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Channel: Una Fragola al Giorno
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Era da un po' che non ci si sentiva...

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Era da un po' che non mi facevo vedere da queste parti.


Lavoro che lasci lavoro che trovi, traslochi, viaggi, amici che vanno e amici che vengono, amori falliti e amori nati e pare destinati a durare, le domeniche pigre, i sabato in coma, l'estetista, gli apericena, i cinema improvvisati, i letti da fare e disfare, le sconfitte e le gratificazioni, le sorelle da seguire, la spesa che dimentichi sempre qualcosa, le lavatrici sempre all'ultimo minuto, le consegne a domicilio, le serate che non hai più vent'anni ma le fai lo stesso, i compleanni,  le mostre per rilassarsi e fingere di essere sul pezzo, i libri letti quando non sei stanca morta, Netflix, il prossimo episodio che comincia in 3, 2, 1 secondi, le deadline mai rispettate, gli insight di Facebook e le strategie di comunicazione, il mio lavoro fa schifo il mio lavoro mi piace, le Instagram Stories, il brivido quando controlli i soldi che hai sul conto, i saldi che non compri mai un cazzo, i vestiti amati e che poi non ti piacciono più, lo shopping compulsivo on line, il mare due settimane l'anno, l'indie italiano e le canzoni di Calcutta, i biglietti per Cosmo e i TheGiornalisti per favore no, il freddo e la neve, il caldo e l'afa, le primavere al parco, gli autunni e le foglie da fotografare, io che cerco di dormire ma tanto come sempre sono insonne...

Succedono tante cose nella vita di una persona che non ti accorgi che sono due anni che non aggiorni questo blog. Mettici pure che ti hanno detto che il blogging è morto ed è un attimo che non ti fai viva da queste parti.

Eppure adoravo stare qua. Eppure sento la mancanza di ciò che succedeva in questo luogo.

E boh. Forse potrei tornare. Forse è solo la follia di un giovedì notte, un rimpianto per un tempo che c'è stato e che non sai bene perché ti manchi.

Forse, invece, è la rinascita di qualcosa di nuovo, di diverso. Una fenice.

Forse semplicemente devo andare a dormire.

Ma chissà...

Intanto vi mando un saluto, qualcosa che avrei dovuto fare da tempo e che mi sentivo in colpa ad aver lasciato in sospeso.

Se non dovessimo più vederci, sarà la chiusura di un cerchio. Buona vita e cercate di non usare troppi filtri su Snapchat quando vi fate i selfie (non scherzo, ci sono in giro troppe orecchie da cane, è un attimo e si perde il controllo, esperienza personale eh)

Se invece mi rifaccio viva, vorrà dire solo una cosa. I'm back.
Forse.
Forse no.

Vabeh.

Ciao.


- Photo by Bryan Minear on Unsplash


Lady Bird: come ricordarsi che crescere fa schifo e riderci su

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Qualche giorno fa sono andata al cinema a vedere Lady Bird

La storia in breve è quella di Christine, che si è ribattezzata Lady Bird per dimostrare la sua unicità rispetto all'ambiente che la circonda e  che pretende che tutti la chiamino così, famiglia inclusa, e del suo passaggio dall'adolescenza monotona e pigra per raggiungere quell'età adulta tanto agognata e potersi così allontanare dall'indolenza della sua città natale, Sacramento in California, verso i lidi ben più stimolanti di una metropoli multiculturale come New York. Il film è diretto da Greta Gerwig, al suo esordio come regista, ed è interpretato da una bravissima Saoirse Ronan, che per la sua interpretazione ha vinto il Golden Globe come migliore attrice in un film commedia e ha ricevuto la nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista, un'intensa Laurie Metcalf e un Timothée Chalamet (che abbiamo amato molto per Chiamami col tuo nome) in versione bad boy. 


Il film ha ottenuto cinque nomination agli Oscar e assolutamente non a torto, dato che la storia di Lady Bird colpisce per la sua delicatezza e al tempo stesso per l'intensità con cui viene raccontata, condensando nella pellicola non solo quello che è un passaggio di iniziazione all'età adulta come la scelta del college e quindi del proprio futuro (negli States si tratta di un passaggio ancora più sentito che da noi, dove molti ragazzi continuano a vivere con le famiglie di origine anche dopo essere andati all'università), ma anche quello che significa essere un giovane di diciassette/diciotto anni, quando la vita comincia a non apparire più così leggera, quando ci sono già delle scelte da compiere e delle responsabilità da assumersi, eppure il domani continua ad avere tutto il fascino dei sogni che coltiviamo fin da piccoli, tutto è ancora possibile e non vediamo l'ora che la vita, quella vera, cominci. 

L'azione, in particolare, si sviluppa lungo l'ultimo anno di liceo di Christine, periodo di grande importanza per la crescita della ragazza, mettendo in luce il rapporto che forse più di tutti contribuirà a plasmare l'identità di Christine, quello con la sua famiglia. La madre di Lady Bird è una donna indurita da una vita non semplice, tra doppi turni e difficoltà familiari di ogni tipo, dai soldi che sono sempre troppo pochi a un figlio laureato che si mantiene di lavoretti e un marito disoccupato che soffre di depressione, ed è naturale che finisca per scontrarsi con una figlia giovane e pronta a spiccare il volo, in un contesto sociale dove prevale la paura e l'amara realtà e che le impedisce di condividere e incoraggiare le aspirazioni della ragazza. I loro conflitti sono sempre duri ed esasperanti e il loro rapporto si snoda tra i momenti delle reazioni violente, di grande disperazione e rabbia delle due donne, alternati da quegli attimi di pace e riconciliazione che aiutano ad andare avanti.
Mentre guardavo il film ho pensato spesso ai miei litigi con mia madre, anche noi in macchina o in casa, le crisi isteriche e i momenti di silenzio, io con la voglia di andare lontano e lei pronta a ricordarmi che la vita non è sempre come i libri che amavo leggere o i film che adoravo rivedere fino allo sfinimento. Si trattava di preoccupazione genitoriale e paura di perdermi, che oggi riesco quasi a comprendere e che all'epoca non tolleravo minimamente, sempre pronta a reazioni esagerate proprio come Lady Bird. Eppure, i miei genitori come quelli di Christine, alla fine ci hanno lasciate andare e ci hanno fatto crescere, orgogliosi di noi e di chi saremo. La scena della telefonata di Christine ai suoi genitori è forse uno di momenti in cui riconoscersi di più, quel momento in cui capisci che qualcosa nella vita sta cambiando davvero e che, se sei in grado di diventare grande, o almeno di provarci, lo devi proprio ai tuoi genitori. 
Quanto della nostra vita e della nostra persona dobbiamo alla nostra famiglia? Quanto le abitudini e le tradizioni familiari hanno e continuano a influenzare le nostre scelte, il modo in cui ci relazionano con gli altri, le decisioni che prendiamo?

Greta Gerwig, candidata all'Oscar per la regia e per la sceneggiatura originale, ha colto nel segno mentre ci racconta di Christine, della sua famiglia, delle sue amicizie e delle sue esperienze con il sesso e i sentimenti, ponendo l'accento sulle dinamiche chiave dell'adolescenza in modo così delicato, attento e genuino da apparire tutto assolutamente credibile, dosando con cura la leggerezza che contraddistingue quell'età, con effetti quasi comici su scene in cui è impossibile non sorridere, come di fronte ai tentativi impacciati di Christine con l'altro sesso o a quei gesti ingenui e teneri tipici di una qualsiasi teenager che si rispetti, alla malinconica tristezza intrinseca a quella fase della vita sia per i ragazzi direttamente coinvolti che per le loro famiglie, alle prese con qualcosa di nuovo e sempre imprevedibile, non importa quanto tu ti sia preparato per affrontarlo. Crescereè davvero una fatica e la Gerwig ce lo racconta senza sconto alcuno, facendo tesoro della sua esperienza personale e di quella dei suoi amici, che vengono rivissute proprio nel luogo di origine della regista, quella Sacramento provinciale e immobile da cui Lady Bird vuole tanto scappare ma che, forse proprio per questo rapporto di amore e odio, resterà uno dei cardini della sua vita, una volta spogliatasi del suo nome fittizio e pronta ad affrontare la realtà come Christine, e di quella della regista che l'ha portata sul grande schermo.

Inutile dire che Saoirse Ronanè perfetta per la parte di Lady Bird, capace di regalarle freschezza e grinta oltre che quel tocco di weirdness che la rende irresistibile. Le fa da controparte un'ottima Laurie Metcalf, che veste i panni di una madre preoccupata e allo stesso tempo ispirata dalla figlia, per la quale ha paura me che stima per il grande coraggio e per i sogni così forti da correre il pericolo di essere davvero realizzati. Il risultato è un rapporto madre-figlia doloroso e potente, energico, vivo, un confronto continuo tra due parti che cambiano e si evolvono, un percorso a due dove l'uno si fonde nell'altro (come nella scena di Christine che guida per la prima volta sola lungo le strade della città ricalcando le azioni di sua madre) per rimarcare similitudini e differenze, una danza al ritmo dei loro cuori destinata ad accompagnarle per tutta la vita. 

Insomma, l'adolescenza non è stato un periodo facile per nessuno di noi e Lady Bird si dimostra una commedia deliziosa e tenera capace di ricordarcelo, una storia dolce amara che però ci aiuta anche a sorridere e, perché no, a commuoverci di una fase della vita che, in tanti modi diversi, si rivela fondamentale per capire di più chi siamo. 




Il disco di marzo: Ancora Meglio - CIMINI

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Sopra letti di gomma, sulle sedie in coralle 
Sotto il cielo d'inverno, nelle piste da ballo 
Non ho ancora capito qual è il posto migliore per me
- La legge di Murphy
Quasi alla fine di questo mese, posso dire con una certa sicurezza che il disco che ho amato di più a Marzo è stato "Ancora meglio" di CIMINI

Uscito il 9 Marzo per Garrincha Dischi, Ancora meglio era stato anticipato a Novembre dal singolo La Legge di Murphy, un brano che inizialmente ti pare essere una scopiazzata di Calcutta ma che, a sentirlo bene, in realtà ti conquista per un fondo malinconico e, a dirla tutta, un'aurea di depressione piuttosto personale e originale. 

Sarà che noi ci abbiamo già provato e abbiamo perso, ma
Io spero che ci sia un'altra possibilità
- Un'altra possibilità

In effetti Cimini, parole sue, arriva alle canzoni di questo album dopo un periodo di incertezze, in cui si sentiva piuttosto demoralizzato e non più tanto sicuro di volere e riuscire a vivere della sua musica. Pare che a convincerlo sia stata una chiacchierata con Brunori, il quale lo ha spinto a ritornare sui suoi passi e lavorare nuovamente all'album. 

Sono giorni che mi pesa tutto
E di notte non mi stanco mai
Dai restiamo tutto il giorno a letto
Il vento è storia lo sai 
- Una casa sulla luna

Cimini, calabrese di origine e bolognese di adozione, vive l'influenza di Brunori non solo per l'impegno ritrovato per la sua musica, ma anche nella scrittura e nell'arrangiamento dei suoi brani, apparentemente semplici ma in realtà racconti di momenti di vita e stati d'animo molto più complessi di quanto si possa pensare a un primo ascolto, dove si intravede una ricerca, un tentativo di andare oltre il ricalcare la strada aperta dai Cani, Calcutta, lo stesso Brunori, Motta ecc., cercando un'impronta distintiva e identitaria. La rarefatta Una casa sulla Luna ne è un esempio. 

E adesso che è primavera
Vuoi ballare sopra i prati illuminati
Con la bici e con gli occhiali da sole
Le canzoni escono fuori dalle macchine e dai bar
Ma poi tu accendi la TV
- Sabato Sera

Ancora meglioè un album decisamente empatico e contemporaneo, nel quale ritrovarsi nei brandelli di versi e nelle situazioni quotidiane descritte in un misto di leggerezza e intensità, ma è anche una prova di cantautorato ispirato e vivido. Pur trovandosi perfettamente immerso nel mare di artisti e cantanti dell'indie pop italiano, di cui Cimini fa sicuramente parte, Ancora meglio riesce a farsi apprezzare per quel salto di qualità in più che si intravede in brani ben riusciti come Sabato Sera, Un'altra possibilità e Vivere non mi basta.

Insomma, di strada ce n'è sicuramente ancora da fare ma i presupposti ci sono tutti: Cimini ci piace e molto e Ancora meglioè un album da ascoltare e riascoltare, felici che ci sia finalmente qualcosa di nuovo e diverso in circolazione.



Indomite: Storie di donne che fanno ciò che vogliono

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Un giro in libreria e mi imbatto in questo volume azzurro, con le figure lucide di color rosso scuro, brillante e deciso come le protagoniste di cui il libro si ripromette di raccontarne le vite. Inutile dire che in una decina di secondi avevo già deciso che quel volume illustrato dovesse tornare con me a casa. 

Con Indomitevol.1, edito da BAO Publishing, è stato amore a prima vista.


Indomiteè una raccolta di 15 storie raccontate dal tratto della fumettista francese Pénélope Bagieu, la quale mette la sua arte e i suoi colori al servizio delle donne protagoniste del suo libro (best-seller in Francia con 250.000 copie vendute). 15 donne molto diverse, appartenenti a mondi ed epoche distanti tra loro, ma tutte accomunate da una grande forza d'animo, da una determinazione che non conosce SE e MA e che le rende senza paura e decise a superare circostanze e restrizioni sociali e culturali. Indomite, appunto, ma soprattutto libere

La libertà, di agire, di pensare, di parlare, di amare, è proprio il centro focale di queste storie al femminile e ne determina il loro valore. Indomite, come altre raccolte sempre iscritte al filone, si propone di riportare alla luce storie di donne straordinarie, che hanno compiuto gesti incredibili e hanno fatto scelte di vita rivelatesi poi fondamentali non solo per loro stesse ma anche per l'intera società umana, diventando pioniere e simbolo di un modo di essere donna che, anche nel suo piccolo, non deve chiedere scusa ma anzi decide di prendersi la libertà che le spetta e ottenere ciò che merita, anche a costo di pagare un prezzo molto alto. 

La dimensione individuale delle storie di Indomiteè forse ciò che mi ha colpito di più. Pénélope Bagieu racconta in modo brillante e ironico storie all'apparenza "piccole", mettendo in risalto come queste donne agiscano spinte da esigenze personali per rispondere a un desiderio di felicità contrastato, a una vita che non si adatta al loro spirito, a una società che le soffoca. Per poter essere sé stesse sempre, nel bene e nel male, ed avere anche loro la possibilità di essere felici. Ed è in queste risposta che si rivela la loro straordinarietà e rende le loro vite e scelte individuali importanti per tutti quanti noi, perché con la loro esistenza hanno contribuito a cambiare il mondo e sono diventate parte integrante della lotta ai diritti di tutte le donne.
D'altronde, un mondo migliore è proprio quello in cui una donna, al pari di un uomo, può rivendicare in maniera indipendente e senza limitazioni dettate dal genere il proprio ruolo nel mondo, qualunque esso sia. 

Ecco quindi spuntare dalle pagine di questo libro le sorelle Mariposas, capaci con la loro sola presenza di opporre resistenza a un regime, oppure Annette Kellerman, che per nuotare meglio se ne frega delle convenzioni e inventa il costume moderno, o ancora Christine Jorgensen, nata donna nel corpo di uomo e decisa a lottare per poter avere l'aspetto e l'identità che desidera, oppure Wu Zietan, temibile imperatrice cinese capace di condurre il suo impero verso un periodo illuminato di riforme e progresso. 

Un libro davvero piacevole e frizzante, divertente e geniale in più punti, meravigliosamente illustrato e dall'animo forte, sincero, energico per raccontare queste meravigliose donne senza leziosità e nel modo più autentico. Un libro con una missione di fondo di grande importanza: quella di essere letto, amato e poi passare di mano in mano, alle amiche ma anche agli amici, alle sorelle e alle madri ma anche ai fratelli, ai padri, a tutti. Perché queste storie diventino parte integrante della nostra e siano d'ispirazione al cambiamento, oggi più importante che mai. 


Il Disco di Aprile: Deluderti di Maria Antonietta

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Gli altri, sì sono gli altri, inarrivabili
Sempre altrove, io sempre qui
È una questione di prospettiva
Perfetta subito o imperfetta per l'eternità
- Pesci

Aprile è stato un mese di esplosione primaverile: sole, fiori, calore, cieli blu, amori felici, positività, aperitivi nei dehor aperti, "la vita è bella scialalala" e così via. 
E in questi giorni di rinascita e liberazione, ha fatto breccia nel mio cuore un album tanto semplice quanto forte, intenso e contraddittoriamente leggero come quello di Maria Antonietta, intitolato "Deluderti".

Non assomiglio ad una linea di contorno
Quella la disegnano gli stronzi come te
Probabilmente sì, sarebbe molto facile
Esistere in una forma semplice
- Deluderti

Un titolo che è il cuore del disco ma anche una dichiarazione d'intenti come può esserla quella di una donna che ha superato varie fasi di accettazione di sé, del proprio sguardo e di quello degli altri, del controverso passaggio alla maturità e alla consapevolezza di pregi e difetti come non punti di debolezza ma di forza, per arrivare alla gloriosa conclusione che essere se stessiè la migliore arma per andare alla conquista del mondo, incuranti dei giudizi altrui e delle aspettative della società, persino di chi dice di tenere a noi.

Nessuna delusione specifica
Nessuna vittoria
Soltanto una manciata di terra in più su cui camminare sopra
Come facevi quando avevi meno anni e più stomaco
- Stomaco

"È una questione di prospettiva" dice Maria Antonietta  e non potrebbe essere più chiaro di così: non siamo linee di contorno, non possiamo essere costretti all'interno di limiti e confini imposti dall'esterno, dalla volontà di compiacere sempre chi ci sta accanto tradendo un po' noi stessi, e allora essere liberi significa anche avere il coraggio di "deludere", per poter trovare quella prospettiva di felicità che si adatta a noi e a noi soltanto e, finalmente, raggiungerla. E se qualcuno ha da ridire, sono problemi suoi.

Io sono l'oceano e tu neanche un pesce
Mi piace dire un mucchio di stronzate
Almeno sono divertente
Mentre tutte le cose tristi che mi dite mi fanno essere peggiore
Mi giudichi come si giudica un libro dalle figure
- Oceani

Nel panorama "indie" italiano non è facile trovare voci femminili ed è quindi sempre un piacere ritrovarci un'artista come Maria Antonietta. 
Deluderti arriva dove non era riuscito ancora "Sassi", a coniugare la grinta del suo passato "punk", all'epoca di "Maria Antonietta", con una maggiore riflessione e introspezione sviluppate nel tempo, insieme a una incredibile delicatezza tutta femminile, nata probabilmente dall'approccio più maturo a musica e testi da parte della cantante.
Maria Antonietta mette in mostra le sue mille sfaccettature e una complessità che si dispiega lungo tutto l'album e che si riesce a intuire e apprezzare ascoltando tutte le 9 tracce che lo compongono. 

Quanto vi affezionate facilmente alle abitudini
Io non ne ho, sarà per questo che penso spesso
Quanto la vera vita stia altrove ed io non la conosco
Se non quando sto con te
- Abitudini

Insomma, inutile che vi ripeta quanto io stia amando questo album.
I miei brani preferiti? Deluderti, Stomaco, Oceani, Pesci

Per i vostri, lascio a voi decidere quali vi colpiranno di più. Baci a tutti. 





E anche quest'anno... il Salone del Libro 2018!

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"Ma quindi anche quest'anno..."
"Eh certo... credi che possa farmelo mancare?"
"Mai! Se c'è una certezza nella vita è questa!"


Classico discorso in quel di maggio per la sottoscritta con i suoi amici e conoscenti. Chiunque mi conosca sa che nei giorni che vanno tendenzialmente dal 9 al 15 del mese io sarò impegnata sicuramente su un solo unico, amato fronte: il Salone del Libro di Torino

Certo, negli anni come tradizione si è plasmata alla mia vita, da 5 giorni fissa al Lingotto mi sono ridotta a una sola giornata in fretta e furia, ma mancare no, non riesco, non posso, non voglio. 

E così siamo arrivati a questa edizione 2018, l'edizione della conferma della visione di Nicola Lagioia, dei grandi ritorni dei grandi gruppi editoriali dopo la pausa dello scorso anno, l'edizione dei record, ma in fondo, l'edizione che conferma il Salone a se stesso, una grande manifestazione culturale che agita, diverte, allieta, fa anche incazzare, ma la cui anima resta sempre la stessa. 

L'atmosfera è inconfondibile. Elettrica e rilassata allo stesso tempo, tutti trovano la loro dimensione e il loro spazio, sia chi corre da un padiglione all'altro sia chi decide di passare il tempo per lo più passeggiando o accomodandosi su una delle poche panche esistenti. La frenesia di una grande macchina che si muove non senza qualche scossone, di un'organizzazione tutt'altro che precisa e con diversi scivoloni, ma anche la sicurezza di chi ha dato tutto e riesce, ancora una volta, a ricreare quella magia.

Non c'è niente da fare, o si ama o semplicemente non lo si è capito.

E quindi, cosa mi porto dietro da questo #SalTo18?

Alcuni fondamentali.
Le file chilometriche che, non sai perché, ma al Salone le fai con piacere quando solitamente ti lamenti anche se hai una persona davanti alla casa veloce del super.

Le chiacchiere tra lettori, che sono tutti lì come formiche impazzite a spostarsi tra uno stand e l'altro e cercano di convincere gli altri che "quello merita tantissimo!" oppure ti guardano mentre leggi la quarta di copertina di un libro a caso e ti sorridono come se tu fossi un ingenuo figlio dell'estate e stessi tentando di comprendere una verità di cui loro sono custodi già da tempo e praticamente ti inducono l'acquisto con il loro sguardo di chi la sa lunga. 

Le passeggiate rigeneranti lungo i padiglioni, tra pagine e idee, tutte affascinanti.


E poi qualche novità di quest'anno. 
Il sorriso timido di Nova, autrice freschissima di Bao Publishing, che sui social te la immagini una che spacca i culi (e forse è effettivamente così nella vita di tutti i giorni) ma che durante l'incontro di domenica si è dimostrata essere in fondo una "tenerella", tra l'imbarazzo per la sua prima volta al Salone e un riserbo che quasi commuove. 

La scoperta di una grande storia d'amicizia tra Alessandro Baronciani e Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti, che ci hanno aperto un mondo fatto di interconnessioni tra la metà dei cantanti che ascolto su Spotify e l'altra metà di autori che leggo. Adoro.

L'orgoglio per un'amica sul cui talento non hai mai avuto dubbi e che ora lo ha reso noto a tutti con la sua prima pubblicazione: Il Gran Balùn di Lucia Moschella e Stefania Arcieri (Verbavolant)

Una wishlist che ormai ha raggiunto l'infinito: tra i tanti desidero fortemente Marie aspetta Marie di Madeleine Bourdouxhe e Tokyo Express di Matsumoto Seichō per Adelphi,  Avviso ai naviganti di Annie Proulx per Minimum Fax, Una donna di Annie Ernaux per L'orma, Il re bianco di Davide Toffolo per Bao, Uno scià alla corte d’Europa di Kader Abdolah per Iperborea.

Un bottino piccolo ma molto soddisfacente: Macerie prime - Sei mesi dopo di Zero Calcare, Stelle o sparo di Nova, Guardati dal beluga magico di Daniel Cuello, Atlante delle meraviglie di Danilo Soscia. 

La consapevolezza che è cambiato il mio modo di leggere e anche di vedere il mondo editoriale, ma che continuo a pensare che sia uno dei settori più belli in cui lavorare. E che fortuna sarebbe poterne fare parte...

Infine, la soddisfazione per quella che continuerai a considerare una delle giornate più belle dell'anno e la sensazione di far parte di una grande, caotica, curiosa famiglia, una comunità trasversale e composita, multilingue e multiculturale con cui condividere un'esperienza unica, le cui emozioni e impressioni ti accompagneranno per i prossimi 365 giorni fino al momento in cui vi rivedrete il prossimo anno.

"Quindi anche quest'anno ti è piaciuto?"
"Da matti..."
"Chissà se l'anno prossimo..."
"L'anno prossimo ti trascino con me!"


Il disco del mese: Evergreen di Calcutta

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E adesso che mi lasci solo
Con le cose fuori al posto loro
- Pesto


Sarà difficile dire qualcosa che non sapete già di Calcutta. Forse l'unica è che io l'adoro da quando uscì Mainstream nel 2016, dal giorno in cui per caso ho ascoltato distrattamente "Cosa mi manchi a fare" e mi ci sono ritrovata dentro come se quella canzone fosse stata scritta per me, su di me, con me. E forse un'altra cosa che non sapete è che non vedevo l'ora arrivasse il 25 maggio per ascoltare il suo nuovo album, Evergreen, dopo 3 singoli usciti nel corso degli ultimi mesi che sono riusciti a rapirmi nel giro di 4/5 ascolti. E quindi ora Evergreen è in ascolto ovunque, a casa, in autobus, al lavoro, prima di andare a dormire. 

E adesso che mi prendi per la mano vacci piano
Che se mi stringi così
Io sento il cuore a mille
Sento il cuore a mille
- Paracetamolo 

Ok, direte voi, Calcutta non è poi sto cantautore pazzesco che proprio non te lo puoi perdere, stai esagerando. Forse. O forse invece è proprio uno di quelli a cui non daresti due centesimi di credibilità e poi te ne innamori e capisci che ogni canzone ha un suo perché, un suo senso o molteplici sensi o forse nemmeno uno ma che importa, una freschezza mista a quel qualcosa che conosci già da tempo, che ti porti dietro e a cui non sai dare un nome e che grazie alle sue canzoni all'improvviso irrompe fuori e ti lascia sorpreso e stranito, ma in modo piacevole, come quel dolore che fa male ma in fondo un po' ci speri perché ti piace. 

E se ti parlo con il cuore chiuso
Rispondi tanto per fare
E se mi metto davvero a nudo
Dici che ho sempre voglia di scopare
Servirebbe un secondo in più all'anno
Per fare un respiro profondo
Per rilassare le spalle
- Orgasmo

Ascoltare Evergreen significa sprofondare in queste sensazioni mentre ci si abbandona a un mare di nostalgia. Nostalgia non si sa bene per quale tempo e quali luoghi, perché Evergreen alimenta una dimensione quasi onirica, fatta di riferimenti nazional popolari estrapolati dal loro contesto e per questo a tratti grotteschi a tratti immaginifici, di ricordi che non appartengono a nessuno in particolare e che quindi sono di tutti, di personaggi "rubati" alle loro leggende per diventare simboli di stati sentimentali che li rende più vicini e intellegibili, di città che si susseguono in una geografia dell'immaginario, in un viaggio che non si sa quando è iniziato e che chissà quando finirà.

Ti ricordi?
Andavamo a passeggiare nei ricordi
Come non ne ho visti più
E non è vero che mai ti mancherà
Il mio sguardo da lontano e le luci di città
- Briciole

Arrangiamenti melanconici (a mio parere qualitativamente superiori a Mainstream) si accompagnano a testi dai versi spesso enigmatici, con giri non sense e giochi di parole ai limiti del surreale, a volte lampanti e assolutamente trasparenti. Tutto appare confuso e poi all'improvviso è tutto così chiaro... 
C'è una potenza che nasce da un simbolismo diffuso in tutti i suoi brani, fatta di elementi che sono tutt'altro che misteriosi, ma che appartengono a un linguaggio, agli usi, alle abitudini di tutti al punto da poterle definire banali. Ed è lì che si rivela una grande consapevolezza e cioè quanto sia impossibile pensare di avere la chiave per interpretare la strada di Calcutta perché forse ce n'è più di una o forse, semplicemente, non esiste. 

La cosa più bella che hai è la tua saliva
Che risbatte forte come il mare
I miei pensieri a riva
- Saliva

E insieme al mistero, la tenerezza. Di quella che ti avvolge e ti travolge. Di quella delicata e intima, nella quale rifugiarsi nei momenti più raccolti della giornata, come in Hübner, brano che già amo follemente e che forse è il pezzo più forte tra quelli non divenuti singoli, o come in Briciole o Salivama che è anche capace di esplosioni e scintille in cui riversare tutto il sentimentalismo di cui siamo capaci, come in Pesto, Paracetamolo, Orgasmo, a mio parere la più bella in assoluto. 


Forse noi dovremmo fare come Dario Hübner
Per non lasciarci soli mai a consumare le unghie

Hübner

Dopo Mainstream, Calcutta avrebbe potuto percorrere dei percorsi tutto sommato prevedibili e forse desiderati, invece con Evergreen ha scelto di seguire un percorso inaspettato, laterale, fuori contesto, rallentando, facendo qualche curva velocemente e altre dolcemente, fermandosi a guardare il panorama qui e là, e forse proprio per questo è destinato a rimanere unico



Una donna - Annie Ernaux [Recensione]

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Un'estate al femminile. Non vorrei sembrare monotematica, ultimamente parlo solo di donne, scrittrici, artiste, eroine, ecc... eppure per queste vacanze, dovendo scegliere, ho deciso di portarmi dietro due libricini scritti da donne con protagoniste donne. Girl Power.

Tra i due, c'era Una donna di Annie Ernaux, pubblicato quest'anno da L'orma Editore. E come immaginavo e speravo, mi sono ritrovata di nuovo affascinata dalla scrittura di Ernaux, così come era stato per Gli anni, il suo libro più famoso (fu Premio Strega nel 2016) e che vi consiglio caldamente. 
Impossibile non farsi conquistare, impensabile non leggerla e incredibile non averlo fatto prima. 

La scrittura di Annie Ernaux è forse una delle forme più personali, originali, intime e allo stesso tempo corale, universale e diretta che mi sia mai capitata durante la mia esperienza di lettrice. La scrittrice francese si serve della scrittura e del linguaggio per raccontare una storia legata alla sua vita, o quella dei suoi familiari, e così facendo eleva questi racconti, provenienti dalle scatole in soffitta e dai vecchi album di foto e ricordi, a testimonianze di modi di vivere, pensare, agire, riconoscibili da tutti perché emblema della società in cui autrice e lettore sono immersi, raccontandone così, attraverso gli anni che passano e i protagonisti che maturano ed invecchiano, la sua evoluzione.

Una donnaè il libro che la scrittrice dedica a sua madre. Inizia a scriverlo pochi giorni dopo la scomparsa del genitore, ancora incapace di realizzare la perdita e imparare a conviverci. Scrivere della madre diventa così un percorso di consapevolezza oltre che di riscoperta, di dinamiche familiare ma anche sociali, di giorni ormai passati che sono però la struttura portante della sua esistenza.
La scrittura diventa così superficie riflettente, mentre il racconto si fa rivelazione della persona che c'era oltre al ruolo di "madre": ragazza di campagna che sfugge alla terra per essere operaia a inizio XX secolo, giovane donna grintosa e volitiva che con il marito realizza il suo piccolo grande sogno (un negozio alimentari in un'epoca in cui la grande distribuzione non esisteva ancora), difendendolo energicamente dalla guerra e dagli anni che la seguiranno, matriarca a tempo pieno, felice di vedere la figlia condurre la vita che aveva sempre sognato per lei, infine bozzolo di cui prendersi cura e a cui mancano memoria e parole, ma ancora tenacemente attaccata alla vita.

Le stagioni della vita di questa donna vanno di pari passo con le epoche e gli avvenimenti storici, con un mondo che non si ferma ma evolve, si reinventa, diventa più complesso e non smette di mettere alla prova la protagonista del racconto ma anche l'autrice, la figlia testimone di questa esistenza. Il concetto di testimonianza sottende l'intera narrazione, come importante chiave per interpretare una mentalità, un'epoca, una vita intera e, incluso, la sua fine. 

Ci sono momenti molto delicati tra quelli che Annie Ernaux trascrive nel suo libro, soprattutto quando la malattia della madre è ormai molto grave, dove ci si commuove, molto anche, e poi episodi in cui è facile intuire la rabbia, il disagio, il conflitto e avvertirli sulla propria pelle, intensi. È in quei casi che si avverte il passaggio da una storia familiare, riservata, a una dalla condizione più generale ed umana, in cui confluiscono tutte le storie, tutte le madri e tutte le figlie con le loro contrapposizioni, le loro lacrime, i loro abbracci, il loro legame impossibile da spezzare, neanche dopo la morte. 

Una donnaè il lascito commosso, autentico, unico della sua esperienza di figlia nella storia del mondo. E al contempo un atto d'amore, l'unico modo dell'autrice per rimarcare un rapporto indissolubile attraverso le parole, un rito necessario per imparare a leggere l'esistenza e se stessi, in cui riconoscersi e provare a comprendere qualcosa di più di questo viaggio che è la vita e lo scorrere delle generazioni. L'universo in un abbraccio, l'amore in una frase. 

“Era necessario che mia madre… diventasse storia perché io mi sentissi meno sola e fasulla nel mondo dominante delle parole e delle idee in cui, secondo i suoi desideri, sono entrata”


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Annie Ernaux
Una donna
traduzione di Lorenzo Flabbi
2018, pp. 112
L'orma Editore


Matera: 3 motivi per innamorarsi della città dei Sassi

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Quest'estate ho realizzato un piccolo desiderio che avevo da diverso tempo: visitare Matera
Ebbene sì, cari amici, non ero mai riuscita ad andarci e questa lacuna me la portavo dietro da un po'. Così, complici due settimane di vacanze iper rilassanti e senza troppi scossoni, ho convinto la family e siamo partiti alla volta della città dei Sassi. E naturalmente ci siamo innamorati. Dal primo istante. 
Ormai non riesco più a togliermela dalla testa: le sue strade dove si respira storia e tradizione, il suo belvedere a picco sulla gravina, questo straordinario canyon che ospita gli uomini e le loro vicende fin dalla notte dei tempi, i suoi colori e il suo cielo, la sua atmosfera unica, che sa di passato e orgoglio ma anche futuro e nuove prospettive
Probabilmente avrete sentito e letto tanto di Matera, ma se non vi dispiace leggerne ancora, vi racconto i motivi che la rendono per me così speciale.



1. Matera è il posto perfetto per perdersi

Non so voi, ma io quando sono alla scoperta di un posto nuovo amo perdermi tra le sue vie. Ma non in senso poetico, letteralmente perdere l'orientamento, gironzolare curiosando qui e là e poi ritrovare la strada di casa. A volte, se sono in gruppo, faccio deliberatamente finta di attardarmi o di rallentare per poter deviare percorsi e guardare cosa c'è oltre la rotta che abbiamo designato. E Matera è forse una delle città migliori in cui lasciare la strada battuta e perdersi nei suoi vicoli, tra le sue case arroccate. I due rioni si inerpicano sulla Murgia e creano un labirinto di strade, popolate ora da turisti, un tempo dagli abitanti di quelle case che sono la storia della città. I Sassi sono un esempio di architettura ecosostenibile capace di alimentarsi ed evolversi in maniera autonoma grazie alle risorse dell'ambiente, ma soprattutto grazie all'attività collettiva nel corso dei secoli: basti pensare al sistema di cunicoli e cisterne usati in passato per la raccolta dell'acqua, la cui principale manifestazione è il Palombaro Lungo, un enorme cisterna sotterranea riscoperta dopo decenni di oblio. Una collettività, quella materana, ancora forte tutt'oggi, che si manifesta in un amore per la propria città rintracciabile un po' ovunque nelle parole e nei gesti dei cittadini che si incontrano sia tra le cave antiche e le chiese rupestri del Sasso Caveoso, sia tra le abitazioni più moderne, interamente costruite ma pur sempre con la stessa roccia originaria, il "tufo" come viene chiamato da queste parti, del Sasso Barisano. Un saliscendi continuo, con un profilo che ti spinge a cercare sempre il cielo, in cui perdersi è davvero un immenso piacere.


2. Wow che panorama!

Se la città di Matera si presenta come un presepe a cielo aperto, un vero e proprio spettacolo per gli occhi, nulla ha da inviare il paesaggio che si può osservare praticamente un po' ovunque lungo i due Sassi. Si tratta di un panorama mozzafiato, che riempie gli occhi ma anche il cuore. Il centro storico della città, infatti, si affaccia su uno scenario davvero unico caratterizzato dalla "Gravina", l'insieme di solchi vallivi e grotte scavate nella roccia che caratterizza il Parco della Murgia, un canyon affascinante e suggestivo, dove l'uomo è riuscito a insediarsi fin dalle sue origini (qui si trovano resti di insediamenti umani risalenti al neolitico). Il suo fascino è tutta nella sua essenza, aspra e quasi inaccessibile, con una natura che sa conquistare il suo spazio e mantenerlo nonostante la presenza degli uomini e valloni inaccessibili e impervi. È una terra che ha mantenuto la sua anima selvaggia, alla quale è l'uomo che ha imparato ad adeguarsi per poterne trarre il meglio. Un esempio di coesistenza che si avverte molto bene, mentre lo sguardo si perde lungo l'orizzonte, e che determina in maniera netta il carattere di questi luoghi e della gente che la abita. Orgoglio, fierezza, resistenza, forza. Luoghi testimoni di sacrifici e avversità, del passaggio frenetico del mondo, che si uniscono a uno spazio aperto e immenso che rigenera, consola, fortifica e non smette mai di stupire. Molti i punti strategici da cui ammirare la maestosità della Gravina e l'intera città che vi si affaccia, ma il mio preferito è quello della Piazza di San Pietro Caveoso, fascinoso accesso al Sasso omonimo e geloso custode della magia che vi si respira.


3. L'incontro tra passato e futuro

Matera è una città dalla storia importante, tutta da conoscere e scoprire. Oltre ai Sassi che l'hanno resa famosa, Matera ospita importanti testimonianze artistiche che percorrono i secoli e contraddistinguono gli strati su cui la città è cresciuta e si è evoluta. Le chiese rupestri conservano affreschi raffinati e preziosi e sono esempi preziosi di una vita "scavata nella roccia" che ha coinvolto ogni aspetto della vita umana. Domina su tutti Santa Maria di Idris, incastrata nel masso roccioso del Monterrone, sul punto più alto della città, e unita da un cunicolo sotterraneo alla Chiesa di San Giovanni, in un complesso chiesistico davvero unico. La Cattedrale mi ha rapito il cuore: costruita sui resti di un monastero benedettino nel cuore della Civita, la parte più antica della città, la cattedrale è un perfetto simbolo di unioni e commistioni: alla facciata in pieno stile romanico pugliese, semplice e lineare, splendente nella sua pietra chiara illuminata dal sole, si contrappone l'interno della chiesa, ricco di decori e tratti opulenti, tipici delle architetture barocche. L'effetto è sorprendente.
Accanto a questi testimoni del passato, Matera fa spazio al futuro. La città è una fucina attiva e vitale di laboratori artigiani e atelier creativi, dove il design e le idee più innovative incontrano la tradizione per cercare una strada e un linguaggio nuovi e originali. Il MUSMA, il museo della scultura contemporanea, è un percorso affascinante dedicato a questa forma d'arte, che parte dall'Ottocento per arrivare ai giorni nostri, immerso in una cornice incredibile: il museo, infatti, si sviluppa negli ipogei scavati di Palazzo Pomarici, nel cuore del Sasso Caveoso, regalandogli l'eccezionalità di essere l'unico museo ospitato in una grotta al mondo.
Ieri, oggi e domani. Matera è una città che ha una storia e una tradizione millenaria, ma che sa essere anche estremamente contemporanea. Capace di evolversi e rinnovarsi, la città lucana è riuscita a sviluppare una cultura rispettosa delle sue radici ma sempre con lo sguardo in avanti. Ed è proprio per questo che è stata eletta Capitale europea della Cultura 2019, un riconoscimento più che meritato.

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Qualche info in più



  • È possibile visitare la Cattedrale gratuitamente, così come per la bella chiesa in stile barocco di San Francesco d'Assisi;
  • Le chiese rupestri (Santa Maria de Idris, Santa Lucia alle malve, San Pietro Barisano) hanno un costo che va dal singolo biglietto di 3 euro al biglietto complessivo dei 3 siti di 6 euro;
  • Se siete dalle parti del Duomo, vi consiglio una visita a Casa Noha, casa donata al FAI, in cui è possibile ripercorrere la storia della città e la memoria di un territorio così particolare. Gratuito per gli iscritti al FAI, il costo del biglietto è di 6 euro, la casa è aperta tutti i giorni tranne il martedì;
  • Se ne avete il tempo, non perdetevi la visita al Palombaro Lungo: il costo del biglietto è di 3 euro, gli orari di visita vanno dalle 10 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 18;
  • Se siete amanti del trekking e delle escursioni, godetevi una visita al Parco della Murgia Materana: moltissimi gli itinerari, anche in bicicletta, per scendere lungo il fiume attraversando un ponte di corda e poi risalire la vetta di fronte alla città e godersi tutto il panorama che questa terra sa regalare.


Maniac: la vera follia è restare umani

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In una scena nel primo episodio di Maniac, Annie, la protagonista interpretata da Emma Stone, si sofferma ad osservare un ragazzo che parla in un apparente gruppo di amici. Il ragazzo sembra star raccontando agli altri una qualche incredibile avventura, ma poi vediamo che, lentamente, gli altri ragazzi seduti accanto a lui distolgono lo sguardo, si voltano, cominciano a parlare con altra gente. In poche parole, il ragazzo è solo e il suo era un tentativo fallito di trovare un contatto umano, di instaurare una minima, effimera, relazione con altre persone. Si tratta di una semplice scena, quel ragazzo non fa parte del cast principale, non compare nemmeno più negli episodi successivi, eppure credo che riassuma molto bene il senso profondo di questa straordinaria serie.


Maniacè una serie che potremmo definire retro-futuristica, con le sue atmosfere perse tra gli anni '80 e Blade Runner, ma non credo si possa etichettare in qualche modo. Disturbante, disorientante, distopica, ma anche estremamente affascinante e dotata di una lirica tutta sua e commovente, Maniac è un prodotto di grande qualità, ottimamente scritta e ancora meglio interpretata da Emma Stone e Jonah Hill, la partenza ad alto livello della stagione seriale di Netflix.

Cercando di non spoilerare, Maniac è la storia di Annie e Owen, due persone che si sentono molto sole al mondo e in qualche modo "rotte", distorte, mal funzionanti e impossibili da aggiustare. Il loro incontro durante un trial medico decisamente fuori dagli schemi, un po' per volere del caso ("l'universo è caos" ripete Annie qui e là) un po' come conseguenza inevitabile degli eventi, li porta a conoscersi e a conoscere meglio loro stessi, attraverso un viaggio della mente ad opera del mega computer GRTA (chiamato dai suoi creatori "Gertie"), costellato da ricordi dolorosi, sensi di colpa e sentimenti di inadeguatezza, fantasie fascinose e desideri nascosti ma mai sopiti, non ultimo quello di essere felice. Il finale è tutto da scoprire, la lezione è di quelle che non si dimenticano.

E allora, tra computer intelligenti e protagonisti disagiati, cosa c'entra il ragazzo della scena iniziale? Beh c'entra eccome. Perché Annie guarda quel ragazzo e vede riflesso in lui tutta la sua solitudine e l'individualismo di tutta una società. Il mondo in cui Annie e Owen vivono è un universo dove l'Io ha preso il sopravvento, dove ogni abitante del pianeta pensa solo a se stesso e ogni contatto umano viene visto come un'intromissione, un pericolo per cui i sentimenti, le idee, le paure dell'altro possono contaminare il proprio spazio vitale e costringere a un coinvolgimento per il quale nessuno più si sente pronto.
Il mondo di Maniac è un sistema di isole alla deriva, di uomini e donne talmente soli da avere bisogno di un servizio di amicizia a pagamento che fornisce amici finti con cui trascorrere del tempo senza ripercussioni emotive; di coinquilini che non si parlano e che vedono Annie sparire per giorni senza mai emettere un saluto o chiedere "Come stai?" di fronte alla sue evidente richiesta d'aiuto inespressa; di famiglie incapaci di amarsi davvero, che per convenienza e immagine spingono il membro più debole a preferire un'esistenza solitaria in un appartamento dalle dimensioni nipponiche e soffocanti, dove però Owen dice di sentirsi felice proprio perché non costretto a fingere.


In questo mondo così spaventosamente vicino al nostro, è quindi facile essere dapprima disturbati da ciò che vediamo, una sorta di rifiutò della realtà, per poi cominciare a comprendere i protagonisti, farli diventare la versione estrema, distorta eppure così verosimile di noi stessi e dei nostri stili di vita sempre più votati all'egoismo e alla solitudine. E così iniziamo a seguire con partecipazione la "ricerca" di Annie e Owen, che dapprima si presenta come un tentativo di superare traumi mai curati, di guarire e tornare ad essere sani in un mondo dove "sano" vuol dire senza particolari tormenti né preoccupazioni, perché impermeabile al mondo esterno. Annie e Owen invece sono strani, bloccati fuori dai binari consueti, addirittura considerati "matti", proprio perché il mondo li ha toccati, in modo anche brutale e ora non possono fare a meno di soffrire.

Si apre così una ricerca dove si alternano momenti di grande profondità e lirismo ad altri alimentati da una comicità surreale e nonsense, perfetti per mettere ancora di più in risalto l'assurdità di un mondo che ha dimenticato le sue priorità. La figura del professore Mantleray (un  fantastico Justin Theroux) e quella della sua assistente Azumi Fujita diventano il contraltare della coppia Annie e Owen: dei ex machina dell'esperimento a cui i due protagonisti stanno partecipando, sono tra i personaggi più persi e incompleti della serie, anch'essi bloccati e corrotti dalle loro paure, incapaci di lasciarsi andare e votati all'unica causa capace loro di dare quel senso di unione e partecipazione che il resto non sembra garantire più: Gertie, la macchina su cui hanno investito tutte le loro energie, l'unica che sarà capace, entrando nelle loro menti, di alleviare le loro sofferenze.

Di puntata in puntata, Annie e Owen si rincorrono l'uno nei sogni dell'altro, in una serie di tripgirati meravigliosamente, vere e propri racconti nel racconto, viaggi della mente che vagano nel tempo e nello spazio e che si fanno sempre più contorti, onirici, a volte strampalati, collegati tra loro in una sorta di Mille e una notte psichedelica. Una fotografia accurata e una sceneggiatura intelligente qui vanno a braccetto in uno spettacolo di costumi, luci, colori, atmosfere dal gusto raffinato e mai banale nonostante il ripercorrere di stili e situazioni non del tutto sconosciute allo spettatore, che ci aiutano a viaggiare con i protagonisti e ad addentrarci rapiti, sempre più a fondo, nelle loro menti.

La narrazione procede tra il mondo dei sogni e la realtà, e il confronto sembra segnare di volta in volta un tendenza inversamente proporzionale tra le due sponde: se inizialmente la condizione di Annie e Owen appare criptica, sconnessa, fuorviante, mentre tutto all'esterno sembra seguire uno schema preciso e incorruttibile, lentamente lungo la serie ci ritroviamo a riunire i tasselli di quel mosaico che sono le storie dei protagonisti, che diventa sempre più chiaro nonostante la sua dimensione onirica, mentre il mondo reale cade in preda all'entropia e sempre ridursi in pezzi, smascherando tutte le sue debolezze. Occorrerà l'intervento di un'entità al di sopra di tutto e tutti (GRTA/Gertie, che altri non è che la versione robotica della madre di Mantleray, interpretata da una grandissima Sally Field) per portare a galla la contraddizione e (forse) portare a una risoluzione, mostrando che un percorso diverso, più umano, è possibile.



Nel loro percorso a due, Annie e Owen si confrontano e si riconoscono, in un'affinità mentale e di spirito che saprà rivelare quella verità che è in tutte le cose della vita:la sofferenza esiste perché esiste l'amore e non si può dire di aver sofferto senza aver amato. Ma è proprio questo che rende la vita impossibile da vivere se non condividendola con gli altri.
Frasi da smemoranda? Forse. Ma una serie come Maniac ci mette di fronte all'ovvio che eppure, a volte, facciamo fatica a ricordare.
Se l'amore è la risposta, insomma, allora vogliamo essere tutti dei Maniac.




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