di Blindspot


    21 Settembre: Life in pieces


    CBS sforna una nuova comedy per la prossima stagione, con protagonisti Colin Hanks e Zoe Lister Joens. Lo show racconta le vicissitudini della famiglia Short attraverso le singole storie dei suoi membri. E mentre i vari padri, figli e nipoti vivono le loro (dis)avventure quotidiane, tutti provano a trarre dagli eventi vissuti il sapore vero della vita e a godersi quei frammenti di tempo che volano via ma restano indelebili.

    Perché vederla: se vi piacciono le storie familiari ad alto tasso di Happy Ending
    Perché non vederla: perché non siamo di fronte a un nuovo Modern Family e il buonismo che si legge fin dalla sinossi potrebbe finire per neutralizzare le possibili virtù della serie


    22 Settembre: Scream Queens


    Serie Eventone dell’autunno 2015, la nuova serie di Ryan Murphy, già padre di serie di successo come American Horror Story e Glee. In Scream Queens, Murphy concentra e mescola gli elementi e i generi che ama di più: l’'horror, la comedy e le turbolenze post-teenageriali. Le protagoniste della serie sono studentesse di college alle prese con un misterioso serial killer che semina il terrore nel campus e i nomi del cast è un tripudio di giovani dive molto amate dal pubblico come Lea Michele (Glee), Emma Roberts (AHS), la pop star Ariana Grande, cappeggiate tutte da una Jaime Lee Curtis in gran spolvero, che deve proprio all’horror buona parte della sua fama. Un cast d’eccezione per quello che si annuncia come un successo dei prossimi mesi.

    Perché vederla: con tutti i motivi che vi ho dato sopra, vi sembra il caso di perdervi il primo episodio?
    Perché non vederla: non saprei, se proprio odiate Murphy e tutte le sue serie allora è il caso di starne alla larga… ma ne siete proprio sicuri?



    22 Settembre: Limitless


    Farsi ispirare da film di successo degli anni passati sembra essere il trend di stagione. Limitless è tratta dall’omonimo film con protagonista Bradley Cooper e si propone come sequel della pellicola. Il bel Bradley non solo è produttore della serie ma parteciperà al pilot come guest star, in una sorta di passaggio di staffetta al protagonista della serie, Brian Finch (Jake McDorman) a cui viene affidata dal politico Edward Mora (Bradley Cooper) una potente droga, la NZT, che amplia le capacità del cervello umano. Grazie alla possibilità di usare ogni singola cellula del suo cervello, Brian viene costretto dal FBI a usare le sue straordinarie abilità cognitive per risolvere dei complessi casi per loro. La serie pare avrà un tono più vicino alla comedy che all’action e non si escludono altri incroci con il film, inclusa la possibile partecipazione di De Niro.

    Perché vederla: il film non era affatto male e la serie ha le premesse giuste per doppiarne il successo
    Perché non vederla: a parte il rischio “procedural”, la storia di per sé non è originale e il protagonista rischia di ricalcare le vicende già vissute da Cooper nel film, con un effetto déjà vu poco piacevole.


    23 Settembre: Rosewood


    Nel palinsesto televisivo dell’autunno sembra ci sia spazio per un nuovo medical drama. La serie racconta la storia del Dr. Beaumont Rosewood Jr. (Morris Chestnut), il migliore patologo privato di Miami, proprietario di uno dei più sofisticati laboratori indipendenti dell'intero Paese, conosciuto per la sua capacità di notare i più piccoli dettagli di un corpo, particolari che gli altri solitamente non riescono scoprire. L'uomo, che nonostante sia circondato dalla morte ama assaporare la vita ogni momento, collabora con una cinica detective che non può fare altro che ammettere che le sue tecniche sono all'avanguardia e molto efficaci.

    Perché vederla: per il confronto/scontro tra i due protagonisti agli antipodi, che può aggiungere qualcosa in più alla trama e alle vicende che si racconteranno di volta in volta
    Perché non vederla: per l’altissima probabilità che ogni episodio sia autoconclusivo e poi, a dir la verità, di dottori ci bastano quelli di GA.


    24 Settembre: Heroes Reborn


    Heroes ha avuto la strana capacità di diventare una specie di cult televisivo con una prima stagione che ancora ricordo con affetto ed esaltazione, per poi scivolare nel baratro di una sceneggiatura scritta male e incasinata e di tre stagioni tutt’altro che interessanti. Eppure il ricordo di quella sensazionale prima stagione è rimasto nitido nella mente dei fan e ha spinto i produttori a realizzare un sequele e reboot che finalmente arriva in onda questo autunno. Tra i personaggi della serie originaria, ritroveremo Noah Bennett (Jack Coleman), Matt Parkman (Greg Grunberg) e soprattutto il beniamino di tutti Hiro Nakamura (Masi Oka); per il resto, il cast è totalmente nuovo, con Zachary Levi (Chuck) tra i protagonisti.

    Perché vederla: perché Heroes ci aveva regalato qualcosa  e sarebbe poter recuperare quell’attimo apparentemente andato
    Perché non vederla: perché potrebbe rivelarsi l’ennesima trovata commerciale di ridestare l’attenzione su un fenomeno del passato senza, erò, avere alcuna consistenza al di là della spinta mediatica


    24 Settembre: The Player


    Serie ambientata nel mondo del gioco azzardo, The Player racconta le vicende di un ex militare operativo divenuto un esperto di sicurezza, Alex Cane (Philip Whinchester) che prende parte a un gioco estremamente rischioso dove un’organizzazione di individui ricchi, cappeggiati dal misterioso Mr Johnson (Wesley Snipes) scommette sulla sua capacità di fermare alcuni dei più grandi crimini immaginati.

    Perché vederla: l’atmosfera da thriller rende tutto molto interessante e c’è curiosità nel capire come il protagonista riesca a fermare i crimini e quale sia il suo obiettivo finale
    Perché non vederla: se non amate il genere e le ambientazioni Las Vegas Style ci sono buone probabilità che la serie non vi prenda


    27 Settembre: Blood & Oil


    Con Dallas ha in comune Don Johnson e il petrolio. E la tendenza, a leggere la trama, a trasformarsi a tratti in una soap opera. La serie è incentrata sulla storia vera del boom petrolifero avvenuto a partire dall’inizio del 2006 nel North Dakota, e il rischio di investimento che ha portato a fondo parecchi imprenditori. I protagonisti sono una coppia, Billy e Cody Lefever (Chace Crawford e Rebecca Rittenhouse), che sognano di iniziare una nuova vita in quell’area.

    Perché vederla: perché siete dei nostalgici e vi piacciono le storie di rivincita e conquista. E poi c’è quello gnoccolone di Chace
    Perché non vederla: ho detto soap opera qualche riga fa. E ho detto tutto.


    27 Settembre: Quantico


    Una via di mezzo tra Grey’s Anatomy e Homeland, così è stata definita la nuova serie in onda su ABC. La serie racconta la storia di un gruppo di reclute a Quantico, il centro di addestramento dell’FBI. Sono i migliori, i più brillanti, accuratamente selezionati, ma uno di loro è sospettato di aver progettato il più grande attacco terroristico a New York dall’11 settembre.

    Perché vederla: il traile sembra piuttosto avvincente e c’è la componente intrigo che potrebbe tenere alta l’attenzione
    Perché non vederla: perché gli inciuci del Seattle Grey ci bastano e avanzo per tutto l’anno


    29 Settembre: Grandfathered


    Nuova comedy per Fox con protagonista John Stamos. La storia è quella di Jimmy, uno scapolone incallito che un giorno si scopre di essere non solo padre, ma addirittura nonno! La sua vita sarà naturalmente sconvolta da questa improvvisa genitorialità e dalle disavventure del figlio Gerald, un esperto di tecnologia disoccupato con una figlia di due anni, nata dal rapporto di una sola notte. Se la caverà Jimmy nel nuovo ruolo di nonno?

    Perché vederla: nonostante continui a ricordarmi “Due uomini e mezzo” (anche se Jimmy ha una nipotina ed è il nonno e non lo zio), la figura di Jimmy e l’intera serie promette di non essere troppo buonista e di riuscire a regalare diverse risate
    Perché non vederla: se non siete fan delle comedy e vi sembra ci siano troppe famiglie nel palinsesto televisivo di quest’anno


    29 Settembre: The Grinder



    Rob Lowe ha la classica faccia da paraculo: bello e dal sorriso che convince, ma occhio a fidarsi troppo. Sarà per questo che per la nuova serie Fox gli hanno affidato il ruolo di Dean Sanderson, un famoso avvocato televisivo che, quando chiudono il suo programma, ritorna nella sua città natale per prendere in consegna lo studio legale di famiglia. C’è però un problema, ovvero che Dean non è un vero avvocato, a differenza di suo fratello con il quale si ritroverà a lavorare fianco a fianco, scoprendo di formare insieme e nonostante le diversità, una copia formidabile.

    Perché vederla: perché Rob Lowe potrebbe essere la garanzia che stavamo aspettando
    Perché non vederla: se non siete fan delle comedy e se Rob Lowe non vi dice nulla, ma proprio nulla


    30 Settembre: Code Black



    Il “code black” negli ospedali americani non indica solo emergenza, ma anche mancanza di risorse. Ci troviamo, quindi, di fronte all’ennesimo medical drama, molto vicino a E.R. per impostazione. Siamo a Los Angeles, nel più famoso e trafficato pronto soccorso della città, dove lo staff della struttura combatte tutti i giorni contro i limiti della burocrazia, per poter curare i pazienti al meglio. 

    Perché vederla: Perché c’è voglia di un nuovo ospedale dove i drammi personali dei medici non rubino totalmente la scena sulle singole storie
    Perché non vederla: perché c’è di mezzo un ospedale, un gruppo di medici e un’emergenza continua. Già visto? Può darsi.


    E poi? The Last Kingdom (10/10 nuova serie a sfondo storica ambientata nell’Inghilterra del nono secolo); Crazy Ex-Girlfriend (12/10 commey musicale su una ragazza alla riconquista del suo ex); Supergirl (26/10 serie dedicata al personaggio della DC Comics); Wicked City (27/10); Ash vs. Evil Dead (31/10, seguito televisivo della saga La Casa); Jessica Jones (20/11, dedicata all’eroina della Marvel con quella che fu la mitica bi*** Kristen Ritter).

    Direi che siamo pronti. Ci aspetta un autunno intenso e probabilmente toccherà dire addio alla propria vita sociale, ma sono sicura che ne varrà la pena. Segnate date e titoli sul calendario e prepariamoci per la “calda” stagione in arrivo.
    Buona visione!

    Emmy Awards 2015: vincitori e vinti e red carpet

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    Anche quest’anno non potevamo perderci la 67^ edizione degli Emmy Awards, con tutto quello che comporta seguire una lunga e articolata serata come questa. La cosa più bella per un addicted come me è vedere i propri beniamini mentre sfilano, ridono, applaudono, vincono e perdono in un contesto così diverso da quello in cui siamo abituati a vederli. Ci si affeziona un po’ e non si può fare a meno di fare il tifo per l’uno o l’altro ed entusiasmarsi per i premi o lamentarsi perché non ha vinto il tuo attore o la tua serie preferita. Come ogni cerimonia del genere, la serata condotta da Andy Samberg ha avuto i suoi alti e bassi e allora facciamo un riepilogo dei momenti salienti senza farci mancare qualche considerazione su stile, trucco e parrucco degli invitati alla serata.


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    Partiamo dall’inizio. L’apertura di Andy Samberg è stata qualcosa di meraviglioso oltre che un tributo a tutti noi poveri telefilm addicted che organizziamo la nostra vita in base a episodi e stagioni televisive e sappiamo snocciolare a memoria il cast di almeno tre serie attualmente in onda senza neanche tirar fiato. Al gioco hanno partecipato alcuni dei volti più amati come John Hamm, Kerry Washington, Tina Fay, Bob Odenkirk e molti altri. Non c’era modo migliore per dare inizio agli Emmys.


    La serata è proseguita con un premio dietro l’altro. Questo è stato sicuramente l’anno di Olive Kitteridge, la mini serie HBO che si è portata a casa ben sei premi, tra cui il premio come Miglior Miniserie, Miglior Attrice protagonista e Attore protagonista, andati a Frances McDormand e Richard Jenkins, Miglior Attore non protagonista a Bill Murray (che era assente perché si trovava al matrimonio del figlio), facendomi venire  una gran voglia di riprendere a vedere la serie che ho abbandonato per motivi che ora mi appaiono assolutamente irrilevanti.

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    Ma gli Emmys 2015 saranno ricordati soprattutto per i premi vinti da Game of Thrones, che dopo 5 nomination finalmente vince il preeio come Miglior Serie Drammatica. A pensarci bene, il premio sembra più dovuto che meritato, specialmente se paragoniamo la quinta stagione alle precedenti, molto più forti  qualitativamente migliori, e l’unica cosa che non mi fa gridare allo scandalo è la vittoria di Peter Dinklage come Miglior Attore non protagonista in una serie drammatica, che ci sta sempre bene.

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    Sono molto soddisfatta, invece, del premio come Miglior Attore di una serie drammatica a Jon Hamm, il mitico Don Draper di Mad Men, una serie che ci ha fatto sognare per anni, che avrebbe dovuto vincere di più e che so già mi mancherà da matti. Molto bene anche il premio come Miglior Attrice non protagonista in una serie drama a Uzo Aduba, la Crazy Eyes di Orange is the New Black, che si è commossa a un punto tale da far scendere qualche lacrimuccia anche a me.

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    Il premio come Miglior Attrice protagonista in una serie drama, invece, è andato a Viola Davis di How I Get Away with Murder, infrangendo il mio sogno di vedere premiata la bravissima Tatiana Maslany di Orphan Black. Tuttavia, si è trattato di un bel momento, in cui la Davis ha parlato a nome delle attrici di colore e delle difficoltà maggiori che queste incontrano rispetto alle altre attrici, dedicando a loro il premio vinto.

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    Per la categoria comedy, vince Veep come serie migliore e Julia Louise-Dreyfus come Miglior Attrice protagonista, mentre Jeffrey Tambor si porta a casa il premio come Miglior Attore protagonista grazie alla sua parte in Transparent.

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    Al di là de premi, tra i momenti più belli della serata ci sono di sicuro gli auguri al ciccione malefico G.R.R. Martin, Amy Poehler che affronta l’ansia da premio con una sua versione “zero sbatta” in occhiali da sole e felpa e il tributo a Mad Men di Andy Samberg. Per il resto, gli Emmys sono trascorsi come da copione, in un’edizione con poche sorprese e qualche delusione. È lo showbiz baby.


    Per concludere, non può mancare il mio personalissimo Red Carpet con i miei premi ai protagonisti della serata.

    Best dressed

    Devo dire che questi Emmys 2015 in quanto a stile hanno lasciato un po’ a desiderare. Nessun abito mi ha emozionato particolarmente così come nessuno stile mi ha fatto diventare davanti allo schermo “Wow!”. Ma d’altronde questi non sono gli Oscar e per l’artiglieria pesante c’è sempre tempo. Al netto di ciò, mi sento di premiare la reginetta dell’horror seriale Emma Roberts, davvero molto elegante nel suo Jenny Packham.

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    Best Style

    Tanta eleganza anche per Lady Gaga, che dopo averci abituati ad anni di look eccentrici questa volta ci stupisce con un look sobrio e discreto ma che comunque non passa inosservato. Sul red carpet sfoggia una raffinata creazione di Brandon Maxwell e un caschetto biondo platino dal fascino senza tempo. Non ci resta che vederla in azione ai American Horror Story Hotel.

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    Da menzionare anche gli slicked bob di Jaimie Alexander e Sarah Paulson, davvero molto glam.

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    Miss Lamè

    Luminosa come non mai Kerry Washington, che per la serata sfoggia un abito sfavillante di Marc Jacobs con uno spacco di tutto rispetto.

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    “Ma come ti vesti?” Award

    Da lei non ce lo aspettavamo, eppure Heidi Klum nella notte degli Emmys si è aggiudicata il premio di peggio vestita. Il suo abito giallo canarino Versace ha convinto poco e l’unica cosa che è riuscita a trarla in salvo è la sua indubbia bellezza.

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    Lascia qualche perplessità anche il look di Laura Prepon, con quel bolerino a metà strada tra un torero e la strega cattiva. Decisamente troppo.

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    Mr Sexy

    Chiudiamo con la consueta sagra dell’ormone. Quest’anno a trionfare su tutta la categoria c’è solo lui, Jon Hamm, che non solo si porta a casa il premio come miglior attore ma anche quello di uomo più sexy degli Emmys. Tutte “mad” di Jon!

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    Fragola legge: A pesca nelle pozze più profonde di Paolo Cognetti

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    Un lungo dialogo tra autore e lettore, una riflessione attenta e appassionata sulla letteratura del racconto e sui suoi principali protagonisti, una dichiarazione d’amore alla scrittura e, non ultima, alla lettura. A pesca nelle pozze più profonde di Paolo Cognettiè un libro destinato a fare breccia nei cuori di chi vi si accosta, di chi sfoglia le sue pagine e vi trova echi di letture passate, illuminazioni di ciò che era rimasto in sospeso, spunti di riflessione e titoli e autori tutti da scoprire. E infine è un ritorno a un personaggio molto amato e a un mondo, quello del Cognetti scrittore, in cui immergersi è sempre un piacere.


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     A pesca nelle pozze più profonde

    Autore: Paolo Cognetti
    Anno: 2015
    Editore: Minimum Fax
    Pagine: 130
    ISBN 9788875215941






    “A un certo punto del mio apprendistato mi misi in testa che, se volevo diventare un bravo scrittore di racconti, dovevo imparare a pescare.”
    In A Pesca nelle pozze più profonde, Cognetti ci accompagna lungo le sue considerazioni sugli scrittori che ama e che in qualche modo hanno segnato e influenzato il suo modo di essere scrittore, allo stesso invitandoci a una meditazione sui processi di lettura e di scrittura che ci contraddistinguono e ci legano ai libri che amiamo. Sulle sue pagine prendono vita le storie di autori come Hemingway, Carver, Munro, Salinger e molti altri mentre si susseguono tematiche e argomenti ricorrenti nel corso della storia del racconto, che ci permettono di guardarlo dall’interno, di misurarlo, di capire (o almeno provarci) un genere letterario quasi sempre considerato minore ma che invece rivela profondità inaspettate e spesso superiori al romanzo.
    “Non è che ogni racconto scritto sia un problema risolto, […] ma è almeno uno studio del problema, un tempo speso a riflettere e interrogarsi”
    “Il racconto è un punto di domanda. Il romanzo ha l’ambizione di rispondere, di contenere tutto […] costruendo per noi una casa in cui abitare: alla fine chiuderemo a porta su un luogo che ci ha accolti per un po’ di tempo e che conosciamo bene. Il racconto è piuttosto una finestra sulla casa di qualcun altro.”
    Ogni aspetto del genere viene messo in evidenza e raccontato, attraverso splendide metafore come quella della pesca, che ritroviamo nel titolo, o della finestra o della casa, elementi che identificano e rendono intellegibili le potenzialità che il racconto possiede. Il discorso prende forma e acquisisce voci: non solo quella di Cognetti, a metà strada tra colui che conosce la materia e il neofita che si appassiona pagina dopo pagina, ma anche quella dei suoi autori preferiti, che vengono chiamati in causa per esemplificare, chiarire concetti ed espressioni, nonché per emozionare e creare suggestioni, creare quella biblioteca tra l’ideale e l’indispensabile per coloro che vogliono apprezzare il racconto nelle sue molteplici sfumature. Ecco allora Carver parlare del racconto come “something glimpsed”, qualcosa di intravisto, una finestra che dà sulla casa di qualcun altro; Hemingway fare della memoria raccontata la mappa del nostro stare al mondo e l’origine della nostra provenienza; Foster Wallace parlare di incontro e di solitudine e di come il racconto e la scrittura siano l’antidoto e il mezzo perché il confronto dell’autore con se stesso sia possibile.
    “Un antidoto contro la solitudine – era così he David Foster Wallace definiva la scrittura. Un racconto non è solo la stria di un incontro: è un incontro esso stesso”
    Ogni capitolo di A pesca nelle pozze più profondeè un’immersione non solo nelle riflessioni dell’autore, ma in mondi diversi e unici, un viaggio articolato ed emozionante nelle vite, nei vizi, nelle abitudini e nelle paure dei loro personaggi. Se li conosci, scoprirai aspetti nuovi e del tutto inaspettati, particolari che erano sfuggiti durante la lettura o che ti appariranno sotto una luce del tutto nuova. Se non li conosci, avrai una gran voglia di conoscerli tutti al più presto.
    “Per cominciare a mettere una parola dopo l’altra, seguirle e vedere dove ti portano, devi essere capace di fartene meravigliare”
    Tra gli autori presenti, Cognetti non dimentica due scrittrici che di sicuro hanno qualcosa da dire sull’argomento e dedica loro alcuni dei passi più belli del suo libro. Da un parte troviamo Alice Munro che, attraverso uno dei suoi racconti più noti, “Quello che si ricorda”, ci mostra come il racconto sia esplorazione, conquista e scoperta di un processo che altri non è che la scrittura, custode di segreti che solo la lettura sa rivelare, affermazione del principio per cui “scrivere non è costruire una casa: è visitarla, abitarci dentro”. Dall’altra c’è Grace Paley, che sosteneva di avere cose più importanti da fare e così poco tempo per dedicarsi all’arte che è invece lunga, una delle figura meno conosciute e più interessanti di cui Cognetti ci racconta. Una scrittrice donna, figlia di immigrati, cresciuta nella condizione di chi solitamente viene messo a tacere e che proprio per questo, ben coscia di avere  invece una voce da far valere, nelle sue tre raccolte di racconta trasforma la scrittura nell’atto di prendere parola e dare voce a chi ha qualcosa da dire e non riesce mai a dirla, ma soprattutto rende il racconto quell’orecchio predisposto ad ascoltare queste voci e a riportare tutto su carta. “Ascoltare è responsabilità dello scrittore” diceva ed è così che la Paley nei suoi racconti si fa portavoce di personaggi spesso costretti al silenzio, consapevole che sono le nostre storie e chi le ascolta a certificare la nostra esistenza e identità. Non è un caso, allora, che le sue siano soprattutto protagoniste donne: “Scrivere di donne è un atto polittico, diceva. Ascoltare chi non viene ascoltato da nessuno: ecco cos’è politico”.

    Dopo aver parlato degli autori che hanno segnato la sua scrittura e il suo modo di stare al mondo e averci ispirato lungo un percorso ricco di stimoli e spunti per comprendere meglio la vita, la scrittura e l’arte tutt’altro che semplice di scrivere racconti, Cognetti dedica la terza e ultima parte del libro alla sua di arte e a quel personaggio a cui deve la sua fortuna e che lui, ancor prima dei suoi lettori, non può smettere di amare. Nel presentare i cinque racconti inediti incentrati su Sofia (protagonista di Sofia di veste sempre di nero) Cognetti sembra quasi mettere a nudo il suo animo di scrittore e quello che per lui rappresenta Sofia, l’amore per l’America che entrambi condividono e che ben si è manifestato nei capitoli precedenti, nonché una certa idea di racconto, ormai chiara anche a noi lettori, come poesia, voce, finestra, orecchio, contenitore, identità che dà il senso ultimo e globale al suo pensiero, alla sua arte e e al racconto in genere. Inutile dire che incontrare ancora Sofia è un piacere dolceamaro, un regalo inaspettato e gradito, la perfetta incoronazione di un libro da amare senza condizioni.

    È sempre difficile parlare di un libro che lascia il segno e finiamo per amare: sembra sempre che manchino le parole o di non trovare mai quelle giuste. Perché questo accade con A pesca nelle pozze più profonde, un viaggio di formazione, letteraria e non solo, suggestivo e ricco di sorprese, un libro che traccia in modo inconfondibile coloro che ne intraprendono la lettura, un titolo che dovrebbe essere presente in tutte le librerie di lettori e aspiranti scrittori, per poterlo sfogliare e leggere e sottolineare ancora e ancora. E allora smetto di cercare parole e ci metto un punto qui, ché davvero non c’è più bisogno di alcuna presentazione, ma solo del desiderio di andare a pesca con Cognetti per riconquistare “la potenza e la bellezza perdute”.

    Recommendation Monday: Consiglia una Graphic Novel

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    Buon lunedì gente! Questa settimana dedico il Recommendation Monday a un particolare genere:

    CONSIGLIA UNA GRAPHIC NOVEL


    Quello della graphic novelè un genere a cui mi sono avvicinata tardivamente e fa pochissimo, un anno e poco più. Ed è un peccato perché non avevo idea di cosa mi stavo perdendo e solo ora capisco quanta perplessità il genere ancora raccolga tra i lettori, specie quelli meno vicini al mondo delle illustrazioni o del fumetto. Il consiglio allora si fa più generale e diventa un invito a lasciarsi andare e provare qualcosa di diverso. Potreste capire di avere di fronte a voi un nuovo amore o potrebbe essere un buco nell'acqua, ma ci avrete comunque provato e finalmente potrete parlarne con cognizione di causa. E per voi curiosi, indecisi tra il rimanere nella vostra comfort zone o decidervi nel tentativo, il mio consiglio è legato all'autore che per me ha rappresentato non solo il ritorno al fumetto, ma anche l'apripista al mondo delle graphic novel. Impossibile non amarlo nelle sue strisce pubblicate qui e là su varie riviste e magazine, nonché sul suo mitico blog, Michele Reich in arte Zerocalcare mi ha piacevolmente sorpreso e fatto innamorare con il suo libro uscito lo scorso anno, di cui vi ho già parlato qui e che vi ripropongo perché non si sa mai. Il RM di oggi è Dimentica il mio nome.



    Quando l'ultimo pezzo della sua infanzia se ne va, Zerocalcare scopre cose sulla propria famiglia che non aveva mai neanche lontanamente sospettato. Diviso tra il rassicurante torpore dell'innocenza giovanile e l'incapacità di sfuggire al controllo sempre più opprimente della società, dovrà capire da dove viene veramente, prima di rendersi conto di dove sta andando. 
    A metà tra fatti realmente accaduti e invenzione, Dimentica il mio nome è un piccolo gioiello narrativo, la conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di un talento puro e innegabile.




    DETTAGLI

    • Titolo: Dimentica il mio nome
    • Autore: Zerocalcare
    • Editore: Bao Publishing
    • Pagine: 240
    • ISBN:  9788865432549


    E il vostro Recommendation Monday qual è? Buona settimana a tutti!


    BOOK WISHLIST INSPIRATION BOARD: Amedeo, je t’aime di Francesca Diotallevi

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    Nuovo appuntamento dopo una lunga pausa con Book Wishlist Inspiration Board. La board di oggi la dedico a un libro e a una scrittrice speciale, che ho avuto di conoscere anni fa tramite proprio questo blog e di cui ho avuto la fortuna di seguire il suo straordinario percorso. Solo un paio di anni fa Francesca Diotallevi mi faceva l’onore di essere tra i primi a leggere e recensire il suo libro di esordio, Le stanze buie, un libro molto bello in cui era evidente il talento e il potenziale dell’autrice. Nel frattempo Francesca si è lanciata in una nuova avventura letteraria e a settembre è stato pubblicato da Mondadori Electa il suo nuovo romanzo, dedicato a un artista dalla vita controversa e geniale ma soprattutto alla sua amata Jeanne, compagna e musa ispiratrice, e al loro amore capace di andare otre la morte. Il libro in questione è Amedeo, je t’aime.


    La casa editrice dice:


    diotallevi_libroParigi, 1917. Jeanne Hébuterne ha solo diciannove anni quando, a una festa di Carnevale, incontra il pittore Amedeo Modigliani. Soprannominato Maudit, maledetto, Modigliani è conosciuto nel quartiere di Montparnasse per lo stile di vita dissoluto e il carattere impetuoso, oltre che per i malinconici ritratti dagli occhi privi di pupille che nessuno vuole comprare. Lei, timida aspirante pittrice con le ali tarpate da una rigida famiglia cattolica, non può fare a meno di sentirsi finalmente attratta da quest'uomo bello e povero, che sembra vivere di sogni apparentemente irrealizzabili e affoga dolori e frustrazioni nell'alcol e nella droga. Per lui lascia ogni cosa, mettendo da parte le proprie aspirazioni, e si trasforma in una compagna fedele e devota, pronta a seguirlo ovunque, come un'ombra, anche oltre la soglia del nulla. Struggente e tormentata, la loro storia scardinerà ogni convenzione, indifferente a regole e tabù, lasciandosi guidare dall'unica legge a cui non ci si può sottrarre: quella del cuore. Amore e morte si mescolano, in questo romanzo, alla passione che anima il cuore di un artista, al desiderio di riuscire ad afferrare una scintilla di infinito.


    ***********************

    Ho scoperto la storia di Jeanne Hébuterne e del suo amore con Amedeo Modigliani solo recentemente, grazie a una mostra dedicata all’artista qualche mese fa, e fin da subito ho pensato al loro come a uno di quegli amori maledetti: bellissimi, intensi, capaci di regalare agli amanti passioni mai provate fino ad allora e un legame indissolubile, impossibile da spezzare. Ma si tratta spesso anche di amori molto malinconici e tristi, per non dire addirittura disperati e culminanti in vere tragedie, come la stessa storia di Jeanne testimonia. Ho sempre pensato a questo tipo d’amore con un misto di timore reverenziali, diffidenza e ammirazione. Arrivare a provare una tale intensità di emozioni è per me un segno di grande coraggio, qualcosa che non tutti saremmo in grado di fare, ma al contempo rappresenta un annientamento totale della propria persona per fonderla in un unico organismo dotato di due cuori che tentano disperatamente di battere all’unisono… Non fa paura anche a voi?
    Sono quindi molto felice che sia Francesca a raccontare una storia del genere, la sua sensibilità di scrittrice è probabilmente la più adatta a mettere su carta passioni e sentimenti così complessi e difficili da esprimere. Nell’attesa di leggere il romanzo e trovare una qualche conferma alle mie parole, il libro protagonista di oggi mi ha ispirato una cartolina di Parigi, sfondo incantatore e travolgente di questa storia d’amore, completando il tutto con uno dei tanti dipinti in cui Modigliani ritrasse la sua musa, la dimostrazione più tangibile del suo amore per lei, e con la loro promessa di matrimonio, una promessa di unione e devozione che sfida la morte e l’oblio.

    wishlist-book-board-inspiration_7

    Titolo: Amedeo, je t’aime| Autore: Francesca Diotallevi| Editore: Mondadori Electa |
    Anno: 2015 | Pagine: 252 | ISBN: 978889180538

    Serie TV: i 5 migliori episodi di Halloween di sempre

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    Manca pochissimo alla notte delle streghe e anche qui su Una Fragola al Giorno non vogliamo farci cogliere impreparati. Per festeggiare insieme Halloween e magari dedicarsi una serata a tema, ho deciso di stilare una personale lista dei 5 migliori episodi di Halloween tra i miei telefilm preferiti. La scelta non è stata semplice, ma l'impresa si è rivelata molto divertente. Happy Halloween!



    1. American Horror Story 1x03-04

    Iniziamo con la serie horror per eccellenza. La prima stagione di American Horror Story, ambientata nella casa infestata, faceva davvero paura e ci aveva letteralmente conquistato. Da brividi furono anche i due episodi dedicati alla notte di Halloween, dove la storia prese pieghe interessanti: tornano i vecchi proprietari, Violet viene circondata da inquietanti adolescenti che le fanno vedere sotto una nuova luce Tate, scopriamo la vera storia del ragazzo e Addie muore tragicamente, infine, compare il terribile uomo in tutina di lattice nero. Tanta roba, per uno special di Halloween e una stagione che entrano di merito tra le cose migliori viste negli ultimi anni.


    2. How I Met Your Mother 1x06

    Una delle storie più amate da Ted Mosbyè sicuramente quella legata ad Halloween e la Zucca Supersexy, ovvero la ragazza conosciuta al famoso e imperdibile party in terrazza, di cui Ted finisce per perdere il numero di telefono e da quel momento finirà per vestirsi sempre con lo stesso costume (ovvero da scheda elettorale) nell’attesa che la ragazza compaia alla festa e lo riconosca. La storia rappresenta tutto ciò che per Ted è l’amore, un sentimento così puro che può solo ispirare poesia e magia, e segna il registro di quello che vedremo per i prossimi anni di HIMYM. Al punto che la zucca ritorna, nella settima stagione, in uno di quei magici e divertenti ricorsi tipici della serie, grazie ai quali ci siamo tanto affezionati ai suoi protagonisti e alle loro vicende. Di tanto in tanto, Ted mi manca un bel po’.

    halloween-himym

    3. The Big Bang Theory 1x06

    La prima stagione di TBBT ha sdoganato il fenomeno nerd rendendolo per la prima volta divertente e più vicino a noi. Merito anche di trovate e soluzioni argute e all’epoca del tutto nuove he ci hanno permesso di rotolarci dalle risate per tutto l’anno. Come quella dell’episodio di Halloween, dove i nostri fantastici quattro si presentano alla festa di Penny con costumi che urlano il loro status a gran voce: Leonard è Frodo, Howard veste come Robin Hood/Peter Pan, Raj è nei panni di Thor con tanto di parrucca bionda e martello e, infine, Sheldon mostra quello che forse è il più bel costume di Halloween di sempre: l’Effetto Doppler, travestimento che nessuno comprenderà per tutta la durata dell’episodio e che costrinse tutti noi “non addetti” a consultare Wikipedia per capire di cosa si trattasse. Adorabile.


    4. Community 2x06

    Premessa: tutti gli episodi a tema di Community sono da vedere e rivedere e non potranno stancare mai. Dalle battaglie di paintball alle situazioni pseudo-distopiche, Community ha saputo regalarci, di stagione in stagione, storie sempre più imprevedibili e una serialità intelligente, capace di fare ironia con alte dosi di surrealismo e dare qualcosa di nuovo e mai visto in tv. non è stato facile, quindi, scegliere, ma alla fine mi sono decisa per l’episodio di Halloween della seconda stagione, in cui tutti combattono contro l’epidemia zombie che ha invaso il Greendale, c’è quella bellissima scena del gatto “insane” e Troy e Abed hanno i loro bellissimi costumi ispirati a Alien. Come si fa a non amarli.


    (sì lo so, la scena è tratta dalla terza stagione ma adoro Pelton!)

    5. Glee 2x05

    Seguire le prime stagioni di Glee è stato un gran piacere, soprattutto quando gli episodi avevano un filo conduttore ed erano dei veri e propri special dedicati a particolari temi, pellicole e musical. Così quando il Glee Club ha deciso di mettere in scena il Rocky Horror Picture Show per Halloween, qui è partita la ola. Uno dei momenti migliori della serie.


    Buona visione e felice spaventoso Halloween a tutti!

    Le 7 migliori serie tv del 2015

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    Prima che finisca l’anno mi pare una buona idea tornare con un’ultima piccola classifica. Nel 2015 il mondo delle serie TV ci ha riservato diverse sorprese e nuovi prodotti davvero interessanti e meritevoli non solo di essere ricordati, ma anche della nostra attenzione ancora per il prossimo anno e le stagioni successive. Nell’attesa di un anno nuovo che troverà sicuramente il modo di stimolare ancora di più a nostra dipendenza seriale, e visto che non mi facevo vedere da un po’, ecco allora non la solita cinquina ma una lista festiva con le 7 migliori Serie TV del 2015.


    1) Daredevil

    Sarà che adoro i supereroi dall’animo combattuto e il vissuto sofferto, che fanno dei loro “doni” uno strumento di espiazione per non si sa bene quale colpa e hanno tutta la a comprensione della masochista e amante delle paturnie gratuite che è in me, ma la serie di supereroi che più mi ha convinto ed esaltato in questo 2015 è stata sicuramente quella dedicata al diavolo rosso. L’approccio poco fumettistico e un maggiore spessore narrativo, frutto di una maggiore attenzione nella sceneggiatura e nella scelta di un cast (Charlie Cox fantastico) capace di reggere il gioco della serie hanno reso Daredevil una delle serie più godibili di quest’anno, confermando a sempre più gente di come Netflix sia sempre più attento alle evoluzioni delle produzioni e dei gusti del pubblico in continuo cambiamento. Ve ne avevo già parlato in termini entusiastici quindi se ve la siete persa tocca recuperare.


    2) Mr Robot

    Una delle cose più belle, se non la più bella, viste quest’estate. Un programmatore geniale e con evidenti disfunzioni sociali, una misteriosa organizzazione di hacker con unico obiettivo quello di sovvertire il sistema distruggendo la più grande corporate al mondo, una serie di personaggi ambigui e quanto mai strambi e una ricerca della verità sempre più incomprensibile. Mr Robot è la serie sul mondo degli hacker a metà tra un trip allucinogeno e un affresco del mondo in cui viviamo quanto mai realistico. Remi Malek perfetto nella parte dell’asociale e dotato hacker, si conferma come una delle rivelazioni di quest’anno. Insomma, come detto anche mesi fa, ci piace lui, ci piace Mr Robot, ci piace persino Christian Slater che vuol dire che questa serie è proprio una figata.


    3) Narcos

    “Plata o plomo?” state of mind. La vita di Pablo Escobar raccontata in una serie che non lascia niente al caso e tratteggia in maniera attenta e accurata, senza nascondere gli orrori e la violenza della vita del re del narcotraffico, la figura di uno dei più grandi criminali della storia. Narcos è una serie intensa, ogni episodio è un’immersione totale nella storia di un Paese come la Colombia, strettamente intrecciata a quella dell’uomo che detterà le leggi del narcotraffico per tutti gli anni tra ‘70 e ‘80 e che con le sue azioni ne determinerà l’andamento politico, economico e sociale, ma anche nelle vite degli uomini che ne sono coinvolti. Accanto a Wagner Maura, che interpreta il boss della droga, appaiono Pedro Pascal e Boyd Holbrook, nei panni degli agenti federali impegnati nella cattura di Escobar, in una caccia al criminale ad alta tensione che lascia spazio al confronto e alla riflessione sulla figura di Escobar, criminale spietato ma anche uomo con le sue debolezze e miserie. Narcos è una serie tosta e e diversa da ogni altra serie dedicata al mondo del crimine, qualcosa che non avete visto e che è tempo di vedere. Netflix colpisce ancora nel segno.


    4) Jessica Jones

    Una delle ultime serie evento del 2015: ancora supereroi, ancora Marvel, ancora Netflix. Jessica Jones racconta la storia di un’eroina sconosciuta ai più, ma che sembra già essere destinata a diventare uno dei personaggi più apprezzati dagli amanti di serie tv. La sua vicenda si inserisce all’interno di quel microcosmo di supereroi che operano nel quartiere newyorkese di Hell’s Kitchen, dove solo qualche mese fa abbiamo fatto conoscenza di Daredevil. In Jessica Jones vengono in effetti riprese atmosfere e colori, come le modalità narrative, rispettando il disegno originario della Marvel di creare una mappatura dei suoi personaggi in una sorta di mitologia sui supereroi. Il risultato è una serie dal grande potenziale, che sa coinvolgere non solo con un eroe non convenzionale ma anche per ciò che la circonda, in special modo un nemico, Killgrave, che fin dal primo episodio sa creare inquietudine e terrorizzare davvero lo spettatore, trattandosi di un manipolatore della mente (e scusate se è poco). David Tennantè sempre un gran figo e sempre bravissimo; Krysten Ritter convince con la sua bellezza poco canonica ma pienamente espressiva, perfetta per un eroina contorta e ambigua come Jessica. Ancora non conoscete Jessica Jones? Male, molto male.


    5) Sense8

    I fratelli Wachowski ci accompagnano in un viaggio adrenalinico attraverso le storie di 8 personaggi, legati tra loro da un incredibile destino, in un intreccio di voci e avventure in cui è un gran piacere perdersi. Riprendendo l’idea già presente nel loro precedente film Cloud Atlas per cui tutti gli esseri umani sono connessi tra loro tramite il filo invisibile e imprevedibile del destino, i due registi riescono a trovare negli stilemi della serialità televisiva il margine d’azione giusto per poter dare un raggio più ampio alla lor riflessione. I personaggi di Sense8, umani dotati di superpoteri che permettono loro di condividere sensazioni, emozioni, pensieri, ricordi, sapere con gli altri del gruppo, sono mondi intriganti e pieni di fascino, a cui è impossibile non affezionarsi. Un tripudio di colori suoni e azioni, grazie anche a una fotografia ricercata, una narrazione in vena di sperimentazione a una colonna sonora quanto mai adatta a ogni momento raccontato. Alcune pecche a livello di intreccio e dei cali narrativi e i dialoghi sono piuttosto evidenti, ma questo non pregiudica il giudizio più che positivo per questa prima stagione.


    6) Man Seeking Woman

    La comedy più bella, insolita, assurda e geniale dell’anno. Perdersela dovrebbe essere illegale. Le relazioni umane e la “favolosa” vita dei single vengono raccontate attraverso situazioni surreali e strampalate, costellate di troll svedesi, donne aliene, appuntamenti con robot, incontri imbarazzanti e situazioni ancora più tendenti al degenero, con un protagonista che è l’apoteosi dell’antieroe e nelle cui sfortune e miserie è impossibile non riconoscersi almeno un po’. Come già detto in precedenza, Man Seeking Woman potrebbe essere il parto di un folle o di un genio, quello dell’umorista Simon Rich, autore anche del libro da cui la serie è tratta. Una riflessione comica e irriverente sul mondo dei rapporti interpersonali che prende prestiti da più generi per creare uno stile assolutamente unico e inimitabile, una serie dalle tonalità indie che fa ridere e pure tanto.A me piace un botto. La seconda stagione è in arrivo, ci mettiamo in pari?



    7) Mozart in the Jungle

    In realtà si tratta di una serie del 2014 ma in Italia è stata distribuita a partire dal febbraio di quest’anno e di conseguenza la inserisco tra le serie migliori del 2015. L’ambiente irriverente, eccentrico, snob della musica classica viene raccontato attraverso questa serie ambientata dietro le quinte della Filarmornica di New York e in particolare attraverso i due protagonisti, una giovane clarinettista e il nuovo direttore d’orchestra interpretato dal sempre fascinoso Gael Garcia Bernal. Anche in questo caso siamo in piena scena indie e come ci si può aspettare si tratta di un prodotto dalle aspettative ambiziose e  dalla scrittura attenta a mantenere uno stato di freschezza e innovazione nel mondo della narrazione seriale. Il risultato è un prodotto ironico, divertente, creativo per certi versi, con dei momenti esaltanti e che danno l’idea di qualcosa finalmente di diverso e in un certo qual modo ricercato. Anche Amazon sa darci soddisfazioni (e ce l’aveva già dimostrato con Transparent).



    Siamo giunti alla fine di questa classifica. Non mi resta che augurarci un nuovo anno ricco di belle storie, da vedere e vivere. Sperando di essere più presente in questo spazio dal prossimo mese e per i successivi undici… buon 2016 a tutti!!!


    Fragola al cinema: The Hateful Eight

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    Sul mio profilo Facebook ho dichiarato di essermi addormentata a un certo punto durante la visione di The Hateful Eight, il nuovo attesissimo film di Quentin Tarantino, e ho creduto bastasse a dare un’idea di ciò che pensavo del film. Come tutte le volte in cui agisco d’istinto, però, il giorno dopo mi sono ritrovata a ricredermi e a considerare assolutamente insufficienti 20 minuti di dormiveglia in un cinema pienissimo e con una settimana di lavoro faticosa alla spalle per giudicare l’ultimo lavoro di uno dei registi che amo di più. E allora proviamo a ragionarci su e a capire cosa ci è piaciuto e cosa no di The Hateful Eight.






    Titolo: The Hateful Eight
    Regia: Quentin Tarantino
    Anno: 2015
    Paese: USA
    Cast: Kurt Russell, Samuel L. Jackson,
    Tim Roth, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Michael Madsen






    La storia per farla breve è quella del cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell) e della bandita Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), in viaggio verso Red Rock dove Ruth si aspetta di poter intascare una taglia di 10.000 dollari per la consegna di Daisy. Lungo la strada incontrano due uomini: il maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), ex soldato dell’Unione ormai anche lui famoso cacciatore di taglie, e Chris Mannix (Walton Goggins), soldato rinnegato del sud che sostiene di essere diretto a Red Rock per essere nominato sceriffo della città. I quattro, in compagnia del cocchiere O.B., giungono alla Locanda di Minnie per ripararsi da una terribile tempesta di neve, ma nella locanda non troveranno la proprietaria bensì quattro sconosciuti che sembrano nascondere qualcosa, innescando immediatamente rivalità e scontri sempre più violenti che porteranno a galla, infine, tutta la verità sui personaggi coinvolti.



    La prima parola che mi viene in mente pensando a The Hateful Eightè “staticità”, non necessariamente con un’accezione negativa. Il nuovo film di Tarantino dura tre ore che scorrono lente, molto lente, in due luoghi precisi: l’interno della diligenza che sta portando Ruth e soci verso Red Rock e, successivamente, la locanda di Minnie dove si concentra quasi tutta l’azione. L’intera situazione ricorda un po’ un libro di Agatha Christie, il delitto che avviene in una stanza chiusa e il mistero circoscritto tra un numero molto ristretto di personaggi, e con una tale struttura le dinamiche non fanno che privilegiare un dialogo dal flusso continuo e quasi interrotto, durante il quale i personaggi si presentano, mostrano i legami e le relazioni che li accompagnano, svelano inganni e mettono in evidenza incongruenze e ambiguità. Quasi tutte le prime due ore del film scorrono così e non mi vergogno ad ammettere che è proprio a questo punto che mi sono addormentata. Gli spiegoni non entusiasmano nessuno e per un Samuel L. Jackson in splendida forma (come sempre quando diretto da Quentin), che riesce a strappare qualche risata più di una volta, ci sono una serie di attori bravissimi (si vedano Russel e Tim Roth) ma che non arrivano mai a toccare l’apice. Il risultato è una lunga serie di dialoghi, frammentati qui e là da qualche pistolettata e altri gesti di violenza gratuita e deliberata –  nonché scene volutamente forti come quella della fellatio che Warren racconta al vecchio colonello prima che i due passino alle pistole –  che perdono di mordente di minuto in minuto e che finiscono per non essere più un aiuto allo spettatore per comprendere le dinamiche tra i personaggi e i retroscena delle loro storie, ma un focolare d’ansia verso quello che si spera prima o poi succeda e sul quale ci sono grandi aspettative. E poi infine accade. E dal giallo si passa all’horror più splatter.



    La parte più elettrizzante di The Hateful Eightè un accavallarsi di scene sanguinolente, un spirale di violenza davanti alla quale si rimane inorriditi eppure piacevolmente meravigliati, dove non ci sono vincitori e vinti, ma dove ognuno è al contempo cacciatore e preda, in uno scontro senza alcuna regola se non quella di far fuori l’altro prima che l’altro faccia fuori te, dal quale non si salverà nessuno. Tutto quello che si vedrà da questo momento in poi godrà di un estetica quasi teatrale e volutamente fumettosa, dove niente è lasciato al caso (una cura nella realizzazione che ancora una volta dimostra l’animo da appassionato di Tarantino prima ancora di quello da regista) e dove la gioca da padrone una fotografia eccellente,  morbida e fluida, perfetta nell’inquadratura e nella focalizzazione, con tocchi di puro lirismo in diversi momenti della pellicola. Da amante del cinema qual è, Tarantino torna al western dopo Django Unchained e ne ribalta nuovamente gli stilemi, aggiungendo ciò che per lui è il cinema, quello che ama e che trova imprescindibile in un film (le battute memorabili, i personaggi istrionici, l’estetica voluttuosamente fine a se stessa). Infine, decide di sfruttare il contesto tipico del genere e le sue connotazioni storiche e sociali per inserire un discorso più ampio che parla alla situazione attuale. Mai i discorsi sulla Guerra di Secessione americana sono apparsi così interessanti come in questa occasione, soprattutto quando ci si accorge che la violenza di cui si parla non è più quella di una guerra civile avvenuta due secoli fa, ma quella che gli Stati Uniti vivono ancora oggi. Non è un caso che The Hateful Eight sia considerato il film più politico del regista.



    Insomma, ci sono tutti gli elementi per parlare di un film ottimo e per spingervi ad accorrere al cinema a vederlo. E non mi sognerei mai di invitarvi a fare il contrario. Andate e godetevi l’esperienza cinema che Tarantino vuole regalarvi, ne vale sempre la pena e, ragazzi, stiamo comunque parlando di Quentin.

    Eppure.

    Con The Hateful Eight torna prepotente l’idea che Quentin Tarantino sia finito in quel circolo vizioso chiamato autoreferenzialità. La cura messa nella realizzazione del film regala una bellezza artificiosa e ripetitiva, tutto sembra ridursi a uno splendido e divertente esercizio di stile, bellissimo da guardare e di sicuro di grande impatto, ma che non regala più niente di nuovo allo spettatore. Un certo gusto per se stessi e il riciclare stili e registri appaiono dunque evidenti e, sebbene tutto ciò regali all’intera pellicola un equilibrio e una grazia impeccabili, l’impressione finale è quella di ritrovarsi di fronte a qualcosa di già visto e di cui forse non sentivano nemmeno più la necessità. L’effetto straniamentoè allora dietro l’angolo: The Hateful Eightè un film talmente incentrato sulla sua estetica, scrittura e regia da non lasciare allo spettatore alcuna possibilità di calarsi al suo interno. O, semplicemente, di emozionarsi.

    Avevo intuito già tutto proprio in quei 20 minuti di sonno? Chi lo sa. Ma questo non mi impedisce di invitarvi ad armarvi di pazienza (3 ore sono comunque tante), fare magari un pisolino prima e poi correre al cinema. The Hateful Eightè un film che può divertire come disturbare, stimolare oppure indignare, ma che di sicuro non vi lascerà  indifferenti.




    Be my Valentine: 10 film per tutti i gusti

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    Anche quest’anno San Valentino torna con la sua ondata di cuori, baci, frasi romantiche e coppie in procinto di ricordare al mondo quanto sia bello amarsi e stare insieme a chi si vuole bene. E come tutti gli anni ci siamo noi, persone più o meno single che di questa festa francamente ce ne infischiamo, ma che alla fine ne parliamo comunque perché fa colore e poi di cosa vuoi parlare a febbraio, ché il tempo è ancora brutto, le vacanze sono lontanissime e l’unico altro argomento a disposizione sono gli zigomi di gomma di Gabriel Garko a Sanremo. Ma se proprio dobbiamo vivere questo weekend all’insegna dell’ammmore, almeno facciamolo in buona compagnia, di un film soprattutto. Ecco allora una piccola lista di film da vedere per celebrare la festa degli innamorati. Alcuni sono molto romantici e risveglieranno il lato più tenero del vostro cuore, altri vi lasceranno con un po’ di amaro in bocca e forse vi faranno pensare che, in fondo, essere single o più o meno non è in fondo così male. In ogni caso l’amore, vissuto o ricordato, temuto o desiderato, rimpianto o di cui si è grati, per gli altri o per se stessi, vince sempre.


    [P.S. Ho provato a non ripetermi con film già citati in altri post, altrimenti la lista sarebbe stata molto molto più lunga…]


    100% Love – 5 film romantici


    1) Insonnia d’amore

    Un grande classico delle commedie d’amore anni ‘90. Un vedovo ancora legato al ricordo della moglie, un figlio adolescente che vorrebbe il padre di nuovo felice al punto da contattare una radio nazionale per cercare una nuova moglie, e una ragazza che sogna di innamorarsi sull’Empire State Building. E il coronamento di questo amore, dopo varie vicissitudini, avverrà proprio in cima al grattacielo il giorno di San Valentino. Uno dei film che più adoro del genere, nonostante la presenza di Tom Hans che è tutto dire.


    2) Notting Hill

    Romanticismo di fine anni Novanta ma che non smette di emozionare proprio mai. Affascinante Hugh Grant, radiosa Julia Roberts, bellissima e commovente la loro storia, tra amici, gaffe, incomprensioni, risate, il tutto racchiuso in un quartiere di Londra divenuto ormai luogo simbolo dell’amore. Da sciogliersi completamente.



    3) One Day

    Ma quanto sono romantici questi inglesi? Emma e Dexter si inseguono per vent’anni, dai tempi del college fino all’età adulta, prima amici poi amanti, con un sentimento che cresce di anno in anno, di giorno in giorno. Un gran bel romanzo e un bel film con cui coccolarsi.


    4) P.S. I love you

    Preparate una scorta di kleenex perché ce ne vorranno tanti. La storia di Holly e Gerry vi lascerà senza più lacrime per la tenerezza e la malinconia che saprà regalarvi. E, cosa da non sottovalutare, nel film si vedono bei manzi come Gerard Butler e Jeffrey Dean Morgan. E scusate se è poco.


    5) 50 volte il primo bacio

    Credo sia l’unico film con Adam Sandler che meriti di essere visto e rivisto. La dolcezza fatta pellicola. Ogni volta che lo vedo rido e mi commuovo contemporaneamente. Una commedia semplice ma dall’effetto “love love” assicurato.


    Fifty Fifty – 5 film per tutti, anche i più “acidini”


    1) Her

    Uno dei film che ho più amato negli ultimi anni, probabilmente uno dei migliori, sia per sceneggiatura che per regia che per interpretazione (Joaquin Phoenix qui è super). Può una macchina amare e puoi innamorarti di una voce e di una semplice presenza seppur evanescente? In un mondo dove le relazioni umane sono sempre più complicate e artefatte, mediate da strumenti e tecnologia, Her dimostra come l’amore oggi, semplicemente, faccia paura perché unico legame al mondo capace di toccarti nel profondo. Ci vuole coraggio per aprirsi all’amore, ma quando lo lasci entrare, tutto cambia. Meraviglioso film e bellissima colonna sonora.



    2) 500 Days of Summer

    Pellicola indie diventata quasi un cult per quelli della mia generazione. Lui incontra lei, a lui piace lei, a lei piace lui, scoppia l’amore ma poi lei si rivela una stronza. E si apprende che a volte, per quanto desideriamo una cosa, non è detto che questa accada. Joseph Gordon-Levitt e  Zooey Deschanel sono perfetti come coppia che scoppia, belli e teneri al punto giusto.


    3) Tutto può cambiare

    Altra romcom dalle sonorità e atmosfere indie con Keira Knightley e Mark Ruffalo. Quando una storia d’amore finisce il mondo sembra crollarci addosso e la realtà non è più quella che conosciamo. Ma la vita sa sempre regalarci delle sorprese e nuovi incontri capaci di ribaltare la situazione e aiutarci a essere più leggeri e tornare di nuovo noi stessi, più consapevoli e pronti ad affrontare tutto ciò che verrà. Contribuisce a rendere piacevole e speciale il film la colonna sonora, un album che la stessa protagonista realizza con l’aiuto del suo produttore un po’ sfigato lungo le strade di New York. Magico.


    4) Blue Valentine

    Non credo si possa parlare di film romantico quanto piuttosto di pellicola antiromantica. Perchè Blue Valentine racconta l’amore quando è ormai giunto alle sue ultime battute, descrivendolo in tutte le sue sfumature, anche quelle più crudeli e oscure, mettendo in luce le gioie e il sogno insieme alla disillusione e lo sconforto. La storia di Dean e Cindy è quella di due ragazzi come tanti che si sposano molto giovani, si amano ma poi qualcosa cambia, tutto degenera e infine si conclude amaramente, rappresentando un viaggio di formazione, ma al contempo anche di autodistruzione. L’amore non è mai una cosa semplice.


    5) Eternal Sunshine of the Spotless Mind

    Conosciuto anche come Se mi lasci ti cancello, il film di Michel Gondryè una piccola pugnalata al cuore. Neanche tanto piccola. Si parla dell’amore quando ormai è finito e si prova l’inevitabile impulso di voler solo dimenticare. Ed è quello che Clementine fa, facendosi aiutare da un trattamento surreale e onirico in grado di cancellare i ricordi, e che anche Joel, disperato, inizialmente crede di volere. Ma all’ultimo Joel si rende conto di quanto sia sbagliato fuggire dal proprio passato e dimenticare chi si è amato e di quanto sia importante invece ricordare anche se questo vuol dire soffrire, perché parte di quel grande mistero che è l’amore e del processo di consapevolezza che niente può essere “per sempre”. Un film dalla struggente poesia, dolce e tagliente allo stesso tempo, un film che lascerà sentimenti contrastanti, ma che ha in sé la bellezza delle cose che arrivano dritte all’animo e sanno parlarci per aiutare a comprenderci meglio. Fa male, male, male, ma è bellissimo.



    Una lista di film dedicati all’amore che spero vi aiuti a rendere più piacevole questo weekend all’insegna dei sentimenti. O che sia semplicemente una scusa per rilassarvi con una bella storia da guardare in un pomeriggio sonnacchioso. Qualsiasi sia la vostra situazione sentimentale, chiunque stia occupando i vostri pensieri in questo momento, qualunque sia il vostro desiderio più nascosto, ogni tanto è bene lasciarsi andare e dare sfogo al lato romantico che c’è in ognuno di noi. Perché credere nell’amore, nonostante tutte le paturnie, le friendzone, le batoste e le ferite, aiuta ad affrontare la vita con un sorriso. E allora perché non farlo?


    Buon San Valentino a tutti!




    Vinyl: Mick Jagger, Martin Scorsese e gli anni Settanta finalmente in tv

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    Vinylè la prima serie evento di questo 2016 e come tale era impossibile da perdere. La serie nasce da un’idea di Mick Jagger e Martin Scorsese (che cominciarono a parlarne già nel 1996) e vede alla sceneggiatura Terence Winter (Boardwalk Empire, I Soprano) e Matthew Weiner (Mad Men), una combinazione di nomi e talenti che sembra garantire in partenza sulla qualità dello show. Tanta curiosità, quindi, ma anche molte aspettative: sarà riuscita Vinyl a non disattendere le promesse fatte nei mesi passati?




    Siamo nel 1973 a New York. Il discografico Ritchie Finestra (Bobby Cannavale) sta per concludere il più grande affare della sua esistenza, vendere la sua casa discografica American Central a una major, la Polygram, e chiudere definitivamente con la vita condotta per due decadi tra musica, artisti viziati, discografici, radio assetate di soldi, rock, droghe, sesso ed eccessi di ogni tipo. Ma qualcosa va storto e i suoi progetti di passare una vita serena tra l’amore della moglie Devon (Olivia Wilde), ex modella di Andy Warhol, e i loro due figli viene stravolta da un evento che, se da una parte distrugge tutte le sue aspettative, dall’altra apre un nuova strada rappresentata da un nuovo gruppo, la band punk dei Nasty Bits, che sembra destinata a diventare il nuovo progetto per rilanciare alla grande la sua carriera.



    Il primo episodio di Vinyl è un trip di quasi due ore, un tripudio di colori e suoni, una miscela esplosiva che fin dalle prime sature pennellate, ritrae perfettamente l’atmosfera di un’epoca dall’inconfondibile sapore sesso, droga e rock’n’roll. Gli anni Settanta raccontati da Jagger e Scorsese partono soprattutto dalla musica, colonna portante della serie non solo perché contribuito fondamentale a ricreare una decade e il mood di quegli anni, ma anche come elemento cardine per scandire il ritmo e il registro della sceneggiatura ed evidenziare sempre in maniera calzante la psicologia e la condizione d’animo dei protagonisti. La colonna sonora di Vinyl si presenta subito enciclopedica, con numerosi richiami a generi, brani, album e band che hanno fatto la storia della musica o semplicemente ne hanno calpestato il palcoscenico solo per un po’, curata e attenta a individuare le tendenze e le sfumature dell’epoca, talmente dettagliata da essere per gli intenditori una delizia per le loro orecchie e per gli occhi, capaci di coglierne rimandi e citazioni e anche magari a scovare qualche stonatura qui e là.



    Accanto al lavoro ottimo sulla colonna sonora, Vinyl può anche contare sulla ricercatezza e l’abilità nella ricostruzioni di scenari, usi e costumi, nei dettagli di scenografie, abiti e acconciature, la presenza di elementi iconici e i riferimenti a personaggi dell’epoca (Led zeppelin, Andy Warhol…), una fotografia dal sapore vintage che ricalca egregiamente i toni sgargianti e delle copertine degli album di allora e il turbinio di neon rossi e blu, le luci e le ombre che abbiamo sempre immaginato come caratteristiche imprescindibili di qualsiasi locale newyorkese pronto a risvegliare e sconvolgere la città in quegli anni. Il risultato è un immaginario vivido e quanto più possibile autentico, su cui la mano di Mick Jagger si fa sentire e ci rassicura sul fatto che le cose, in fondo, devono essere andate proprio così.



    Se l’accuratezza dei dettagli ricorda molto una serie come Boardwalk Empire, Vinyl è stata fin da subito affiancata alla meravigliosa Mad Men in un parallelismo che vede due decenni e due mondi diversi, visti entrambi dall’interno: se Mad Men ci mostra i retroscena del mondo dei pubblicitari nel momento storico, tra i ‘50 e i ‘60, in cui la società si apprestava più che mai a cambiare la propria immagine, mettendo in evidenza contrasti e ambiguità di un sistema di valori capace di fagocitare se stesso ed essere al contempo la ragione del suo successo e la causa della sua stessa caduta, Vinyl ci racconta il panorama musicale degli anni Settanta da dietro le quinte, risaltando lo spirito trasgressivo dell’epoca e i personaggi che l’hanno resa indimenticabile al punto da influenzare ancora oggi stili e tendenze. Ritchie Finestra appare così assimilabile alla figura di Don Draper, con il quale condivide l’inquietudine, le dipendenze, l’ambizione sfrenata e il costante senso di inadeguatezza, mentre la giovane Jamie (Juno Temple) è la risposta punk a Peggy Olson, nel suo tentativo di primeggiare tra i giovani collaboratori della casa discografica e diventare una vera talent scout in grado di cambiare le sorti dell’etichetta. Similitudini a parte, però, ciò che fa riflettere è il punto di partenza di Vinyl. Mad Men ci racconta l’ascesa e poi il lento sgretolarsi di Don e del suo universo in quel di Madison Avenue, Vinyl parte proprio da un momento di crisi dove il protagonista vive un impasse non da poco e le due ore del pilot servono a fare chiarezza, tra flashback e conversazioni smorzate, su ciò che ha portato Finestra a cadere così in basso, fino a quella spettacolare rivelazione finale, tra le macerie di un vecchio palazzo crollato sotto il peso di molti decibel, che sembra segnare una possibile rinascita, in una struttura così perfettamente ciclica che, a ben guardare, Vinyl potrebbe essersi conclusa anche solo dopo i 110 minuti dell’episodio e andrebbe benissimo così.



    Fortunatamente non è che solo l’inizio di questa avventura tra le strade e la musica di New York. Certo non sarà facile superare un primo episodio in cui la firma del maestro è evidente in ogni inquadratura e dettaglio: Scorsese ci regala un pilota che è un grande viaggio sensoriale che scorre fluido e armonioso, mostrando non solo il dramma di un singolo, ma un contesto generale ricco e composito, privo di veri punti di riferimento ma dotato di particolare audacia e persino di un certo virtuosismo che con Scorsese si fa arte.

    A ogni modo, per i prossimi episodi ci conforta la consapevolezza che si tratta di un produzione con un parterre di nomi, tra produttori e sceneggiatori, che ci hanno già dimostrato il livello di qualità che sono in grado di regalare al loro pubblico, inoltre si tratta di una serie targata HBO e per noi spettatori seriali questa non è che un’ulteriore conferma. 



    In definitiva, Vinyl è partita con il botto e si è dimostrata subito essere all’altezza delle aspettative, che la volevano come la nuova grande avventura da “romanzo americano” televisivo, un affresco nudo e crudo su una data epoca che ha caratterizzato la storia degli States, un racconto di gran classe, dal buon ritmo, affascinante e curato, dotato dello stile e dall’appeal giusto per potersi candidare tra le migliori serie tv degli ultimi anni. Viene da chiedersi, di fronte alla grandiosità di un pilot del genere che non disillude affatto le promesse ma anzi sembra superarle, se la serie d’ora in poi, e senza più la direzione di Scorsese, sarà in grado di mantenere il livello raggiunto e, soprattutto, se sarà in grado di guardare oltre, mostrandoci anche un cuore che vada al di là dell’eccitante esperienza sinestetica di cui ha dato prova finora, e trovare quindi un’identità che “scaldi” un po’ quel grande affresco bello ma forse troppo patinato che ci ha completamente soggiogato in questo primo funambolico incontro con al serie. Insomma, si può chiedere di più a Vinyl? Assolutamente sì, e ci sono tutte le premesse per poterci credere davvero.


    Stranger Things, la serie generazionale dell'estate

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    Capita che nei mesi più caldi e solitamente di meritato riposo dell'anno, ecco spuntare la serie dell'estate 2016. Anche perché sembra essere l'unica novità degna di nota nel mondo delle serie tv degli ultimi mesi. Ormai l'hanno vista tutti, ma se non siete ancora fan dei piccoli eroi di Stranger Things, beh, vi conviene affrettarvi, l'estate sta finendo e un tuffo meravigliosamente nostalgico negli anni '80 come quello che è capace di farvi fare la nuova produzione targata Netflix non potete proprio perdervelo.





    Come se fossimo tornati indietro ai tempi della Storia Infinita o dei Goonies, Stranger Things racconta una di quelle storie così simili a quelle viste negli anni dell'infanzia, a metà tra la fantascienza alla E.T., l'horror di Predator e la cronaca di un'avventura per ragazzi in stile Stand by Me, che continuano ad apparire irresistibili e che solo a raccontarla mi viene il magone. 
    Nella tranquilla e soporifera cittadina di Hawkins quattro ragazzini, Mike, Dustin, Lucas e Will, giocano a Dungeons & Dragons nello scantinato di Mike. Nel frattempo, nella centrale elettrica al confine della città si sta verificando un evento terribile e misterioso destinato a sconvolgere le esistenze dei suoi abitanti. Qualcosa di spaventosoè fuggito dalla centrale e contro quel qualcosa si imbatte proprio Will, sulla strada di casa. Ad aggiungersi alla lista di stranezze, quella stessa notte compare una strana ragazzina dotata di poteri soprannaturali chiamata Undici. L'enigmatica e inquietante scomparsa di Will darà il via per i suoi amici a un'avventura senza uguali sulle sue tracce, mentre per gli altri protagonisti della vicenda sarà il confronto/scontro con qualcosa di inimmaginabile destinato a cambiare la vita di tutti.


    Stranger Things strizza l'occhio a una enorme quantità di film dell'epoca nonché a un vero e proprio immaginario collettivo che fa parte di una generazione, quella nata e cresciuta tra gli Ottanta e i Novanta, capace di riconoscerne i tratti fin dal primo fotogramma. Persino le immagini promozionali della serie sono palesemente un richiamo e omaggio alle locandine del tempo, mentre la colonna sonora, a cominciare dal bellissimo temadi apertura e chiusura con quelle tipiche sonorità synth da angoscia pura che nemmeno Alien, è una piccola enciclopedia dei gusti musicali e delle hit dell'epoca.


    Citazionismo a gogò, quindi, e proprio grazie a ciò ci si immerge in una atmosfera che conosciamo bene e che, pur avvertendone gli anni sulle spalle, non smette mai di emozionarci. Merito di una scrittura capace, quella degli sceneggiatori che hanno saputo ricrearne caratteristiche e modi, dinamiche e ritmi, dialoghi e abitudini di un mondo a cui è facile e piacevole ritornare. Perché il bello di Stranger Things non sta nell'aver preso un canone e averlo stravolto e modernizzato, ma averlo usato come stampo per regalare ai suoi spettatori una nuova avventura del genere, una storia che li faccia fin da subito sentire su un terreno familiare, senza però rovinare aspettative e suspense, mantenendone strutture e tempi di azione (le pause, la velocità dei dialoghi, lo sviluppo della trama), fotografia e stile, con quel po' di revisione indispensabile per adattare la narrazione anni '80 al gusto di oggi.


    A coronare il tutto, la scelta del cast: per una bambina capace di spostare cose e persone e creare squarci tra dimensioni parallele con la sola forza del pensiero che ricorda tantissimo personaggi come l'infante imperatrice, c'è la partecipazione di una come Winona Ryder, qui nella parte della madre di Will, con quel pizzico di sensibilità (ed esaurimento nervoso) utile per entrare in contatto con il figlio scomparso, attrice che quando si tratta di storie dai contorni nebulosi e risvolti inquietanti sa decisamente dare il meglio di sé. I ragazzini, poi, sono la vera chicca di questa serie: adorabili piccoli "secchioni" (come venivano chiamati una volta i nerd) dalle facce di tipici ragazzi di periferia destinati all'impresa più grande che c'è. Bastano pochi minuti e se ne è già affezionati.


    Se ci si aspetta grandi novità a livello di evoluzione del genere seriale, si rischia di restare delusi. Stranger Things non è la nuova serie tv, ma una serie intelligente e ben realizzata, capace di garantire fin da subito quello che ci auguriamo sappia fare ogni prodotto televisivo riuscito: intrattenere il suo pubblico. Stranger Things lo fa in maniera quasi impeccabile, scegliendo come tramite l'azzeccatissimo filone del revival, degli Eighties, l'amarcord per la generazione dei 30enni che ancora si ricordano un mondo dove avere un walkie talkie per parlare con il vicino di casa significava essere in possesso della tecnologia più avanzata.



    Stragers Thingsè a conti fatti quello che è e che non poteva essere altrimenti: una serie per l'estate. Lo dicono forte e chiaro la sua trama e le sue atmosfere, i suoi colori e i suoi suoni, così come il carico emotivo e culturale che si porta dietro e sulle cui basi costruisce la sua godibilissima storia. Un prodotto che sa d'estate da tutte le sue angolazioni e che, proprio per questo, è quello di cui avevamo bisogno.

    Passo e chiudo.






    Serie TV - Le novità dell'autunno 2016 da non perdere

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    Sembra proprio che le vacanze siamo finite o stiano quasi per. Ma se il ritorno al lavoro o alle varie incombenze della vita quotidiana appare una tragedia di immani proporzioni, un pensiero di consolazione per noi amanti delle serie tv può essere solo che, con settembre in avvicinamento, anche quest'anno una nuova stagione seriale ci aspetta a braccia aperte.


    Sarà l'età che avanza, sarà che da un anno ho cominciato a prediligere un discorso che punta più alla qualità che la quantità, ma quest'anno ho accantonato definitivamente il mio fittissimo calendario di visioni seriali per fare una scelta più mirata su cosa focalizzare la mia attenzione di spettatrice.
    Ecco quindi la mia personale selezione sulle serie da non perdere questo autunno (le serie vengono presentate seguendo il calendario di uscita dei pilot):

    This is Us

    Martedì 20 settembre
    (pilot in preview, poi riparte ufficialmente l’11 ottobre)


    Ammetto che qui ha giocato una parte importante l'aver visto il trailer, realizzato ad arte per farti salire quel nodo in gola e inevitabilmente commuoverti. La serie riprende l'idea della connessione che esiste tra gli esseri umani, quel filo invisibile che pare legarci con persone che vivono vite diverse dalla nostra a migliaia di chilometri di distanza. Un'idea che mi ha ricordato per un attimo Sense8, con le ovvie e dovute differenze. In This is Us si raccontano le vicende di alcuni personaggi la cui connessione è essere nati lo stesso giorno e, proprio per questo, destinati a vedere le loro vite intrecciarsi le une con le altre. Nel cast troviamo Mandy Moore e il nostro sempre amato Milo Ventimiglia.

    Perché vederla: per l'intreccio di vite e storie che, se realizzato bene, può garantire a noi spettatori la giusta curiosità e anche qualche lacrimuccia che ci sta sempre bene
    Perché non vederla: perché le trame a vicende multiple sono delicate e ad alto rischio di svolgimenti confusionari e intrecci complessi che non portano da nessuna parte.



    Designated Survivor

    Mercoledì 21 settembre




    Lo sapevate? Negli States esiste una prassi nata durante la Guerra Fredda per cui, quando tutti i componenti della linea di successione presidenziale si riuniscono in uno stesso luogo, come durante il discorso allo stato dell'Unione che si intravede nei primi minuti della serie, uno di questi viene messo al sicuro dal FBI in quanto "sopravvissuto designato".  Succede, però, che in Designated Survivor la prassi si trasforma in realtà quando il Campidoglio viene fatto saltare in aria uccidendo il Presidente, il Vicepresidente e tutti i membri del Gabinetto. Tom Kirkman, interpretato da Kiefer Sutherland, si troverà così costretto ad assumere il ruolo di Presidente degli Stati Uniti e ad affrontare tutto quelle che verrà.

    Perché vederla: la serie potrebbe mostrare spunti interessanti sulla situazione e i retroscena politici degli USA senza però il rigore e la strategia imperanti in House of Cards (inclusi gli alti livelli narrativi della serie con Kevin Spacey), ma alleggerendo il tutto con la solita action americana che potrebbe rivelarsi accattivante.
    Perché non vederla: perché proprio per il motivo di cui sopra, la serie potrebbe rivelarsi la solita americanata.


    Notorious

    Giovedì 22 settembre



    La serie si ispira alla storia vera dell'amicizia tra l'avvocato avvocato difensore Mark Geragos e la produttrice di notiziari Wendy Walker (executive producer dello show) e mostra gli angoli nascosti e i retroscena del complesso rapporto che esiste tra giustizia e media.

    Perché vederla: la storia offre spunti interessanti sul legame spesso borderline tra la necessità di applicare giustizia e la fame di notizia a tutti costi dei media.
    Perché non vederla: perché è un crime/legal e come tutte le narrazioni del genere, il rischio è di annoiarci al terzo caso/scandalo raccontato.

    Easy

    Venerdì 23 settembre

    Otto episodi che raccontano Chicago attraverso i suoi abitanti. Della serie al momento si sa molto poco, nel cast appaiono nomi come Orlando Bloom, Malin Akerman Dave Franco, Emily Ratajhowski.

    Perché vederla: Netflix e i nomi coinvolti meritano una visione almeno del pilot
    Perché non vederla:è una serie antologica con episodi stand-alone, per chi ama le trame complesse che si sviluppano per intere stagioni, una struttura del genere potrebbe risultare noiosa.

    Luke Cage

    Venerdì 30 settembre




    Terza serie targata Netflix dedicata agli eroi del mondo Marvel. Dopo Daredevil e Jessica Jones, arriva lo show dedicato a Luke Cage, l'eroe dalla pelle indistruttibile che combatte il crimine lungo le strade di New York. Mike Colter, già visto nel ruolo in Marvel's Jessica Jones, torna a vestire i panni di Cage e rivedremo anche Rosario Dawson nel ruolo di Claire Temple.

    Perché vederla: appassionati di fumetti o meno, le serie Netflix che raccontano le gesta dei supereroi Marvel sono alcuni dei prodotti più interessanti e godibili degli ultimi due anni e ci hanno conquistato.
    Perché non vederla: se non vi sono piaciute le prime due, il mondo Marvel/Netflix non fa per voi.


    No Tomorrow

    Martedì 4 ottobre



    Romcom seriale con punte di sci-fi, No Tomorrow racconta la storia di Evie, donna in carriera che un bel giorno incontra Xavier, uno spirito libero e un po' suonato che ha questa idea secondo la quale il mondo finirà tra 8 mesi e 12 giorni. Incuriosita e attratta da Xavier, Evie decide di seguirlo nella sua impresa di spuntare tutte le cose da fare nelle loro rispettive To Do List prima dell'arrivo dell'Apocalisse.
    Lo dico alle ragazze in ascolto, nel suo ruolo di Xavier ritroviamo Joshua Sasse, ovvero quel gran figo di Galavant!

    Perché vederla: perché sembra essere una serie leggera (e ogni tanto ci vuole) con quello spunto di trama che incuriosisce e ti spinge a domandarti come andrà a finire
    Perché non vederla: se già sentite puzza di sole-cuore-amore e vi è venuta la nausea, meglio lasciar perdere.


    The Great Indoors

    Giovedì 27 ottobre




    Joel McHale (Jeff di Community) torna nei panni di Jack, un report globe-trotter di quelli sempre sul pezzo e amante dell'avventura, che si ritrova, con il passaggio della sua rivista dal cartaceo al web, a dover addestrare e supervisionare un branco di millenials con velleità giornalistiche.

    Perché vederla: per scoprire se Joel è in grado di sostenere altri ruoli oltre a quello per cui lo abbiamo amato tanto
    Perché non vederla: se non amate le sitcom, questa lo è e non fa per voi.



    The Crown

    Venerdì 4 novembre




    Forse la serie più attesa di questo autunno, di sicuro quella più discussa. Al momento la produzione più costosa di Netflix, The Crownè il racconto delle vicende della principessa Elizabeth, destinata a diventare regina in un momento storico di declino dell'impero britannico e di profondi sconvolgimenti della società, del pensiero e della cultura dell'epoca. Matt Smith, ex Doctor Who, è qui nella parte del principe Philip.

    Perché vederla: The Crown racconta una storia già di per sé affascinante e la realizzazione targata Netflix pare garantire un prodotto di qualità
    Perché non vederla: al di là del genere che può piacere o meno, il rischio è di concentrarsi solo su alcuni aspetti della storia di Elizabeth, quelli che solitamente attirano di più gli spettatori (vedi la sua storia con Philip che già nel trailer appare predominante), e di non dare sufficiente spazio ad altri ugualmente interessanti. Insomma, potrebbe esserci davvero troppa carne sul fuoco da gestire.


    Altre serie in arrivo (non mi dilungo ma potete guardavi il trailer): The Exorcist, Bull, Timeless, Lethal Weapon (remake del film, ne sentivano il bisogno?), Pitch, Frequency (altro remake), Conviction (Hayley Atwell mi piaceva molto in Agent Carter, chissà se qui saprà farsi valere ugualmente), MacGyver (sì lo hanno fatto, sarà meglio dell'originale? Non credo), American Housewife, A Man with a Plan (nuova avventura di Matt LeBlanc, dopo Episodes, nel ruolo di un padre alle prese con tre figli pestiferi).

    Infine, per chiudere in bellezza, perché non solo di novità vive il serial addicted, ecco un breve elenco dedicato al ritorno di alcune serie che ci piacciono tanto:

    Halt & Catch Fire 

    23 agosto

    Esaltazione a mille per una serie sempre troppo poco conosciuta (immeritatamente) in Italia,  ma che fieramente arriva con la sua terza stagione, alla conquista della Silicon Valley.




    Narcos

    Venerdì 2 settembre 

    Torna Pablo Escobar ed è più incazzato di prima. La seconda stagione sembra promettere grandi momenti seriali e un epilogo al cardiopalma.  #WhoKilledPablo


    Masters of Sex

    Domenica 11 settembre

    Come e chi scandalizzeranno Bill e Virginia in questa quarta stagione? Siamo negli anni Settanta, la rivoluzione è arrivata!



    Shameless

    Domenica 2 ottobre

    Una famiglia Gallagher in anticipo rispetto alla programmazione degli anni passati. Ma a noi non dispiace affatto.



    Gilmore Girls

    Venerdì 25 novembre

    Un ritorno d'eccezione! Quasi una novità. Eh sì perché, dopo la fine della serie nel 2007, Amy Sherman-Palladino ci ripensa e sforna un'ottava e definitiva stagione per tutti noi fan di Una Mamma per Amica. Quattro episodi, ognuno legato a una stagione, un anno nella vita delle ragazze Gilmore. Cosa chiedere di più? A novembre si torna a Stars Hollow.



    Non mi resta che augurare a tutti una buona visione!

    The Get Down, la grande lezione di Netflix sulle serie dedicate al mondo della musica

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    Ok, ammetto di essere tra quelli che avevano trovato Vynil una bomba (l'avevo anche scritto qui). Perlomeno il pilot di due ore, che ci aveva letteralmente affascinati e stupiti e ci aveva fatto sperare, anche quando gli episodi successivi si sono dimostrati di qualità nettamente inferiore, in uno sviluppo migliore della storia e una ripresa in grande stile della serie. Cosa che non sapremo mai, dato che la serie è stata cancellata dopo la prima stagione, per buona pace di Mick Jagger e Martin Scorsese. 
    Tutta questa premessa perché a parlare di musica in questo caldo agosto ci ha pensato una nuova serie. The Get Down, produzione targata Netflix sulla nascita dell'hip hop nella New York di fine anni '70, ha qualcosa da insegnare a tutti - in prima battuta alla sottoscritta - su come si fa davvero una serie dedicata alla musica e come si racconta un universo complesso e articolato come quello di un genere musicale, della sua nascita ed evoluzione.
    Una gran bella lezione e produzione - e questa volta posso dirlo avendo visto non solo il pilot ma tutti gli episodi finora usciti - che prevede al momento dodici episodi, i primi sei usciti ad agosto 2016, la seconda metà prevista per il 2017.



    Siamo nel 1977 nel South Bronx. Criminalità, degrado e rivalità tra gang di mescolano a disco music, graffiti e desiderio di rivalsa verso una società che sembra non accorgersi di chi è rimasto indietro. In un'epoca in cui la febbre del sabato sera imperversa nei locali di tutta New York, qualcosa si sta muovendo tra le vie e le macerie del Bronx, il Get Down e un gruppo di ragazzi desiderosi di emergere e far brillare le loro capacità. In un periodo storico di grandi cambiamenti, assistiamo così alla nascita della cultura hip hop in tutte le sue declinazioni (rap, freestyle, breakdance, street art), attraverso le vicende di Ezekiel "Zeke" Figuero e i suoi amici, che sembrano destinati a grandi cose e a fare della musica lo strumento del loro riscatto da una società che li vuole già condannati a una vita senza regole e criminale.



    Se le tematiche e l'ambientazione possono apparire tutt'altro che semplici - l'idea del ghetto e della criminalità giovanile, i politici corrotti, i quartieri degradati, la crisi economica e le difficoltà insite in una città cosmopolita ed eclettica come New York  - il tono e le atmosfere della serie sono su un altro registro. La direzione di Baz Luhrmann - regista di fama mondiale che non ha bisogno di presentazione, ma se qualcuno ha la memoria corta stiamo parlando del regista di Romeo + Juliet, Moulin Rouge e il più recente Il Grande Gatsby -  e di Stephen Adly Guirgis - sceneggiatore e regista per Broadway e Off Broadway (e scusate se è poco) - fa inevitabilmente la differenza, mostrando uno stile ricercato e attento nei dettagli, dalla scenografia alla fotografia ai costumi e alle scelte musicali (riadattamenti del livello delle migliori hit e partecipazioni speciali come quella di Christina Aguilera con la sua Telepathy), ma anche dando all'intera narrazione una struttura che in qualche modo ne alleggerisce i contenuti senza svalorizzarli e allo stesso tempo dandole vigore, attraverso le commistioni di genere con un veterano amore di Luhrmann, ovvero il musical.



    Niente panico però: The Get Down non è assolutamente un musical in senso stretto, con improvvise interruzioni del racconto per momenti canterini e balletti scenografici che rischiano di distogliere l'attenzione. si tratta piuttosto di una traccia, un'impressione, dal musical Luhrmann prende laleggerezza, l'estrosità, la spettacolarizzazione della realtà rappresentata, dove anche i momenti più controversi si trasformano in episodi originali e sopra le righe, la rappresentazione corale che abbraccia personaggi e intrecci, trame e sotto-trame, guidando lo spettatore in quello che inizialmente sembra un caotico, colorato, rumoroso agglomerato umano verso le fila della storia e l'evoluzione dei protagonisti. E forse è in questo che The Get Down differisce da Vinyl e la supera: se la serie di HBO paga lo scotto di una presunzione, quella di voler ritrarre un universo e un'epoca con minuzia e un certo esibizionismo, e così facendo perde di vista ciò che alla fine conta davvero in una serie, ovvero la storia che c'è dietro il mondo che si vuole rappresentare, The Get Down riesce a mantenere saldo il legame con le vicende e personaggi, racchiudendo l'insieme di trame intersecate e sovrapposte tra loro in un'unita di tempo e di luogo (un anno preciso, un perimetro di città delimitato nel raggio di qualche chilometro) come su un palcoscenico. Lo straordinario impatto visivo e la ricercatezza formale, che rimangono comunque uno degli aspetti più interessanti e il vero tocco magico che porta la serie a un livello superiore, non soffocano quindi la narrazione, ma anzi la esaltano, le danno lo slancio per andare avanti, si fanno strumento al suo servizio per catalizzare l'attenzione dello spettatore, mantenendolo legato alla storia raccontata. Non solo forma ma anche sostanza, quindi, e il risultato di questa combinazione è assolutamente vincente.



    Non bisogna dimenticare, però, il contributo fondamentale che arriva dal cast, composto da attori tutti molto bravi, in special modo i ragazzi, davvero talentuosi. Particolari note di merito vanno a Justice Smith nei panni del talentuoso e geniale paroliere "Zeke", il protagonista della serie, Jaden Smith che interpreta l'artista dei graffiti più belli del Bronx "Dizzee", Herizen F. Guardiola che presta la sua incredibile voce alla futura star della disco Mylene Cruz, lo Shaolin Fantastic interpretato da Shameik Moore e infine Jimmy Smits che ancora una volta riesce perfettamente nell'ennesimo ruolo latino che gli viene assegnato.



    The Get Downè un prodotto esteticamente perfetto e ottimo dal punto di vista della scrittura (con gli inevitabili alti e bassi che una produzione del genere comporta), dal ritmo giusto e incalzante, fatto di rime spettacolari e sonorità coinvolgenti anche se a volte un po' datate (ascoltare la versione di Set Me Free per credere), e una portata visiva forte ed esaltante, che prende a prestito il meglio del teatro e del musical per raccontare una storia come finora non era mai stata raccontata. Il cast bravissimo e la carica dell'universo hip hop fanno poi il resto. Dopo Stranger Things, The Get Down è la seconda bomba prodotta da Netflix, vincitore assoluto di questa estate.

    È ora di alzare il volume e scendere in pista.

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    L'amica geniale - uomini e donne nella saga di Elena Ferrante

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    Mi ci sono voluti quasi due anni per arrivare alla conclusione della saga di L'amica genialedi Elena Ferrante.
    Avevo letto il primo libro la scorsa estate e per un anno l'idea di leggere gli altri tre mi ha come perseguitato lungo i mesi e le stagioni, un tarlo continuo che solo gli impegni quotidiani che si sono moltiplicati in maniera esponenziale giorno per giorno, togliendomi tempo libero e la calma necessaria alla lettura, insieme a stupide questioni che mi hanno spinto verso altri pensieri, sono riusciti a tenere a bada fino a qualche settimana fa. Quando, munita dei tre volumi che mi mancavano, ho ripreso in mano la storia Lila e Lenù, della loro incredibile amicizia durata una vita e costellata di gioie e dolori, segreti malcelati e verità spietate, mariti, amanti, figli, libri, lotte, rivoluzioni mancate, miseria e ricchezza, amori e rancori, presenza ed assenza. 
    Difficile riemergere da una lettura del genere, soprattutto se fatta tutta d'un fiato come nel mio caso, senza trascinarsi dietro un'immagine, un suono, un frammento, un'emozione, per giorni e giorni. So già che sentirò la mancanza del mondo di L'amica geniale per molto tempo, è una di quelle letture che inevitabilmente un po' ti cambiano o, perlomeno, danno uno scossone alla tua quotidianità, stimolando sentimenti ma soprattutto pensieri.

    Senza soffermarmi troppo sulla storia poderosa e sulle straordinarie capacità di scrittrice della Ferrante, quello che più mi ha colpito leggendo i quattro libri "geniali"è la natura materica di personaggi, luoghi e atmosfere, la creazione di mondi e figure umane talmente realistiche e tangibili, al punto che sembra quasi possibile toccarli al solo allungare la mano. Chi conosce meglio di me la scrittura di Elena Ferrante saprà certamente quanto il corpo e l'universo femminile rivestano una grande importanza nella sua scrittura. E a dirla tutta, mentre la vita di Elena e Lila scorrono di pagina in pagina, ciò che più affascina e resta fermo nella memoria di lettore è di sicuro il loro confronto continuo, non solo mentale ma anche fisico, attento ai cambiamenti del corpo dell'una e dell'altra nelle varie fasi di vita, ma anche il loro rapportarsi con il mondo maschile, in un confronto nel confronto.

    Gli uomini, nell'opera di Elena Ferrante, non ci fanno un gran bella figura a dirla tutta. Spesso nelle pagine dei suoi libri appaiono superficiali, violenti, vigliacchi, spacconi, bugiardi, incapaci, tesi a dimostrare un inutile ruolo di maschio alfa in una società che sempre più ne può fare a meno e, proprio per questo, il risultato è un essere disorientato che reagisce alla mancanza di effettivo potere nella vita della donna con violenza fisica, come nel caso di Stefano che cerca di farsi amare da Lila a suon di mazzate, e verbale come Nino, uomo vanesio che prende in giro non solo Lila ma soprattutto Elena, per anni, in un turbinio di frasi melliflue e parole d'amore pronunciate per continuare a mentire e amare solo se stesso. Persino gli uomini che appaiono parzialmente positivi - Enzo, Pietro, Antonio - in realtà incarnano una figura di uomo "mancante", difettoso: Enzo è un uomo tutto d'un pezzo che è meglio non far incazzare, un ottimo padre di famiglia e un uomo devoto alla donna amata, ma proprio per questo privo di personalità, si confonde sullo sfondo e non riesce ad affrontare la vita di petto come dovrebbe, nemmeno la donna che ama di fronte alla sua evidente dolorosa follia; Pietro è un uomo gentile e colto, il classico buon partito, ma che si dimostra, in barba a tutte le idee moderne e all'avanguardia sue e della sua famiglia, un uomo orgoglioso delle sue capacità e del suo lavoro, a suo modo maschilista, bisognoso di una compagna sufficientemente intelligente e colta per comprendere i suoi discorsi ma sostanzialmente muta e dipendente dal suo sapere.
    Le loro caratteristiche al negativo si intravedono nei loro corpi, nel volto quadrato e impassibile di Enzo, nella figura di Stefano tratteggiata come un blocco opprimente, nel fisico pesante di Pietro, nel corpo esile e sfuggente di Nino.

    La cartina tornasole di questa fisicità è il rapporto che si instaura tra uomo e donna e non solo, ma anche il modo in cui l'uomo appare allo stesso tempo controparte e parte mancante del corpo della donna. Elena e Lila vivono la loro femminilità in maniera diversa e con fasi alternate tra accettazione e rifiuto, considerandolo a volte arma, strumento, altre ancora come una condanna. Ciò che le accomuna è quel loro sguardo acuto e che non perdona, dai tratti maschili pur essendo estremamente femminile.
    Elena è ossessionata dallo zoppicare della madre, lo vive come una premonizione verso un destino miserabile ed è un pensiero che le torna ogni volta che prova attrazione per un uomo, e la conduce a denigrarsi e non piacersi in barba a complimenti e approvazioni maschili. La percezione di inadeguatezza del suo corpo aumenta man mano che Elena cresce e il suo percorso formativo si fa più complesso e difficile. Dalla scuola elementare alle medie, già grande traguardo nel rione da cui lei e la sua amica provengono, fino al liceo e infine la Normale di Pisa, arrivando alla carriera di scrittrice, Elena sembra inoltrarsi in un mondo in cui il dominio appare ancora prettamente maschile (non è un caso se l'unica figura di educatrice donna citata è la sola professoressa Galliani) e questo si ripercuote sul suo percepire il suo corpo e non solo: Elena sceglie lo scudo di un corpo maschile e i suoi anni pisani saranno contrassegnati sopratutto dalla storia con due studenti, Franco e Pietro, destinato quest'ultimo a diventare poi suo marito. In modo diverso, i due uomini contribuiscono a plasmare la donna che Elena sarà dopo la laurea: Franco le farà scoprire il desiderio e la sfacciataggine del sesso, insieme al piacere che deriva da una mente libera e curiosa; Pietro alimenterà il suo intelletto e le darà le sembianze di una donna colta e raffinata adatta a essere ammessa all'interno della sua cerchia di politici e intellettuali. maternità, che Elena vive tre volte in uno stato di beatitudine e gioia, felice di occupare finalmente un posto nel mondo universalmente accettato e senza nessuna controversia. Non è un caso che al parto solitamente segua per lei un periodo di depressione e ansie, un'angoscia esistenziale che trova sfogo in un altro tipo di gestazione, quella dei suoi libri, la cui creazione sarà ragione di essere per la donna anche dopo che le figlie sono divenute grandi, simulacro di quella fertilità femminile (fisica e intellettuale) di cui Elena si sente portatrice e che non si vergogna a manifestare.
    In questo osservarsi e formarsi attraverso uno sguardo maschile, l'unica isola di espressione del suo essere apertamente donna appare così la

    Diversa è la reazione di Lila. La sua è fin da ragazzina una bellezza fiera e audace, che incute timore e sembra aggredire chi ne viene a contatto. Nel suo tentativo di affrontare un mondo governato da uomini, che decidono per lei e il suo destino (privandola dell'educazione a cui aspira e condannandola alla vita nel rione pur sapendo quanto le sue capacità siano sprecate) e la vedono come una bellezza da mostrare e conquistare, Lila trasforma il suo essere donna in qualcosa d'altro, uno strumento di vendetta e potere, affina la sua aggressività e forza, lo rende un passepartout per una condizione migliore ammaliando il più ricco del rione, sfodera la sua avvenenza ogni qual volta prova la sensazione di essere privata di qualcosa, oscurata da qualcuno - e per questo non si fa scrupoli a far innamorare e innamorarsi dell'unico uomo mai amato davvero dalla sua migliore amica. La sua forza e sfrontatezza arrivano a spogliarla di qualsiasi connotazione femminile finora assegnata a tutte le altre donne, la sua persona diventa così uno status, una condizione di essere che trascende i sessi e le posizioni sociali. Lila smette di essere una donna, perché è semplicemente Lila e come tale arriva ovunque, dove nessuna altra donna del rione è mai arrivata, diventando una chimera per alcuni (Michele Solara impazzisce letteralmente per lei) o un modello da emulare per esprimere se stessi (come nel caso del povero Antonio Carracci). Sarà probabilmente per questo che nel suo caso la maternità diventa un'esperienza dolorosa, vissuta come condizione deficitaria, debolezza che, riassegnandole un ruolo tradizionale e femminile per antonomasia, sembra minacciare la posizione faticosamente conquistata.

    Il confronto finale, in questo meccanismo di riflessi e proiezioni, gioco di specchi che si ripercuote in una storia e un'amicizia che durano per quasi sessant'anni, è quello con la lettrice dei libri. Difficile immedesimarsi subito nelle due protagoniste: le loro posizioni appaiono sempre così estreme e totalizzanti al punto da escludere che chi legge possa riconoscersi più in una che nell'altra. Forse, a ben pensarci, è più probabile che l'immedesimazione avvenga considerando le due amiche come un unico, una sorta di Yin e Yang che dà origine a una totalità femminile in cui riconoscere se stesse proprio perché finiamo per vedere Lila e Lenù come parti di un corpo solo, una donna divisa in due metà e per questo alla sua continua ricerca. Probabilmente è qui che si trova il motivo di un'empatia profonda provata per le protagoniste, una partecipazione sentita e vitale alle loro vicende anche quando queste ci appaiono incomprensibili. Lina e Lenù non sono personaggi che si fanno amare a priori - e a dirla tutta la lettura dei quattro libri è un susseguirsi di delusioni e offese della lettrice verso queste due protagoniste che fanno e disfano di continuo, disattendendo aspettative e smentendo realtà - eppure questo succede ed è inevitabile. Succede perché, a dispetto di tutto, ci raccontano una condizione che ben conosciamo, pur non condividendo sempre principi e pensieri delle due protagoniste. Una condizione di ricerca ma anche di scoperta. Di consapevolezza del proprio essere, da rifiutare poi e tornare a cercare e reinventarsi, in un percorso di donna che è da sempre in continuo divenire.

    Potrei dire molto altro sulla tetralogia di L'amica geniale, potrei dire ancora di più sulla scrittura carica, forte, inglobante di Elena Ferrante. Ma preferisco fermarmi qui, su questi spunti di riflessione che i suoi libri mi hanno regalato, forse l'essenza della sua storia, forse i cardini del suo pensiero o di quello di Elena e Lila, o semplicemente quello che, a distanza di settimane dalle ultime pagine lette, mi è rimasto impresso ed è destinato a non andarsene tanto facilmente.

    Ma che belli i libri così.

    A Natale si può fare (uno spot) di più - gli spot più belli del Natale 2016

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    Tutti voi sapete quanto io ami il Natale, negli anni non ho fatto altro che darvene dimostrazione con post dedicati a qualsiasi cosa - film, libri, musica, dolci, ecc. - potessi associare a quella che è per me la festa e il periodo più belli dell'anno. 
    Visto che mi era rimasto davvero poco di cui parlare a proposito del Natale, e visto che una delle prime regole è quella di scrivere a proposito di ciò che si conosce o si vive, ho pensato di dedicare un post agli spot più belli (a mio modesto parere) di questo Natale 2016.



    Natale può avere molti significati, uno per ognuno di noi, ma è universalmente noto che sia un'occasione eccellente per brand e aziende di fare promozione non solo dei propri prodotti e/o servizi offerti, ma anche e soprattutto della propria immagine. E ben venga se questa avviene nel modo più creativo possibile.
    In Italia non abbiamo una vera e propria tradizione di Christmas Advertising, essendo spesso una promozione incentrata sui prodotti che andremo ad usare durante le feste, ma nel resto del mondo ogni anno c'è un grande fermento per la realizzazione di uno spot che sia una sorta di cartolina di auguri per clienti affezionati o futuri tali e che metta in mostra quella che è l'essenza stessa dell'azienda e i valori che la determinano.

    Grazie a internet e ai social, nelle ultime settimane tutti noi abbiamo sicuramente visto scorrere almeno uno di questi spot e, ammettiamolo, quasi tutti in un modo o nell'altro sono riusciti a catturare la nostra attenzione o, addirittura, a fare breccia nei nostri cuori sempre troppo distratti - e a volte un po' coriacei - dalla vita di tutti i giorni. E allora ecco la mia personalissima selezione degli spot natalizi di quest'anno (li ho messi in ordine di commozione, dove l'ultimo è quello per cui ho già pianto due volte):


    John Lewis - "#BusterTheBoxer"

    Ogni anno la grande catena di department stores John Lewis realizza per Natale uno spot di tutto rispetto capace di generare buzz a suon di innumerevoli meme. E, premettendo che ho adorato il pinguino e il nonno sulla luna degli anni passati, anche questa volta John Lewis ha centrato il segno con uno spot che racconta di un cane boxer e del suo sogno di "volare" all'interno di uno di quei trampolini tanto cari ai bambini.




    Apple - "Frankie's Holiday"

    Uno spot incentrato sui buoni sentimenti quello di Apple, che decide di trasmettere un messaggio di eguaglianza e integrazione attraverso la storia del povero Frankenstein, anche a Natale solo ma questa volta deciso a diventare parte integrante della comunità. Come? Cantando Home for the Holidays dei Carpenters con l'aiuto di una piccola amica.





    Heathrow Airport — "Coming Home for Christmas"

    Ci prova anche Heathrow a farci commuovere per queste feste. Due orsetti anzianotti si muovono in giro per l''aeroporto, un po' stralunati ma comunque decisi ad arrivare alla loro meta e potersi così ricongiungere con tutta la famiglia. Di una tenerezza devastante.





    Meijer - Santa Claus Commercial 2016

    Altra catena, questa volta americana, questa volta con un video dedicato a tutti coloro che credono. A cosa? A Babbo Natale ovvio! Allo stesso modo dei bambini protagonisti dello spot, lo spot è un invito a continuare ad avere fede e a credere alla magie che solo le Feste sanno regalare. Per una believer come me, che ogni anno ha pronta la sua letterina indirizzata al Polo Nord, questo commercial è semplicemente bellissimo!






    Allegro - "English for Beginners"

    Dalla Polonia con amore. L'azienda polacca di e-commerce Allegro ha realizzato questo commovente video diventato subito virale, dove un adorabile nonno segue un corso on line per principianti per imparare l'inglese. Lo scopo? Poter salutare per la prima volta la sua nipotina che vive negli Stati Uniti! Se siete dalla lacrima facile, siete avvisati! Di sicuro lo spot più bello e commovente di quest'anno!








    Fuori lista: H&M — "Come Together"

    Contravvenendo alle premesse che vedono i brand in preda a un sentimentalismo che ne basterebbe la metà, H&M quest'anno decide di puntare tutto sullo stile, come è giusto che sia. Il risultato è uno degli spot natalizi più iconici di sempre, firmato da niente meno che Wes Anderson. Il regista ci racconta, con il suo stile riconoscibile fin dal primo frame, di un fantomatico treno Winter Express in ritardo il giorno di Natale. E per evitare che i suoi passeggeri (tutte modelle filiformi, un paio di manzi e un bambino solo chissà poi perché) si perdano i festeggiamenti, il capotreno Adrien Brody, attore feticcio di Wes, organizza un festa di Natale in un vagone decorato nel modo più glamour possibile. Ok, lo spot non è dei più emozionanti e mete in evidenza quanto non sia possibile ingabbiare il genio di un regista del calibro di Wes nei pochi minuti di un commercial, ma è indubbio che il brand di moda low cost abbia fatto la scelta più indovinata per la propria immagine e lo spot merita un posto d'onore per queste feste. 



     

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