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Serie TV: The best, the worst, the most [St. 3 Episodio 8]

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SHAMELESS (Season 5)

Finalmente riparte anche la rubrica dedicata al meglio e al peggio della serialità televisiva. Ormai il winter breakè finito per molti show, mentre è agli sgoccioli per altri e qualche stagione è persino giunta al termine. Bando agli indugi, quindi, e vediamo cosa ci ha riservato il mondo delle serie tv nei giorni scorsi.

The Best:Shameless 5x01 e 5x02 – Milk of the Gods e I’m the Liver

Shameless banner 1

Partiamo con un grande ritorno: Shameless, che, ripartita con la quinta stagione l’11 gennaio, ci ha regalato una doppietta niente male, con due episodi di apertura uno più bello dell’altro. Shameless ormai non è più solo una serie tv, ma una vera e propria festa a cui non vedi l’ora di partecipare di settimana in settimana. Nei suoi episodi iniziali si intravedono i temi che ci accompagneranno in questa stagione, come la presa di consapevolezza di Fiona di essere più incasinata di quanto lei credesse e noi con lei, abituati come eravamo a vederla prendersi carico di una famiglia di scalmanati, sempre responsabile e decisa a sacrificarsi per i suo fratelli. Nella precedente stagione un evento casuale ma gravissimo (lasciare della coca in giro con un bambino per casa non è stata una mossa intelligente in fondo) ha rivela il suo “lato oscuro” e ora Fiona dovrà cercare di prendere coscienza della sua natura e trovare il modo di affrontarla. Intanto, era impossibile credere che Frank avrebbe rinunciato all’alcol per un fegato nuovo: tra i momenti più belli c’è di sicuro il suo tentativo di creare della birra casalinga chiamata Milk of the Gods, capace di stendere chiunque al primo sorso tranne che il nostro alcolizzato preferito. Imbarazzante, poi, la cena con gli altri trapiantanti, che potrebbe benissimo essere intitolata “Il Disagio”, memorabile la scena della fellatio al reverendo razzista e omofobo per mano di Ian e compagnia e, infine, la scazzottata di Fiona durante un concerto a cui era in compagnia della sorellina quattordicenne vestita e truccata come una prostituta. Che dire, Shameless è partita benissimo e non potevamo essere più felici di così. Una sola domanda: Jimmy, apparso nei titoli di coda a fine della quarta stagione, quando tornerà nella vita dei Gallagher?

The worst: Revenge 4x13 – Abduction

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Il problema con Revenge è che o non succede nulla, NULLA, oppure in un episodio ne succedono mille e di tutti i colori. Dopo la morte di Daniel nello scorso midseason, la serie è ripartita con un profilo molto basso e battito cardiaco praticamente assente. Poi questa settimana gli autori hanno ben pensato di far esplodere tutto: arriva il super cattivone Malcom Black che rapisce Emily e Victoria e ricatta David nella speranza di rivedere quella psicopatica della figlia; David si allea alla coppia di poliziotti fighi ma tonti Jack e Ben, mentre Nolan decide di combattere la noia di un’ennesima estate negli Hamptons sposandosi con MissSonoFuoriComeUnaPigna Louise… whaat?!? Senza insistere più di tanto sul modo inconsapevolmente comico in cui le trattative di David con Malcom vengono realizzate – ho riso tantissimo quando Jack utilizza gli spezzoni dei messaggi in segreteria di Kate per convincere Malcom che la figlia sia ancora viva #noncipossocredere – e sull’espressività pari a quella di uno gnu da parte di David Clark nei momenti più tesi della vicenda, la tensione dell’intero episodio viene rapidamente sgonfiata nel momento dello scontro decisivo: Malcom il terribile si rivela solo un pazzo sanguinario ma scoordinato, tanto che basta poco per fargli perdere l’equilibrio e cadere nella fornace, mentre la coppia di amabili piedipiatti in poche mosse neutralizza killer da cui David fugge da quasi dieci anni come se fossero dei pivellini al loro primo scontro. Insomma, davvero uno scontro poco memorabile, dove l’unica cosa su cui soffermarsi è il grido di terrore di Victoria che stona un po’ con il suo desiderio perenne di eliminare Emily, alla base stessa del suo personaggio e della serie tutta. Vicky, ma da che parte stai? Pare evidente, però, che il suo regno sia giunto a un’inevitabile conclusione, mentre la super-bitchy Margot si prepara a prendere il suo posto come nemica giurata di Emily; la sua appare una vendetta dal pretesto debole e decisamente forzato, creata ad hoc per mandare avanti il teatrino di bugie, segreti e cospirazioni che compongono la serie. Le linee narrative di questa stagione, tuttavia, appaiono slegate tra loro ed è difficile capire dove e quando e se convergeranno. Staremo a vedere.

The most… reborn hero:Arrow 3x10 – Left Behind

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Questa settimana è ripartito anche Arrow, che con il suo midseason ci aveva lasciato un grande interrogativo: Oliver è ancora vivo? E chi è il suo salvatore? Partendo da queste domande, i mefistotelici autori della serie targata CW hanno imbastito un episodio dove l’attesa e quell’ansia data dal non conoscere la verità fanno da padrone. Per la maggior parte del tempo seguiamo le vicende dei reduci del team Arrow: Dig, Felicity e Roy tentano di mandare avanti il lavoro di Olly, ma purtroppo i giorni passano e di Oliver non c’è notizia, il cattivo della settimana la fa franca e Felicity non regge e abbandona il team. In piena tragedia, si alternano immagini di un uomo misterioso che recupera il corpo di Oliver congelato come uno stoccafisso e lo porta verso una destinazione sconosciuta e un nuovo flashback del passato di Oliver, quando a Hong Kong aiuta Maseo a ritrovare la moglie Tatsu. Per confondere ulteriormente le acque, si intromette anche Malcom Merlin e per un attimo crediamo sia lui il salvatore di Oliver, ma no, lui è la solita carognetta. Non resta che una sola risposta e infatti, non ditemi che non ve l’aspettavate, l’uomo misterioso altri non è che Maseo, il quale, per sdebitarsi dall’aiuto che Olly gli aveva offerto, porta il corpo di Oliver nella capanna di Tatsu chiedendole di salvarlo. A fine episodio Oliver si risveglia e Maseo lo saluta dicendogli che Tatsu lo ha “riportato in vita”. In che senso scusa? Cosa significano quelle parole?E perchè Tatsu vive isolata dal mondo sul picco di una montagna? E Oliver resterà lo stesso o è in atto un grande cambiamento? Ma la domanda fondamentale di questa settimana è: ma davvero Felicity ha solo 25 anni?!?

 

Season Finale Special:American Horror Story Freak Show

american horror story freak show

Il Freak Show ha levato le tende. La quarta stagione di AHS si è conclusa lo scorso mercoledì ed è tempo di tirare le somme. So che molti di voi hanno criticato questa season, ma per me il Freak Show è stato nettamente migliore del Coven dell’anno passato. Questa stagione ha puntato tutto sul voler sorprendere lo spettatore ad ogni costo, rispettando l’essenza stessa di un freak show, il cui obiettivo era stupire platee di gente annoiata dalla routine della vita quotidiana mostrando le bizzarrie della natura su quelli che venivano considerati “mostri”, i freaks appunto. Ma AHS cerca sempre di attraversare lo specchio, rivelando quanto questi cosiddetti “scherzi della natura” siano in realtà gli esseri umani più autentici dell’intera serie, la cui profonda umanità non può che commuovere e colpire più a fondo di quanto possano fare le loro stranezze e diversità. La serie di Ryan Murphy mette costantemente in scena il teatro dell’uomo per svelare i veri mostri, quelli che la società non vede o finge di non vedere perché capaci di indossare la maschera perfetta, spingendo a condannare chi invece una maschera non riesce e non vuole indossarla. Questo stato di cose è particolarmente forte in Freak Show, che ci regala momenti di grande commozione e scene memorabili, che dimostrano le grandi capacità di Murphy e il suo instancabile desiderio di intrattenere il suo pubblico nel migliore dei modi. Eppure Freak Show è un’ulteriore conferma di quella che è la grande debolezza della serie, particolarmente evidente nelle sue ultime stagioni: la sovrapposizione di tante linee narrative, la molteplicità di storie e punti di vista, l’introduzione continua di personaggi che vanno e vengono in modo quasi anarchico, creano una grande confusione, la difficoltà dello spettatore di entrare nel pieno delle vicende, poiché chiamato di episodio in episodio a tornare al punto di partenza, a  recuperare informazioni che credeva poco importanti, a svolgere un lavoro di memoria che abbassa di un tono il livello di attenzione e godibilità della serie. Senza contare che, con tanta carne a fuoco, è sempre difficile dare una degna chiusura a ogni storia e un senso di incompiuto, frettoloso, artefatto riecheggia sul finire della stagione. Ciononostante, AHS Freak Show mi è piaciuto ed è riuscito a non annoiarmi, laddove per Coven ero a rischio narcolessia per almeno la metà degli episodi, e trovo sempre impeccabili le interpretazioni degli attori protagonisti, oltre ad aver particolarmente apprezzato la scelta di una soundtrack anacronistica, con cover di brani che verranno pubblicati solo decenni dopo gli eventi narrati, ma che Murphy riesce a contestualizzare così bene da apparire assolutamente autentici e appropriati alla storia Elsa, Jimmy, Ethel, Maggie, Dot e Betty e tutti gli altri. Infine, la partecipazione di Neil Patrick Harrisè probabilmente una delle cose più riuscite di questa stagione e merita la visione della serie fino alla fine. In definitiva, promuovo AHS con riserva, sperando in una maggiore coesione narrativa per il prossimo anno e curiosa di vedere come la serie se la caverà senza la mitica Jessica Lange, pilastro di AHS, la quale aveva dichiarato che questa sarebbe stata la sua ultima partecipazione allo show. Sarà vero? Non ne siamo totalmente certi, quello che però possiamo fare nel frattempo è salutare degnamente l’icona di questa serie e una grande attrice capace di regalarci interpretazioni di grande forza e intensità e unirci a Muprhy nel ringraziarla calorosamente per tutto quello che ha saputo dare a American Horror Story. Applausi.

Alla prossima!


Fragola al cinema: La teoria del tutto

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la teoria del tutto big

Candidato a cinque premi Oscar, tra cui quello come miglior film e miglior attore protagonista, La teoria del tutto è il biopic dedicato alla vita e alla storia d’amore tra l’astrofisico e cosmologo Stephen Hawking e la sua prima moglie Jane Wilde, la donna che lo affiancherà dagli inizi dei suoi studi sull’universo fino alla sua piena affermazione e dalla quale si separerà nel 1991 dopo più di vent’anni di vita insieme. Uno dei film più attesi di quest’anno, che conferma il talento di Eddie Redmayne in un ruolo tutt’altro che semplice, si iscrive a quel bel filone di pellicole dalle storie edificanti raccontate in modo elegante e discreto, senza farsi mancare un certo sentimentalismo e una buona carica emotiva,  nel pieno stile britannico che pare essere la tendenza del momento. Un film che cerca di mettere in luce l’uomo piuttosto che lo scienziato, mettendo in evidenza la capacità di noi uomini di metterci in gioco sempre e affrontare anche le prove più dure che la vita riserva, e che infine sembra volerci suggerire come, all’origine di tutto, ci siano sempre e solo quell’unico meraviglioso sentimento che ci accomuna e che chiamiamo amore.

la teoria del tutto copertina

 

 

 

 

Titolo: La teoria del tutto
Regia: James Marsh
Anno: 2014
Paese: UK
Cast: Eddie Redmayne, Felicity Jones,
Charlie Cox, Emily Watson

 

 

 

 

 

 

Nel 1963 a Cambridge il giovane Stephen Hawking sta lavorando per conseguire il dottorato con una tesi sull’equazione che spieghi la nascita dell’universo. Durante una festa incontra Jane Wilde, studentessa lettere, convinta credente e appassionata di letteratura medievale spagnola. Due persone molto diverse tra loro e che per questo si sentono  irresistibilmente attratte l’uno all’altro. Stephen e Jane si frequentano e si scoprono innamorati, ma un giorno i sintomi che il giovane cosmologo avverte peggiorare sempre di più provocano una sua violenta caduta, un ricovero in ospedale e una terribile scoperta: Stephen soffre della malattia del motoneurone, una malattia degenerativa chiamata atrofia muscolare progressiva che sta lentamente atrofizzando i suoi muscoli, fino a rendere impossibile il movimento e infine la vita. Nonostante i tentativi di dissuaderla e allontanarla, Jane decide di rimanere accanto a Stephen, di sposarlo e avere con lui una famiglia. Jane diventerà così il più grande sostegno per Stephen, impegnato nelle sue ricerche sempre più complesse e lontane mentre il suo corpo lo abbandonerà poco a poco, particolare che lo renderà dipendente dalle costanti cure della moglie. Una vita a due segnata da molte difficoltà ma anche da un grande amore che, seppur finito dopo venticinque anni di matrimonio, ha plasmato la loro esistenza, rendendola più ricca per tanti versi, non ultimo quello di una eredità da lasciare, rappresentata tanto da quella strettamente personale dei tre figli della coppia, testimonianza di ciò che è stato, quanto da quella ufficiale e universale del lavoro compiuto da Hawking.

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Come è facile intuire, il film ruota tutto attorno al rapporto tra Stephen Hawking e sua moglie Jane, autrice del libro Travelling to Infinity: My Life With Stephen a cui la pellicola si ispira, e in effetti il punto di vista di Jane non viene mai messo in secondo piano, ottenendo a gran voce quella dignità che le si riserva come moglie e donna. L’intento è altresì evidente: La teoria del tuttoè un film su Stephen Hawking ma con un occhio di riguardo più alla sua vita privata e alla sfera personale dei sentimenti e dei legami che hanno caratterizzato la sua vita piuttosto che alla sua figura di eminente scienziato. Infatti, le sue scoperte nel campo dell’astrofisica restano pur sempre laterali, corollarie a una vita quotidiana che si sviluppa tra la malattia che avanza e la famiglia che cresce, tra silenzi e incomprensioni, tra taciti accordi e tradimenti, tra romantici sentimenti e inaspettate passioni, tra sensi di colpa e difficili decisioni, tra ricongiungimenti e rotture.

la teoria del tutto matrimonio

Nel raccontare una storia d’amore caratterizzata da grandi difficoltà ma anche da grande forza d’animo e coraggio, con la promessa di essere commovente e in grado di toccare anche i cuori più coriacei, James Marsh confeziona un film elegante e armonico nelle sue parti, dalla fotografia bellissima ed emozionante e scene volutamente costruite per regalare allo spettatore quel senso di intimità e di magia che il sentimento tra i due protagonisti suggerisce. Nell’intento, però, di ricostruire le vicende narrate con accuratezza e un certo equilibrio tra le due parti, Marsh non riesce a dare vigore alle passioni di cui vuole parlare: La teoria del tutto, per quanto alcuni momenti appaiano particolarmente intensi, si risolve in un film autobiografico molto lineare e piuttosto canonico, particolarmente vicino a quella sensibilità tutta inglese che fa della discrezione e morigeratezza grandi virtù, senza particolari scossoni emotivi ma senza neppure banalizzare ciò che si racconta, donandogli quel decoro e quella grazia che gli spetta.

la teoria del tutto scena 2

Gli aspetti più interessanti del film sono soprattutto legati al modo di percepire la vita in due di Jane e Stephen e la dicotomia tra immobilità e movimento che pare accompagnarli per tutto il tempo. Il corpo immobile di Stephen lo porta ad allontanarsi sempre di più con le sue teorie sullo spazio, a riprova di come la natura umana trovi costantemente la forza di superare i limiti qualsiasi essi siano, mentre la vita che Jane si ritrova a vivere, al principio apparsa come l’inizio di una grande avventura, rimpicciolisce di giorno in giorno, limitandone i movimenti e gli spazi, rinchiudendola in una dimensione familiare che è il suo bene più prezioso ma in qualche modo anche una prigione. Particolarmente riuscita è l’interpretazione di Felicity Jones, che riesce a cogliere tutte le sfumature del carattere di Jane, inclusa quella frustrazione malcelata per la scarsa considerazione che il marito e tutti quelli che lo circondando dimostrano di avere per la religione in cui crede. Sull’altro versante, Eddie Redmayneè straordinario nel prestare la sua fisicità e il suo sorriso alla figura di Hawking e bisogna ammettere che con questa interpretazione l’Oscar rischia davvero di portarselo a casa.

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La dicotomia e l’essenza di tutto il film si ritrovano in due delle scene meglio riuscite del film: il girotondo che i due giovani si divertono a fare alle porte di Cambridge, come a dare un’accelerazione alla loro vita insieme carica di tutto l’entusiasmo e i nobili sentimenti che i giovani cuori sanno provare, trova il suo contrapposto nella sofferta scena che segna la fine del matrimonio di Stephen e Jane, una rottura che avviene in un atmosfera stagnante, priva di colori e fortemente statica, in cui la fine di un amore è anche la fine di un percorso, l’arresto di un moto che sembrava inarrestabile ma che invece ha finito con lo spegnersi a poco a poco, lasciando coloro che ne sono coinvolti immobili e vinti. Peccato che l’intensità creata scemi negli ultimi minuti della pellicola, che sono piuttosto ovvi e tentano di generare quel pathos che non è mai riuscito completamente per tutta la durata del film, attraverso un discorso ispirato e toccante da parte di Hawking di fronte a una platea assorta e in contemplazione, e una carrellata di immagini che vanno a ritroso nel tempo, fino al famoso girotondo che tutto generò, in una sequenza veloce che punta tutto sulla suggestione, grazie anche a un già collaudato brano di sottofondo capace di veicolare l’emozione dello spettatore fino alle punte più alte, che coincidono proprio con l’ultimo sguardo all’universo e al grande mistero che rappresenta. Una scelta fin troppo azzeccata, in cui è  impossibile non avvertire un senso di artefatto, un tentativo estremo di dare il grande slancio a una narrazione tutto sommato timida e schiva per quanto perfetta e diligente.

la teoria del tutto girotond

La teoria del tuttoè un biopic dalle sfumature volutamente intime e personali, il racconto non delle incredibili scoperte scientifiche di uno degli astrofisici più famosi del mondo o delle grandi difficoltà che la malattia ha causato a Hawking – perlomeno  non solo – ma è la rappresentazione di una storia d’amore che include in sé tutte quelle caratteristiche che la rendono riconoscibilmente universale, laddove la teoria del tutto non è più nozione scientifica ma una consapevolezza che nasce dall’animo umano e un sentimento a cui finiamo per rivolgerci sicuri di trovare la risposta che cerchiamo da tempo.

VOTO: 7

 

Non ci dovrebbero essere limiti alla ricerca umana. Siamo tutti diversi. E per quanto la vita possa sembrare cattiva, c’è sempre qualcosa che si può fare e riuscirci. Finché c’è vita, c’è speranza.

Una Fragola al mese: Gennaio 2015

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E si ricomincia. Con il 2015 si riparte con il resoconto mensile per fare un po’ il quadro della situazione. In attesa di un febbraio un po’ più frizzante, vediamo cosa è successo a gennaio.

Gennaio, gennaio, il primo giorno il più gaio, fatto solo di speranza chi ne ha tanta, vive abbastanza.(Gianni Rodari)

I libri di gennaio


Questo mese gli autori che mi hanno fatto compagnia sono inglesi entrambi, anche se appartenenti a epoche diverse. Il sentimento predominante è stato l’amore, in tutte le sue forme e a tutte le età, non sempre lieto ma comunque meraviglioso e toccante. Anche l’ironia ha giocato un bel ruolo in queste letture, la prima più velata e sottile, l’altra travolgente e venata di sarcasmo.



  • Mansfield Park, Jane Austen. Una lettura che non potevo farmi mancare, dato che con questo ho ufficialmente portato a termine tutta la bibliografia di zia Jane. Per quanto riguarda il romanzo, l’ho trovato piacevole, quello di cui forse avevo bisogno in questo periodo della mia vita. D’altronde è sempre un buon momento per un classico. Tuttavia l’ironia sula società in cui viveva è in questo romanzo meno evidente e più studiata e la sua eroina, la timida e integerrima Fanny Price, è un po’ noiosetta così come anche il suo amato Edward e il loro amore appare quasi più frutto di logica e raziocinio e che un vero sentimento. Ma naturalmente chevvelodicoaffà, l’happy ending mi ha conquistata. Al netto dell’esperienza austeniana, posso dire che i suoi romanzi sono letture imprescindibili oltre che godibilissime, ma che il mio preferito resterà sempre Emma, un piccolo capolavoro di epoca Regency e di cui quest’anno cade il bicentenario.

  • Noi, David Nicholls. Di sicuro ve ne parlerò a breve, non appena raccolgo le idee al momento tutte in disordine nella mia testa. Nicholls mi aveva fatto innamorare con Un giorno, non solo per la commovente storia raccontata ma anche per la sua scrittura di pancia, per la straordinaria facilità con cui quest’ultima ti trascina nella vita dei personaggi, nelle vicende narrate, la familiarità che ne consegue anche con il personaggio più complesso, una scrittura dall’accessibilità immediata, che alla fine del romanzo ti vien voglia di abbracciare tutti, protagonisti e autore, come se fossero compagni di un’incredibile avventura. In Noi Nicholls mette ancora in scena la vita, così com’è, con le sue involontarie ironie, i grandi amori e i loro ugualmente grandi epiloghi, le complessità dei rapporti tra uomo e donna ma anche tra genitori e figli, imbastendo una storia in cui riconoscersi a tratti, sorprendersi in altri, porsi domande, darsi risposte, fornendo al lettore un’esperienza di lettura catartica e molto piacevole.
Il sito del mese

Non se conoscete già questo simpatico sito chiamato I Trentenni. Magari qualcuno di voi potrà dirmi di non conoscerlo perché è troppo giovane e ti va bene che non ti ho davanti mio caro amico… per tutti gli amici che ruotano attorno agli -enta, I Trentenni è il blog perfetto per leggersi e raccontarsi. Ci siamo tutti, con vizi e virtù, sbatte e seri tv, lavoro e amore, famiglia e viaggi, ecc… tutto visto dalla prospettiva di chi i 30 li vede come il momento giusto per fare di tutto… o quasi. Se volete iniziare a conoscere le tre autrici del blog, partite dalle 15 cose da non dire MAI a una trentenne, sulle quasi ho riso tanto per non piangere: http://www.itrentenni.com/le-15-cose-da-non-dire-mai-ad-una-trentenne/

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La musica che mi frulla in testa


Questo mese ci sono state alcune uscite interessanti che attendevo da un po’. C’è stata Carmen Consoli con L’abitudine di ritornare, un disco piacevole ma io non riesco più a trovare il guizzo, la grinta che ricordo della cantantessa della mia giovinezza. Tra i brani dell’album, Ottobre e San Valentino i miei favoriti. Poi è stato il turno dei Belle And Sebastian, che mi piacciono sempre tanto, con il loro Girls in peacetime want to dance, dalle sonorità più pop del solito ma stessa poesia; il brano preferito è Nobody’s Empire. Infine non potevo farmi mancare il singolo dei Verdena, primo estratto del loro nuovo album Endkadenz Vol.1, Un po’ esageri.




Tra le playlist di Spotify, questo mese propongo di sorseggiare il vostro negroni sbagliato in compagnia di Cocktails & Dreams. Enjoy it.



E anche questa volta è tutto. Buon Febbraio!

La Recensione del Mese: Noi di David Nicholls

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Dopo il successo di Un giorno, David Nichollsè tornato con un nuovo romanzo e una nuova storia, Noi. La storia di un amore, di una coppia che sembra essere giunta al capolinea ma che ancora non sa che direzione prendere, ma anche quella di una famiglia in cerca di quella forza e di quell’affetto necessario per ritrovarsi e rimanere uniti. La storia, infine, di un uomo che deve capire chi era, chi è diventato e cosa vorrà essere nel suo futuro. Attraverso un’Europa da cartolina, Nicholls ci parla dell’amore e lo fa con il suo immancabile stile, la sua scrittura spontanea e coinvolgente, in un dialogo continuo, ironico e commovente, tra protagonista e lettore che trasforma la sua storia in quella di tutti noi.

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Titolo: Noi
Autore: David Nicholls
Traduttore: M. Ortelio
Anno: 2014
Editore: Neri Pozza
Pagine: 431
ISBN 9788854508552

 

 

 

 

 

L'estate scorsa, poco prima che nostro figlio partisse per il college, mia moglie mi svegliò nel cuore della notte. Subito pensai che fosse per i ladri. Da quando ci eravamo trasferiti in campagna bastava uno scricchiolio, uno schiocco, un fruscio a farla trasalire. Io cercavo di rassicurarla: sono i caloriferi, dicevo, le travi che si contraggono o si espandano, le volpi. Sì, volpi che si portano via il laptop o le chiavi della macchina! rispondeva, e restavamo sdraiati con le orecchie tese. C'era sempre il pulsante dell'antifurto, accanto al letto, ma non mi pareva il caso di usarlo, col rischio di dar fastidio a qualcuno... ai ladri, per esempio. Non sono particolarmente coraggioso, né dotato di un fisico imponente, ma quella notte guardai l'ora - le quattro e qualcosa - sospirai, sbadigliai e scesi di sotto, scavalcando il nostro inutile cane.  Mi trascinai di stanza in stanza e dopo aver controllato porte e finestre risalii in camera.

"E' tutto a posto" dissi. "Dev'essere l'aria nei tubi dell'acqua".

"Ma di che stai parlando?" Fece Connie, tirandosi su.

"Non ci sono ladri in giro".

"E chi ha parlato di ladri? Ho detto che secondo me il nostro matrimonio è arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascerò".

Mi sedetti sul bordo del letto. "Bé, sempre meglio che avere i ladri in casa!" dissi, ma nessuno di noi due rise, e per quella notte non dormimmo più.

Una notte Douglas Petersen viene svegliato dalla moglie Connie, che gli dice: “Sto pensando di lasciarti”. Una casa in campagna, un figlio molto amato in procinto di andare al college, più di vent’anni di vita insieme. Douglas credeva che niente lo avrebbe diviso da Connie, ma lei lo spiazza con parole che mai avrebbe immaginato di sentire pronunciare dalla donna che ama. Resta solo un viaggio da compiere insieme, un incredibile e apparentemente insensato Grand Tour lungo l’Europa, un ultimo tentativo di avere la famiglia unita. Per Douglas, biochimico dall’animo nerd, preciso, puntiglioso, solitario e dall’ironia sottile, un uomo di scienza, dalle convinzioni solide e le emozioni fragili, questa si trasforma nell’occasione per tentare il tutto per tutto e salvare la sua relazione con Connie, ma anche per recuperare il rapporto con il figlio Albie, ormai un giovane adulto sconosciuto. Quello che Douglas non sa è che il viaggio servirà soprattutto per riscoprire se stesso. Ogni tappa del viaggio è un percorso a ritroso nel suo passato, nella vita a due con Connie, uno sguardo agli anni giovanili, ai compromessi dell’età adulta, ai dolori che la vita riserva a tutti, alle gioie con cui ci ricompensa, ai pentimenti e ai rimorsi, in un’inconsapevole ricerca di sé e di ciò che desidera ma che non si ricorda più. Un viaggio dai risvolti inaspettati, che aiuterà i tre Petersen a conoscersi meglio e prendere in mano la loro vita, ovunque questa li conduca

Dopo la romantica e commovente storia di Emma e Dexter in Un giorno, Nicholls decide di affrontare la vita di coppia da un’altra prospettiva, più matura e, forse, meno romanzata. Se i protagonisti di Un giorno vivono la loro storia nell’arco di vent’anni, crescendo e innamorandosi perdutamente davanti ai nostri occhi, in Noi la situazione che ci viene presentata è quella di una famiglia e una coppia in fase di stallo. Non ci sono due ragazzi ventenni bensì un uomo e una donna che hanno superato la cinquantina, hanno una famiglia, una casa in campagna, un passato più o meno effervescente e un presente fin troppo pacato in qualità di genitori di un ragazzo sulla soglia della vita adulta. Il libro parte dal momento di rottura che darà inizio all’avventura narrata: Connie, artista dall’animo ribelle solo leggermente acquietato dalla sua vita “borghese” con Douglas,  dopo venticinque anni di matrimonio e un figlio molto amato e in procinto di lasciare il nido, sente il desiderio di mettere fine al suo matrimonio. Inizialmente la donna non fornisce una vera spiegazione all’inconsapevole marito, il quale è sconvolto da una verità che minimamente immaginava, lui che sognava di “invecchiare e morire” insieme all’unica donna che abbia mai amato nella sua vita. Tuttavia, con il procedere della narrazione e del viaggio intrapreso dalla famiglia in giro per l’Europa, gli indizi per interpretare questa scelta vengono inevitabilmente a galla. In un susseguirsi di avventure tragicomiche nel presente, che vedono il protagonista Douglas vittima più o meno consapevole delle sue stesse azioni, che si alternano a flashback sulla love story con Connie, dal primo bizzarro e fulminante incontro, passando per proposte e matrimonio, perdite e gioie genitoriali, fino alle battute finali della loro relazione, Nicholls cerca di ritrarre le relazioni di coppia addentrandosi nell’alchimia che li determina e nei loro aspetti più intimi, fatti di routine, abitudini, di piccoli egoismi e grandi incomprensioni, di silenzi e rancori mai risolti. Il Grand Tour messo in scena da Nicholls è allora una grande metafora, un percorso che Douglas e famiglia compiono non solo fisicamente, ma anche un viaggio dentro di sé verso i motivi che hanno spinto Connie a desiderare la fine del loro matrimonio, Albie a essere così distante e Douglas un padre e un uomo che sta per perdere quella che è stata l’unica certezza di tutta una vita, individuando quali siano le colpe e i biasimi da attribuirsi per essere giunti a questo punto.

Se in Un giorno lo scrittore inglese voleva farci innamorare con i protagonisti del libro, questa volta Noiè il racconto della fine di un amore, di un percorso di vita lungo e ricco di ricordi e sentimenti, e di come i protagonisti di questa storia affrontano in maniera personale il bagaglio emotivo che ne deriva. Nicholls, al solito, si prende i suoi tempi e snocciola nomi di città, musei, opere d’arte che si mescolano ai tentativi falliti di Douglas di risollevare le sorti del suo matrimonio e riavvicinarsi a un figlio con il quale non sembra trovare una strada per la reciproca comprensione. Nonostante l’argomento tutt’altro che roseo, però, l’atmosfera che si respira nel romanzo non è affatto cupa o disperata. Complici l’involontaria comicità del protagonista e un registro narrativo che definirei witty, Nicholls lascia sempre accesa la luce della speranza, non per un finale a lieto fine, che non fa parte della sua natura di scrittore, ma quella speranza che abbiamo tutti anche nel momento più buio e ci spinge a credere di  potercela fare alla fine, quella speranza dettata dalla certezza che è dentro di noi che la vita continua e che sta a noi trovare il modo migliore per viverla. La fine di un amore insieme alle difficoltà e i limiti delle relazioni umane sono parte integrante di quel meraviglioso viaggio che è la vita e, sebbene lascino ferite e cicatrici, il senso di disperazione e impossibilità di fronte al mondo che ne scaturisce non è che un attimo che è già passato e siamo pronti per ripartire e ricominciare.

Una scrittura che ha come dote la straordinaria facilità di addentrarsi nel cuore delle cose con leggerezza, ironia e una grazia disinvolta, Nicholls ci offre una storia di amanti ma anche di padri e madri e figli in cui immergersi completamente, una lettura estremamente gradevole in cui scorgere pensieri e stati d’animo nei quali poi riconoscersi, studiare gesti e azioni e decisioni che finiamo per comprendere poiché li sentiamo come nostri. Perché Noi è la storia dei Petersen, ma a ben guardare è una storia che si rivolge un po’ a tutti coloro che si sono sentiti almeno una volta nella vita spaventati e in cerca di reinventiva come Connie, insicuri ma spavaldi come Albie, feriti, abbandonati, con il cuore spezzato, ma decisi a proseguire lungo la propria strada come Douglas. Noi è la storia di tutti, una bellissima storia tutta da leggere.

L’autore

David Nicholls

 

 

David Nicholls ha lavorato a lungo con la BBC realizzando adattamenti shakespeariani e numerose serie di successo, premiate con due nomination per i BAFTA Awards. Tra i suoi romanzi Le domande di Brian (BEAT 2011), Il sostituto (BEAT 2012) e Un giorno (Neri Pozza 2010), da cui è stato tratto un celebre film diretto da Lone Scherfig, con Anne Hathaway e Jim Sturgess.

 

 

 

Frasi

  • Per un po’ rimani lì sdraiata fra le lamiere contorte, per conservare la metafora, ma a un certo punto scopri che le gambe sono ancor al loro posto, le braccia non sono rotte e la testa è tutta intera. Scopri che ci senti e ti rendi conto che, se vuoi, puoi alzarti in piedi. Ed è questo che fai: ti alzi, fai un bel respiro e ricominci a camminare.

Serie TV: The best, the worst and the most… [St. 3 Episodio 9]

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Come sempre, nuovo appuntamento con il meglio e il peggio della serialità televisiva. Nei prossimi giorni cercherò di parlarvi anche di qualche novità che si aggiunta alle mille mila serie che già seguo, ma che, ça va sans dire, non si possono assolutamente perdere. Per ora, mettetevi comodi e godetevi il riepilogo della settimana appena trascorsa.

The Best:The Americans 3x01 e 3x02

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Sono tornate le spie più fighe del pianeta. The Americans da inizio alla sua terza stagione e lo fa con due episodi che lanciano lo spettatore subito nel vivo della situazione. Gli anni passano e la Guerra Fredda assume connotati sempre più familiari, introducendo elementi di politica internazionale come la crisi tra Afghanistan e Unione Sovietica, nei quali è possibili leggere alcune delle cause che hanno poi portato a quelle che sono le dinamiche odierne. Come se non bastasse, a complicare il già delicato rapporto tra Elizabeth e Phillip c’è anche la spinosa questione di cosa fare con Page: accettare che la ragazza venga addestrata come una spia o lasciarle vivere la sua vita da teenager americana? Una situazione di difficile soluzione che con molta probabilità sarà sempre più centrale in questa stagione e che ha riportato in evidenza una delle principali crepe della relazione tra i due, con una Elizabeth sempre fedele alla madre patria e Phillip sempre più vicino allo stile di vita americano, uno degli aspetti più interessanti e ingiustamente accantonati durante la seconda stagione. Insomma, le premesse per una grande ripresa ci sono tutte, insieme a tutte quelle caratteristiche – combattimenti, travestimenti (con tutte quelle terribili parrucche), bugie, segreti, amori nascosti, cospirazioni, persino un corpo in una valigia – che ci hanno fatto amare la serie fin da subito e confermare la nostra fiducia allo show. Ora però tiriamo fuori Nina da quella terribile prigione sovietica e diamo una svegliata a Beeman che così mi fa solo tanta tristezza.

The Best (2): Shameless 5x04

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Che Shameless fosse una garanzia l’avevo già detto un paio di settimane fa. Siamo al quarto episodio e la quinta stagione ha già sfornato tutta una serie di scene e momenti epici e a dir poco iconici. Tra questi rientra di diritto il matrimonio di Fiona! In un episodio che ha del surreale, Fiona si innamora del musicista più figo di Chicago e i due decidono di convolare a nozze con una capatina in municipio. Capisco l’amore a priva vista e le follie fatte per amore, ma qui mi sa che si è esagerato. A conferma di quello che si preannunciava con i primi episodi, il personaggio di Fiona è in una fase di trasformazione quasi del tutto avvenuta, da sorella maggiore piena di responsabilità e senso del dovere a giovane donna che ha voglia di viversi la vita correndo sul filo dell’incoscienza e i risultati non tardano ad arrivare. Nel frattempo, Frank si cimenta in una esilarante caccia al tesoro per scoprire come sia riuscito a spendere tutti i soldi della sua assicurazione per la gamba rotta della scorsa stagione in una sola notte. Quello a cui assistiamo ha dell’incredibile ed è uno dei motivi per cui non si non amare una serie come Shameless.

The Best (3): The Blacklist 2x09

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Che poi uno non ne parla mai di The Blacklist, una serie che porta a casa sempre il suo compitino senza però mai fare il botto. E poi, di tanto in tanto, mi esplode con puntate in cui James Spader da il meglio di sé e che galvanizzano la platea. In concomitanza con il Super Bowl, la serie torna dalla pausa invernale con un episodio adrenalinico e Red si dimostra quel temibile criminale di cui tutti parlano e che abbiamo solo saltuariamente intravisto. In questo episodio assistiamo a esplosioni, sparatorie con una mano sola, super cattivi e fughe lunghe i condotti dell’aria, scambi di battute al vetriolo, momenti verità carichi di feels… Naturalmente, il motivo per cui Reddington tira fuori le unghie è quella spina nel fianco dell’agente Elizabeth Keen, come sempre in pericolo e per la quale Red rischia tutto pur di salvarla. La domanda che ci facciamo è sempre quella: Elizabeth è la figlia di Red? E se così non fosse, qual è il segreto che nasconde da tutta una vita? Intanto la serie è stata rinnovata per una terza stagione, quindi mi sa tanto che non avremo una risposta così presto, ma la speranza è di avere almeno più episodi di questo genere.

The most… annoying hero companion: Arrow 3x12

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Guardare Arrow vuol dire farsi del male. In particolare, shippare Olicity vuol dire farsi del gran male. In questa stagione non c’è mai pace per i nostri poveri cuori di fan: prima Oliver si dichiara con la donna che ama avvertendola però che non potranno mai stare insieme, poi lei flirta con il suo nuovo capo, poi lui va a farsi ammazzare da Ra’s al Ghul, lei allora onora la sua memoria anche quando non richiesta, poi lui torna e lei che fa? Si infuria, si offende e gli dice che non vuole essere la donna che lui ama se questo significa allearsi con i cattivi e bla bla bla. Qualcuno dica a a Felicity che se uno strafigo torna dalla morte per te, non è certo questa l’accoglienza che lui si aspetta! Ora, non dico che dovevi cadergli tra le braccia come un’oca, ma nemmeno frantumargli gli zebedei dieci minuti dopo il suo ritorno. E poi con che coraggio, con il faccino che si ritrova Oliver pieno di amore per te?!? Vabeh niente, lasciatemi crogiolare nei miei feels, ma Felicity che fastidio!

The most… beautiful and damned detective: Broadchurch 2x05

God bless U.K. actors. Se c’è una serie che mi permette di fangirlare con la scusa di essere un prodotto di qualità, questa è Broadchurch. Adoro David Tennant e oltre che come Dottore, lo trovo perfetto nei panni di Alec Hardy, il detective inquieto e dall’animo cupo protagonista della serie. Amato molto nella prima stagione, in questo secondo ciclo di episodi Hardy sembra avere ancora più spazio di manovra, grazie anche al focus di questa stagione sui fatti di Sandbrook, e questo particolare permette a Tennant di dare maggiore spessore al personaggio, che sembra non trovare mai pace e avere tutti i problemi del mondo sule spalle, e dare sfoggio di tutto il suo grande talento. Che dire, adoro Tennant, adoro Hardy e questo quinto episodio è forse il migliore di quest’anno, quindi non perdetevelo.

 

Recommendation Monday: Consiglia un libro in cui uno dei personaggi porta il tuo nome

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Buon lunedì!!! Questa settimana il Recommendation Mondayè piuttosto referenziale:

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In realtà il tema per intero è “Consiglia un libro in cui uno dei personaggi porta il tuo nome (nelle sue varianti linguistiche) o uno dei tuoi nomi preferiti” ma l’ho abbreviato perché questo tema è una piccola rivincita per chi come me non ha un nome proprio comune, di quelli che all’autogrill non trovano mai il peluche con il nome stampato, per dire. Poi oggi è anche il mio onomastico, roba a cui non ho mai dato importanza ma mi sembrava carino inserire questo tema in questo giorno.  Per tornare seri, invece, questo tema mi dà inoltre la possibilità di consigliare uno dei libri più belli letti nella mia vita da lettrice e che per ragioni inspiegabili non avevo ancora inserito in questa rubrica. Senza troppe presentazioni, dirò solo che leggere questo libro mi ha aperto a riflessioni sulla vita, l’amore e le capacità dell’intelletto che forse ora non sarei più in grado di fare. Un libro dalla storia struggente, scritto magistralmente. Uno dei libri per cui il suo scrittore è più famoso, dal titolo tanto triste quanto bello come bellissimo è il romanzo a cui dà il nome. E una delle protagoniste si chiama proprio come me, Sabina. Oggi si parla di L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.

 

Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di Sabina non era caduto un fardello, ma l'insostenibile leggerezza dell'essere.

 

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E il vostro RM di questa settimana qual è? Buona settimana!

Cinquanta sfumature di grigio: 10 sfumature in più

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Dovendo scegliere di cosa parlare dopo una settimana di assenza su questo blog, tra Sanremo e Cinquanta Sfumature di grigio scelgo quest’ultimo.  E non perché parlare di Sanremo non mi piaccia, ché chi mi segue sui social sa bene quanto grave sia la mia patologia sanremese. Tuttavia, la vittoria de Il voloè una ferita ancora aperta e poi, negli anni passati, del Festival ne ho già parlato a sazietà, si sopravvive anche senza per questa volta. No, miei cari lettori, con questo post decido di giocarmi quel poco di credibilità che mi rimane per parlare del film che nell’ultimo weekend ha sbancato il botteghino e del fenomeno mediatico dell’anno.

Cinquanta sfumature di grigio, dopo aver colonizzato le spiagge un paio di anni fa diventando un best seller letto tanto dalle nonne che dalle nipoti, è approdato al cinema in seguito a mesi di attesa, gossip, parodie, gadget di varia natura, indiscrezioni dal set, conferme e smentite e aspettative alle stelle per le fan della trilogia delle sfumature. Ammetto e confesso di aver letto due libri su tre, il terzo proprio non ce l’ho fatta, ma una volta saputa la data di uscita del film ho giurato e spergiurato che non ci sarei andata neanche pagata, per poi finire una domenica di febbraio sotto la pioggia in fila a fare i biglietti per lo spettacolo delle otto. Intorno a me una compagine umana dalla natura eterogenea: adolescenti con la ridarella, allegre cinquantenni su di giri che neanche le figlie sedicenni, ragazzi in cerca di qualche mistico segreto su come conquistare le tipe, fidanzati in cerca di una botta di allegria per mettere a tacere la noia da pre-lunedì. Tutti lì pronti a vedere sul grande schermo la storia tra l’ingenua Anastasia e il conturbante Mr Grey, alle prese con sentimenti, paure, psicosi, drammi e dichiarazioni, manette e frustini. Da questa rinnovata esperienza con le cinquanta sfumature, vi chiederete voi, cosa mi è rimasto? Beh di sicuro molte risate. Da schiantarsi, dico davvero. E poi qualche considerazione, che ho deciso di condividere con voi. Aprite le porte della stanza rossa, ecco le mie personalissime 10 sfumature.

1) Jamie Dornan è troppo cucciolo per essere Mr Grey

Chiariamoci. Jamie Dornanè un figo da paura. Modello prima e attore poi, è il classico tipo da bello e bravo. E, perdonatemi il francesismo ma visto l’argomento mi concedo la libertà, ha un culo che parla da solo. Tessute le sue lodi, bisogna però dire che la sua non è stata la scelta più appropriata per interpretare Mr Grey. Leggendo i libri, mi sono sempre immaginata Christian come un bel tenebroso, dallo sguardo di ghiaccio capace di farti gelare il sangue nelle vene, anche perché non è proprio il personaggio tra i più simpatici. Jamie ha invece una faccia da bravo ragazzo, di quelli che ci provano a fare i duri e sono tutti concentrati nel ruolo, e poi basta un sorriso o una carezza e tac! parte lo sguardo da cucciolo smarrito e lì non ci sono sex toys e pratiche sadomaso che tengano, ti fa troppa tenerezza e addio passione peccaminosa e travolgente. Detto questo, ci va benissimo anche lui, altroché.

2) Dakota Johnson novella Kristen Stewart

La donna mono-espressione potrebbe da oggi avere vita difficile. Una nuova contendente al premio “Mille emozioni, una sola espressione facciale” è arrivata in città e potrebbe seriamente far preoccupare la povera Kristen. Dakota Johnson, figlia di Melanie Griffith e Don Johnson, interpreta nel film la giovane e ingenua Anastasia Steel, studentessa letterata in stato di virginale magnificenza fino al suo incontro con Grey che le mostra le gioie e i dolori del BDSM. Dakota ci prova a dare spessore alle intense sensazioni che la protagonista vive, peccato che il più delle volte la sua espressione resta imbambolata, probabilmente a causa della vista del sedere di cui si parlava prima – e come darti torto sister! – ma la sua Anastasia è anche molto più sciocca, infantile e meno arguta dell’originale, particolari che in qualche modo bilanciavano il suo essere completamente succube di un uomo sì bellissimo ma anche con parecchie turbe psichiche. Inoltre, Dakota aveva un unico vero compito da svolgere, mordersi quel dannato labbro, e invece si dimostra incapace a dare il giusto rilievo a un particolare che nel libro aveva grande importanza, tanto che la frase “Non morderti il labbro!” è diventato un vero e proprio tormentone. Ecco appunto.

3) Il remix di Crazy in Love è qualcosa di davvero sexy

Cinquanta sfumature di grigio si presenta, al di là della storia e della qualità narrativa di quest’ultima, come un film ben confezionato. Tra gli elementi che lo rendono tale c’è di sicuro la colonna sonora. Ho particolarmente apprezzato la selezione di brani che è stata fatta e le voci che li interpretano, da Annie Lennox a Ellie Goulding, passando per The Weekend fino a Beyoncé, che firma la OST anche con un inedito Haunted. Per quanto riguarda la versione remixata di Crazy in Love presente nel film, quest’ultima è decisamente sensuale, con un ritmo rallentato ma più intenso, in grado di regalare un’atmosfera che promette scintille.

4) Tutto fumo e…

Che poi chi ha letto il libro lo sapeva già. Pur essendo una componente importante della storia, il sesso in Cinquanta sfumature di grigioè un misto di pudore (si sprecano i qui e usati al posto delle effettive parti del corpo coinvolte), sentimenti di colpa e perdizione, tentativi di redenzione per i pensieri e le azioni impuri e siparietti pseudo romantici che a confronto gli Harmony erano più spinti. Nel film le scene di sesso sono state ridotte a 20 minuti– particolare che ha creato contrasti tra l’autrice del libro E.L. James e la regista Sam Taylor-Johnson e ha spinto quest’ultima a prendere la decisione di non dirigere i sequel – e in questi 20 minuti c’è davvero poco da vedere, le scene sono molto più glamour che dirty e il cut  del montaggio arriva sempre dove si potrebbe far vedere di più. Che barba che noia.

5) Lo stato di Washington è pieno così di vampiri e uomini di successo dai gusti sessuali particolari tutti tendenzialmente molto fighi

Forks, Seattle… in quel dello stato di Washington pare si aggirino dei gran bei ragazzoni pronti a togliere il sonno a ben più di una ragazza. Ora, Robert Pattinson non mi ha mai particolarmente entusiasmato ma non si può negare che sia bello, così come non si può non ammettere che l’attore che interpretava il lupo mannaro Jacob avesse dei gran bei pettorali. Nato come fanfiction di Twilight, anche Cinquanta sfumature di grigio ha in dotazione la sua bella carrellata di manzi. Partendo da Christian Grey che ciao proprio, nel film appaiono anche il sexy fratello di Christian, il bel ragazzone americano che lavora con Anastasia nel negozio di ferramenta, e persino l’autista di Mr Grey è figo. Roba che io mi sarei già accontentata di lui, “grazie sto bene così, nella stanza rossa ci vai te, io resto in macchina con il tuo Ambrogio”. Naturalmente, sempre perché le protagoniste di queste storie ti devono far ribollire il sangue nelle vene, Anastasia neanche si accorge di tutto l’abbondanza che la circonda e continua a rimanere la finta ingenua che è. Chi ha il pane non ha i denti…

6) Anastasia, la vergine che sapeva troppo

La protagonista di Cinquanta sfumature di grigioè inizialmente vergine, nel caso non vi fosse ancora ben chiaro. La cosa bella è che nel libro/film ciò che sembra più inspiegabile non è tanto il fatto che una ragazza di ventuno anni non sia stata ancora deflorata, quanto il fatto che lei si trasformi repentinamente da timida vestale a dea del sesso. Senza contare che, dopo averla tenuta gelosamente sottochiave per tutti gli anni del college (e decenni di film e serie tv americani ci hanno dimostrato quanto l’impresa sia ardua), lei non batta ciglio quando Christian Grey la trascina a letto in fretta e furia per “chiudere la faccenda” al più presto. Ma scusa?!? A ogni modo, dopo questo momento di passaggio, Anastasia si trasforma nella ragazza più disinibita del pianeta, dal self confidence invidiabile e dalle doti straordinarie. Brava eh, peccato che fuori dalla stanza rossa Ana resti una lagna capace di raffreddare ogni bollente spirito.

7) La crocerossina…

In Cinquanta sfumature di grigio torna prepotentemente la figura della crocerossina, la ragazza innamorata tecnicamente di uno stronzo che crede di poter cambiare solo con la forza del suo amore. Anastasia non perde mai occasione per cercare di fare di Christian Grey il miliardario bello, buono e dolce che lei vorrebbe accanto a sé. Ci prova, ci riprova, si lascia legare, accetta (parzialmente) il gioco della sottomissione, litiga, va via, ritorna, si lagna ancora e ancora pur di avere la sua fiaba a lieto fine. Ci riesce? Questo lo scoprirete alla fine delle trilogia. Ciò che colpisce è quanto lo stereotipo della crocerossina sia terribilmente vero. Ragazze alla Anastasia Steele che ne sono in quantità e, in fondo, tutte abbiamo pensato per un nanosecondo che “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anche io”. Il personaggio di Anastasia sembra quasi sdoganare e legittimare la Candy Candy che c’è in noi. In realtà, il ruolo della salvatrice è uno dei meno appaganti da rivestire e poi siamo proprio sicure che quel tipo lì meriti i nostri sacrifici e metaforiche sedute di bondage che ci costringono a essere ciò che non siamo?

 

8) … e il principe azzurro

In questo caso principe grigio. Cinquanta sfumature di grigio fa leva su un altro grande e recondito sogno di noi fanciulle in fiore, alimentato anche dalla montagna di cartoni animati Disney che ci siamo sciroppate da piccole. Tutte principesse in cerca della fiaba che ognuna di noi si merita. Christian Grey è un po’ il desiderio proibito: bello, ricco, di successo, galante ed educato, intelligente e colto, sa cosa vuole nella vita ed è – inutile negalo – molto bravo a letto. Peccato per quel suo essere patologicamente possessivo che mi manca il respiro al solo pensiero e ti prego scansati. E mentre vedi sullo schermo Anastasia lamentarsi di continuo che non le va bene niente, tu sei lì seduta al buio della sala a pensare che è scientificamente testato che un uomo così, perversioni a parte, non esista e non lo trovi manco con il lanternino. Che amarezza.

9) Al prossimo colloquio di lavoro tutte vestite male e goffe

Pare che l’ingenuità in una donna piaccia. Anastasia fa letteralmente impazzire Christian Grey con la sua timidezza, il suo essere naif e quella matita sul labbro in posa da scolaretta. Vai di cliché. Eppure la ragazza riesce non solo ad attirare l’attenzione di Mr Grey, ma anche a farsi proporre un tirocinio nella sua azienda. E in tempi come i nostri, ti viene allora da chiederti se la storia delle segretarie con gli occhiali che sposano gli avvocati non sia poi vera (Venditti docet).

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10) Una cravatta è per sempre

Ma quali anelli e quali diamanti. Il vero modo per tenerla legata a te è una cravatta. Elegante accessorio e pratico sex toy. Cosa desiderare di più?

Serie Tv: Favs Of The Week #1

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Eh niente, ho deciso di cambiare nome alla rubrica sulle serie tv (anche se potrei cambiarlo ancora). La voglia di cambiare l’impostazione di fondo della rubrica c’era da qualche tempo e i miei post precedenti riflettevano già questo desiderio di semplicità e minori costruzioni e sovrastrutture. Niente più migliori e peggiori, dunque, ma solo i momenti, gli episodi, le battute, la musica, i particolari che ho particolarmente apprezzato nelle mie visioni seriali e che si aggiudicheranno il titolo di Favs Of The Week, i miei preferiti della settimana. Cambio di nome, ma stessa avvertenza: ATTENZIONE SPOILER!

1) The Americans 3x04 – Dimebag

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Partita da poco, la terza stagione di The Americans ci convince sempre di più e ci fa ben sperare che la serie, dopo una seconda stagione altalenante, sia tornata sui giusti binari per regalarci episodi un più bello dell’altro. Quello andato in onda questa settimana è di sicuro tra i migliori visti nella serie. Il tema di Page e del suo futuro, la ricerca della propria identità che fa fatica ad emergere in una famiglia tenuta insieme dai segreti, torna prepotente in queste ultime puntate e mette ulteriormente in crisi la coppia Elizabeth e Philip, i quali hanno idee completamente diverse su cosa sia giusto per la loro unica figlia. Quando Philip si trova a dover reclutare per la loro missione una giovane ragazza di diciotto anni, tutto si complica. In un episodio dai toni molto più raccolti e intimi del solito, le nostre spie preferite ci mostrano il loro lato più “umano”, le lor preoccupazioni, il dolore di Philip al pensiero di poter privare la figlia di una vita che lui non ha mai avuto, lo smarrimento di Elizabeth di fronte a una giovane donna che non comprende a pieno e che sta aprendosi al mondo in modi che lei mai avrebbe pensato, non più agenti del KGB ma genitori spaventati e confusi. A dare risalto a questo crogiolo di emozioni e sentimenti contrastanti ci pensa la colonna sonora, tra cui spiccano le canzoni degli Yaz(Yazoo in Europa), gruppo inglese che faceva synthpop, roba molto anni ‘80, perfetta cornice musicale al senso di smarrimento che colpisce Philip soprattutto a chiusura episodio. Da applausi.

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2)  Shameless 5x06 – Crazy Love

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In Shameless non succedono solo cose che ti piegano dalle risate e ti mandano fuori di testa. Ahimé, c’è anche spazio per tanti sani feels, lacrime e commozioni. Perché in Shameless accade che la famiglia Gallagher ha un mare di problemi, incluso il disturbo bipolare di cui soffre Ian, e accade che Ian un giorno ha una crisi, rapisce il bambino di Mickey e si dà alla fuga, e a nulla valgono le parole del suo Mickey, lasciando tutto il resto della tribù nel panico. In uno degli episodi più commoventi di sempre, non ho mai provato tanta empatia per il personaggio di Mickey, che qui mi commuove con la sua tenerezza, la sua frustrazione, il suo dolore per l’amore della sua vita e tutte le difficoltà che gli comporta, nel modo in cui è stato cresciuto e nel modo in cui vive, essere la persona che è nonostante tutto. La storia tra Mickey e Ianè la storia di due anime che si sono trovate ma che la vita divide ingiustamente e con grande sofferenza. Il mio cuore ha fatto un piccolo crack nel vedere Ian entrare in clinica dopo un lungo, enorme, straziante abbraccio con Mickey. Se ci penso ho ancora i lacrimoni. Grande episodio. #Gallavich

3) Arrow 3x14 – The Return

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Ripartito a pieno regime dopo il winter break, Arrow ci sta regalando episodi pieni di rivelazioni e con una buona quantità d’azione che male non fa mai. Oliver si è ripreso alla grande dallo scontro con Ras’a Ghul ed è già pronto per darle di sana pianta a tutti i suoi nemici. Chiesto l’aiuto a Merlyn, che in situazioni del genere ci sguazza, e rivelato il grande segreto a Thea, è tempo di prepararsi per il grande scontro. Malcom Merlyn non se lo fa ripetere due volte e organizza per i due fratelli un allentamento molto speciale proprio sull’isola da dove tutto è cominciato. Peccato che Merlyn non abbia accennato a un particolare: Slade, che si trova sull’isola come prigioniero, prenderà parte all’allenamento! Inutile dire che nel bel mezzo degli scontri verranno a galla parecchi segreti e verità scomode. Per un Thea che scopre di essere l’assassina di Sara, c’è un confronto tra i due vecchi nemici che mette sotto una nuova luce l’evoluzione di Arrow. Slade evidenzia come Oliver stia cambiando, per ogni persona cara che perde, per ogni pezzo di lui che muore di battaglia in battaglia, e chiede al nostro eroe cosa rimarrà di lui quando ogni persona a lui cara, inclusa Felicity, sarà persa. Ogni eroe ha le sue luci e le suo ombre, che sia il momento di Arrow per mostrarci il suo dark side?

 

4) Gotham 1x16 – The Blind Fortune Teller

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Il premio per l’interrogatorio più psycho lo vince di sicuro Gotham. Nonostante l’avanzamento della trama principale sia praticamente nullo in questo episodio, bisogna dare il merito di essere anche uno dei migliori della stagione. Dopo averci fatto preoccupare con i primi episodi molto – troppo! – procedural e incentrati su casi fini a se stessi, Gotham sembra aver trovato la sua strada nel raccontarci le origini di un mito e la nascita non solo dell’eroe ma anche e soprattutto dei suoi nemici e alleati. E questa volta ci regala un grande momento, forse il più atteso. Partendo dalle indagini per un omicidio avvenuto tra i tendoni del circo, il nostro amato Ben/Jim Gordon ci porta a conoscere un ragazzo di nome Jerome. Primo momento WTF: Jerome lo interpreta Cameron Monagham, che per chi non lo sapesse è anche Ian in Shameless (vedi sopra). Ora, non so voi, ma a me questi movimenti di attori tra una serie e l’altra mi gasano tantissimo. Secondo momento WTF: immagina allora la mi agitazione alle stelle quando capisco che Cameron/Jerome altri non è che colui destinato a diventare il super-arci-nemico-per-eccellenza Joker! Cameron vince e convince con la sua interpretazione durante l’interrogatorio, dove il suo personaggio decide di rivelarsi per lo psicopatico che è in realtà, strizzando l’occhio un po’ più al Joker di Nicholson che a quello di Ledger ma comunque lasciandoci un’immagine di inquieta follia con cui tutti noi fan potremo crogiolarci per qualche giorno. Resta solo da capire se davvero del Joker si tratta: dai teaser e dalle indiscrezioni di Bruno Heller e della produzione sembrerebbe di sì, ma la genealogia del mondo di Batman ha molteplici apporti e ipotesi, tra cui quella che vede la nemesi di Batman chiamarsi in un primo momento Cappuccio Rosso e solo in seguito prenderà il nome di Joker. Inoltre, Joker nasce davvero quando appare Batman e, di conseguenza, quello che la serie e Cameron ci hanno mostrato non è che un piccolo, conturbante assaggio. In ogni caso puntata da non perdere.

 

Speciale Series Finale: The Mentalist

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The Mentalist chiude i battenti dopo sette anni di investigazioni, sorrisi affascinanti, omicidi spietati e arguzie da parte di Patrick Jane. E lo fa nel modo più classico che c’è, ovvero con un bel matrimonio. Bisogna ammettere che lo show aveva perso parecchio smalto e questa settima stagione insieme a buona parte della sesta sono state per lo più uno strascico riempitivo il cui unico senso era da ricercarsi (oltre che nei contratti degli attori) nella conclusione che tutti i fan delle serie attendevano davvero. Dopo aver scoperto chi fosse Red John e aver trovato molto deludente l’epilogo della caccia al killer il cui più grande crimine è stato farci sorbire filler su filler, infatti, quello che mancava ancora all’appello era il trionfo dell’ammmore tra Lisbon e Jane. E c’è da dire che almeno su questo punto siamo stati accontentati. Il finale di serie è stato un tripudio di buoni sentimenti e piccole commozioni, e boh, sarà che sono io ad avere il cuore tenero, ma vederli insieme felici mi ha riempito il corazon. Alla conclusione  di una grande avventura, era d’obbligo una saluto a una serie che mi ha fatto tanta compagnia per tutti questi anni, e poi lo sapete che noi serial addicted ci affezioniamo e tutti i protagonisti, come se fossimo tutti  membri di una grande famiglia. Ciao The Mentalist e grazie!

the mentalist finale

 

Alla prossima! Buona visione!


Gli Oscar 2015 mettono le ali: i migliori momenti, i premi e il red carpet della notte dell’Academy

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neil patrick harris oscar 2015

Anche quest’anno Los Angelesè stata la patinata location di uno degli eventi più attesi tutto l’anno, all’insegna del cinema, del gossip e del glamour più sfrenato. L'87ª edizione della cerimonia degli Oscar, tenutasi domenica 22 febbraio, è stata una serata non particolarmente briosa ma che ha dato le sue conferme, infinitamente lunga, non sempre così sorprendente, con momenti ed esibizioni degne di nota, premiazioni più o meno prevedibili, uno straordinario presentatore e tanti divi che ci hanno fatto entusiasmare, sospirare e sognare sul red carpet. Una notte degli Oscar, in particolare, segnata dall’ombra di un grande volatile e di una grande film, Birdman, capace di mettere le ali a ogni nostra fantasia e sollevarci, almeno per un giorno, dalle terribili paturnie del lunedì. Anche questa è magia.

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A presentare la note degli Oscar 2015 è stato, per la prima volta dopo tanti Tony ed Emmy Awards, Neil Patrick Harris, che per me sarà sempre leggendario, ogni cosa che fa. Peccato che Neil non sia riuscito a smitizzare le star di Hollywood così come aveva fatto prima di lui Ellen DeGeneres, che passerà alla storia come la presentatrice che ordinò pizza durante la cerimonia e come autrice di uno dei selfie più retwittati della storia. Harris però ci mette il suo e trova la strada tra musical e comedy, che è roba sua. Si parte quindi a suon di musica, in compagnia di Anna Kendrik, e con una battuta che fa riferimento a tutta la polemica sorta nei giorni precedenti sulla mancanza quest’anno di nomination ad attori di colore o registi donna: “Tonight we honor Hollywood's best and whitest -- sorry brightest!”

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La serata procede e tra i momenti da ricordare c’è sicuramente anche l’omaggio di Harris a Birdman, quando l’attore decide di comparire sul palco in mutande, rifacendosi a una delle scene più incredibili del film. Devo dire che in quel momento l’ho amato molto, così come quando tira in ballo Benedict Cumberbatch, John Travolta e Ben Affleck in una sola battuta: “Benedict Cumberbatch: It's not only the most awesome name in show business, it's also the sound you get when you ask John Travolta to pronounce 'Ben Affleck.”

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E poi come non adorare gli Oscar fatti con i Lego, che naturalmente tutti volevano e nessuno ha pensato di conservarne uno per Leonardo Di Caprio, quest’anno a casa perché poi tanto lo sa che se ci va ci rimane male. #teamLeo

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Passando ai premi – per il resto dei top moments ci sarà tempo – dico subito di esserne molto soddisfatta. Quest’anno l’Academy ha deciso finalmente di puntare sulla qualità e di premiare il talento, quello vero. Il premio come Miglior Filmè andato quindi a Birdman, lo straordinario film di Alejandro González Iñárritu, per cui tifavo calorosamente. Ho sperato tanto che il premio come Miglior Attore Protagonista andasse a quelMichael Keaton che ci ha lasciato senza fiato per la sua interpretazione, ma alla fine sapevo che avrebbe vinto Eddie Redmayne, emozionatissimo e tenerissimo, a cui va il merito, oltre che di un’ottima interpretazione, anche di aver reso Stephen Hawking più simpatico a tutti noi. Il premio come Migliore Attrice Protagonistaè stato il più scontato, lo vince infatti Julianne Moore per il suo ruolo toccante in Still Alice, meritatissimo e lei sprizzava felicità da tutti i pori, ma se avessi potuto sceglierei io il premio lo avrei dato alla “Amazing” Rosamund Pike che con la sua parte da svitata in Gone Girl me la ricordo finché campo.

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Il premio come Miglior Attore Non Protagonistaè andato a JK Simmons, per il disturbante Terence Fletcher interpretato in Whiplash, mentre Patricia Arquette si porta a casa la statuetta come Miglior Attrice Non Protagonista grazie alla sua parte in Boyhood. Quanta pazienza, ben 12 anni di attesa. Birdman vince altri tre premi, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Fotografia. Anche The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson si porta a casa quattro statuette, i premi più tecnici come Miglior Scenografia, Migliori Costumi, Miglior Trucco e Miglior Colonna Sonora.

87th Academy Awards - Press Room

American Sniper di Clint Eastwood vince solo l’oscar come Miglior Sonoro, mentre Graham Moore si aggiudica il premio come Miglior Sceneggiatura Non Originale per The Imitation Game. Miglior canzone si conferma Glory di Common e John Legend, tratto dal film Selma, mentre Big Heroè il Miglior Film d’Animazione dell’anno. Il premio per i Migliori Effetti Speciali va a Interstellar e il premio come Miglior Film Straniero lo vince il film polacco Ida, il cui regista Paweł Pawlikowski non la finiva più di ringraziare.

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Conclusi i premi tradizionali, non mi posso sottrarre da una delle consuetudini che mi diverte di più in eventi del genere. Diamo il via ai premi Fragola e vediamo chi sono i vincitori di quest’anno.

Premio Best Outfit

Rispetto ai Golden Globe, quest’anno gli Oscar si sono contraddistinti per una grande quantità di look e outfit da togliere il fiato. Eppure a confermarsi l’attrice di maggior tendenza dell’anno e quella con gli outfit più belli di tutti i red carpet in circolazione è sempre e solo lei: Emma Stone. Per la notte degli Oscar, Emma dimostra di avere coraggio con un vestito Elie Saab verde acido tempestato di pallette, bracciale Tiffany e sandali Loubotin. Il risultato è stupefacente e meraviglioso. Emma vince tutto.

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Bellissima in rosso anche Rosamund Pike, che finalmente indovina l’outfit giusto per lei e con l’abito di Givenchy Couture è semplicemente uno schianto. Amazing.

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Mozione infine, anche per la Lupita Nyong’o, che indossava un abito interamente di perle firmato Calvin Klein e che le stava benissimo, e persino per Jennifer Aniston, la quale riesce a convincerci e sorprenderci con un sensualissimo Atelier Versace. Diva.

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Premio Best Look

Anche questa è un’impresa ardua, ma per motivi diversi. Nessuna, infatti, mi ha colpito completamente con il suo beauty look, ma sono stati molti i dettagli che ho adorato in una o l’altra star. Ecco allora una sintesi dei migliori look da Oscar.

Partiamo da Margot Robbie, che ci dimostra come dovrebbe essere un bob e come portarlo alla perfezione. Se a Sanremo si è presentata parecchio “castigata” per la notte degli oscar Margot osa e provoca, a parte da quelle labbra rosse che la rendono seducente e bellissima.

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La classe di Marion Cotillardè tutta nel suo raccolto laterale dal sapore vintage. Pulito, tres chic, si accompagna a un make-up au naturelle come vuole la tendenza del momento.

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Molto elegante anche Julianne Moore, che ha una perfetta acconciatura composta da una chignon basso, tirato da un lato e luminosissimo. Anche per lei tanta tanta classe.

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Altro trend del momento, il raccolto laterale ondulato è portato divinamente da Emma Stone, ormai vincente in ogni campo, e da Diane Kruger, sempre una visione a questi eventi.

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Piace anche il pixie cut pulito e ultrablonde di Rita Ora, meravigliosamente abbinato a una spessa linea di eyeliner, tanto mascara e labbra assolutamente nude. Un look davvero glamour.

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Premio Vileda

Non poteva andare che a lei. Sembrano lontani i tempi in cui si vestiva di bolle di sapone e fette di carne, ma Lady Gaga non può non stupire almeno un po’! Ecco allora due bei guanti rossi che danno subito l’effetto lavandaia. Ovviamente la cosa non è passata inosservata sui social e sono piovute parodie da ogni dove. Idola indiscussa.

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Premio Girl Power

Alla vittoria come Miglior Attrice Non Protagonista, Patricia Arquette ha fatto un appassionato discorso di ringraziamento che si è presto trasformato in un appello alla parità e uguaglianza di diritti per le donne: “A ogni donna che ha dato i natali a ogni contribuente e cittadino di questa nazione, abbiamo combattuto per l’uguaglianza dei diritti di tutti. E’ il nostro turno di avere l’uguaglianza salariale e uguali diritti per le donne negli Usa”. Il discorso ha totalmente entusiasmato Meryl Streep, che dalla platea incoraggiava l’attrice a suon di applausi e approvazioni, supportata anche da Jennifer Lopez. Go sister go!

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Premio Jesus Christ SuperStar

Ci avviciniamo alla consueta sagra dell’ormone – ragazze all’erta – e nell’attesa assegno questo premio a Jared Leto, presentatosi sul red carpet con un tuxedo lilla da vera superstar e capelli lunghi in un look tra il mistico e il miscredente. Non sono mancate battute sul suo look, come il photobombing in odore di santità in cui Jared appare dietro alle spalle di Patricia Arquette, premiata proprio dall’attore. Jared sappi che ti amiamo.

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Premio Performance

Uno dei momenti più belli dello spettacolo nella notte degli Oscar è stato di sicuro l’omaggio di Lady Gaga ai 50 anni di Tutti insieme appassionatamente. Ora, non so voi, ma io da piccola non mancavo mai di guardarlo quando passa in tv, conoscevo a memoria tutte le canzoni e mi emozionava la storia tra Maria e il Comandante von Trapp. E così mi sono commossa di fronte alla bellissima interpretazione di Gaga dei brani presenti nel film e a quell’abbraccio con Julie Andrew semplicemente meraviglioso, di quelli che ti fanno applaudire e piangere contemporaneamente.

Premio 50 sfumature di mamma e figlia

Dakota Johnson arriva sul red carpet in compagnia della mamma Melanie Griffith. Posa plastica (e non solo quello) per Melanie, apparizione piuttosto insipida per Dakota. Il momento più bella per il duo è stato quando la Griffith ha confessato di non aver visto le 50 sfumature di grigio di cui la figlia è protagonista. Se non c’è riuscita nemmeno la mamma un motivo ci sarà…

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Best Moving Acceptance Speech

Graham Moore ha vinto la statuetta per Miglior Sceneggiatura Non Originale per il film The Imitation Game. Al momento di ritirare il premio, Moore fa uno dei discorsi di ringraziamento tra i più commoventi. Parla con il cuore in mano, racconta di quando si sentiva diverso ed escluso dal resto del mondo al punto da affiorare il pensiero del suicidio e dedica il suo Oscar a tutti i ragazzi che si sentono per un motivo o l’altro diversi. “Stay weird, stay different” dice Graham e non potremmo più essere d’accordo di così.

Premio Siamo la coppia più bella del mondo

Qua vado di ex equo. Non posso farci nulla, ho il cuore tenero e vedere insieme queste due coppie mi fa brillare gli occhi. Da un lato abbiamo la tenerezza di Neil Patrick Harris e David Burtka, deliziosi mentre si aggiustano i rispettivi papillon, mentre dall’altro ci sono i neosposi e quasi genitori Benedict Cumberbatch e Sohie Hunter. “Siamo arrivati in tre”. L’amore.

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Premio Best Hug

Al After Party che Vanity Fair tieni ogni anno dopo la cerimonia degli Oscar, tutti i protagonisti della serata si sono dimostrati molto più allegri e amichevoli l’uno con l’altro, in un’atmosfera euforica a tanto glamour. Abbracci ovunque tra divi e dive, ma il migliore è forse quello tra Emma Stone e Julianne Moore, l’una con l’Oscar vero, l’altra con una statuetta  altrettanto invidiabile fatta con i Lego, felici e pronte a fare festa. Let’s go party!

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Premio Social

Jennifer Lopezè stata forse tra le sta più attive sui social per raccontare ai fan i dietro le quinte e retroscena delle serata più glam che ci sia. Suoi sono i selfie migliori dell’evento, come quello in cui Jennifer Aniston e il fascinoso fiancé Justin Theroux si lanciano in uno scompigliatissimo photobomb.

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Sagra dell’ormone

E si chiude in bellezza mie care. Quest’anno ho deciso di fare una carrellata di fighi bellissimi che hanno animato questi Oscars 2015. Un piccolo premio anche per noi fanciulle.

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Chris Evans

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Jared Leto

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Benedict Cumberbatch

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Ethan Hawke

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Channing Tatum

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Edward Norton

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Bradley Cooper

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Matthew McConaughey detto La Barba

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Adam Levine

E potete aggiungere quelli che volete…

I vostri momenti preferiti degli oscar 2015 quali sono?

Serie TV: Man Seeking Woman, la serie più folle che c’è

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In queste ultime settimane ho cominciato a vedere nuove serie e a farmi qualche idea. Alcune le ho abbandonate subito, altre devo ancora inquadrarle, altre ancora mi hanno convinto da subito. Tra queste ci metto sicuramente una delle serie più assurde, strampalate, surreali e geniali che mi sia mai capitata di vedere. Man Seeking Woman, ideata dallo scrittore e umorista Simon Rich, che fa riferimento per la serie al suo libro di racconti The Last Girlfriend on Earth, è partita il 14 gennaio scorso sul canale FXX e si prospetta come una delle cose migliori da vedere in questo inizio 2015, una comedy dalle tonalità indie che non manca di strizzare l’occhio a un genere più fumettistico e grottesco, dall’ironia acuta e il sarcasmo dissacrante. Man Seeking Woman potrebbe essere il parto di un folle o di un genio, a voi la scelta, ma di sicuro è finalmente qualcosa di diverso.

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Di che parla Man Seeking Woman? Non è cosa semplice spiegarlo. Certo, c’è un protagonista e c’è una sorta di canovaccio di trama che collega gli episodi, ma ogni puntata sembra appartenere a un universo parallelo a parte e ogni storia è un’avventura tra il reale e il surreale in cui riconoscere schemi, cliché, abitudini, vizi e virtù delle relazioni di coppia e interpersonali. Perché il protagonista della serie, il ventisettenne naif Josh Greenberg (interpretato da Jay Baruchel, visto nel film L’apprendista stregone), è stato appena mollato dalla fidanzata storica e si ritrova nella nuova condizione di single a lottare per tornare in pista e trovare l’amore della vita. Peccato che il mondo che lo circonda sia, più che un mare di opportunità, una giungla dalle mille insidie per la gente sola come lui, dove non si salva nessuno, neppure la sua famiglia, composta da una sorella maggiore e la madre che non mancano mai di dare consigli e fare commenti sulla sua condizione.

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Da questo momento in poi, però, dimenticatevi ogni normale e consueto sviluppo di una trama del genere e lasciate spazio alla vostra incredulità. Perché per Josh ci saranno solo incredibili storie e nei primi 20 minuti dello show davanti ai vostri occhi passeranno alcune delle scene più assurde che abbiate mai visto. Come il suo primo appuntamento con una svedese. Che voi starete già immaginando una superbionda alta due metri e invece no, dato che l’appuntamento al buio di Josh è con un troll svedese. E mentre piovono piccioni e la gente per strada comincia ad acclamarlo e passa a prenderlo una limousine per fargli conoscere il presidente che vuole congratularsi con lui per essere riuscito a ottenere il numero di telefono di una ragazza, Josh si fa largo nel grande marasma della singletudine, supportato da quel classico amico che pensa sempre di saperla più lunga di te, interpretato da Eric Andrè (l’avete già visto in Apartment 23 e 2 Broke Girls), ma che con le sue fanfaronate e le sue idee strampalate riesce a confonderti ancora si più. La domanda se mai il protagonista troverà la ragazza dei suoi sogni si diluisce così in una serie di incontri imbarazzanti, conversazioni con la propria mano, situazioni surreali, mostri e aliene che appaiono nella vita di Josh, nelle quali riconoscere ben più di una delle disavventure in cui ci imbattiamo nella vita di tutti  i giorni.

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Simon Rich, ideatore della serie e autore del libro da cui lo show è stato tratto, è un autore e umorista tra i più apprezzati in America, tra gli autori di uno degli show più famosi e amati negli States, il Saturday Night Live. In Man Seeking Woman, Simon prende e raccoglie le situazioni tipo legate alla sfera dei rapporti interpersonali, come la sorella che ti vuole sistemare con l’amica simpatica, la madre che fa il terzo grado sulla nuova ragazza, l’amico che ti spinge a uscire di più e spassartela, ma anche la fissa per l’ex che non ti è mai passata, la difficoltà di scrivere il messaggio giusto a chi ti piace, ecc… e sposta il tutto su un altro piano altamente metaforico, dove reale e finzione si compenetrano in una dimensione con prestiti dal mondo delle graphic novel, del fantasy e del sci-fi, in cui lo spettatore non riconosce i confini dell’una o dell’altra e dove ogni cosa immaginata è realtà, al punto che sembrerà a tutti normalissimo che un ultracentenario Hitler giri in carrozzina a una banale festa tra amici e la cosa non potrà non generare perplessità in un primo momento ma infine anche divertire. Attraverso la faccia stordita di Josh, lo spettatore osserva un mondo che è la versione distorta e ironica dalle emozioni e pensieri del protagonista, e l’accettazione di questo stato di cose da parte di Josh, degli atri personaggi e, infine, anche dallo spettatore stesso, rendono paradossalmente più autentiche e vive le sensazioni del povero Josh. Il risultato è altamente estraniante, stupefacente ma soprattutto esilarante.

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Man Seeking Womanè una comedy diversa nel suo genere, surreale e fuori dagli schemi, un prodotto che decide di intraprendere una strada originale e imprevedibile, dai veri picchi di genialità, per raggiungere quell’obiettivo che molti altri show della categoria non raggiungono più: farvi ridere e pure tanto. Al momento la prima stagione consiste di dieci episodi e siamo ancora in attesa di sapere se la serie sarà rinnovata o se gli americani ancora una volta riusciranno a non capirci nulla, ma il consiglio è di non perdervela comunque se volete qualcosa che sia in grado di stupirvi davvero rispetto alle serie che guardiamo di solito.

Recommendation Monday: Consiglia un libro il cui titolo contenga un nome proprio di persona

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Buon lunedì! Finalmente un nuovo Recommendation Monday, anche questa volta di gioca con i nomi:

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Questa settimana torno sul classico e, in particolare, torno su un autore italiano che ho molto amato in passato e continuo ad amare anche adesso nonostante siano parecchio tempo che non riesco a leggere niente di suo. Pensando a nomi propri e libri avevo in mente due Margherita e ho deciso di far vincere quella più giovane in tutti i sensi (l’altra lascio a voi il compito di indovinarla e magari consigliarla). Il libro di questa settimana è Margherita Dolcevita di Stefano Benni.

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E il vostro RM qual è? Buona settimana a tutti!

Fragola al cinema: Birdman

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Vincitore di quattro Oscar, tra cui Miglior Film e Miglior Regia, Birdmanè probabilmente la sorpresa più bella di questo 2015. Alejandro González Iñárritu dirige una pellicola dall’anima immaginifica che racconta di attori, cinema e potere dei media (social o meno), in una riflessione costante tra vita e arte, attraverso un puntiglioso, preciso, sapiente gioco di stile e tecnica talmente sopraffino che si fa poesia. Un Michael Keaton in stato di grazia e un cast di attori straordinari, Edward Norton, Emma Stone e Naomi Watts, completano il quadro per un film davvero imperdibile.

 

 

 

 

 

Titolo: Birdman
(o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza)
Regia: Alejandro González Iñárritu
Anno: 2014
Paese: USA
Cast: Michael Keaton, Edward Norton,
Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il protagonista si chiama Riggan Thompson,  un attore conosciuto per lo più per essere stato il famosissimo Uomo Uccello, un supereroe da tipica saga americana che negli anni Novanta riempiva le sale cinematografiche e faceva impazzire i fan del genere. Quell’epoca, però, è ormai solo un ricordo e Riggan, dimenticato un po’ da tutti, tenta di tornare alla ribalta passando per la via che più spesso viene intrapresa dalle vecchie glorie, il teatro. Nel mettere in scena una sua persona rivisitazione del famoso racconto di Carver “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” dovrà vedersela con l’attore protagonista dotato ed egomaniaco, con una figlia problematica e in cerca di approvazione o semplicemente affetto, un’amante un po’ svitata e un amico manager preoccupato solo a come arginare il disastro che pare annunciarsi e il suo alter-ego Birdman, un po’ coscienza un po’ nemesi, con il quale Riggan intraprende dialoghi surreali e feroci contrasti, il tutto mentre l’attore cerca di ricomporre i pezzi della sua vita e, infine, quelli della sua identità martoriata e confusa.

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Birdman è un percorso meta nel mondo dello spettacolo con tutte le sue sfumature. Teatro nel teatro, cinema nel cinema, la società del potere dei social network che si ripete all’infinito su se stessa… Iñárritu prende la vita funambolica di Riggan e la trasforma in una metafora continua, con la quale fare satira sullo showbiz americano ma anche riflettere su quanto l’arte compenetri nella vita di un artista e viceversa. A tal proposito, è incredibile il parallelismo che si crea tra il protagonista e l’attore che lo interpreta, un bravissimo Michael Keaton che molti di noi ricordavano soprattutto per il Batman di Tim Burton e che forse avremmo ricordato ancora solo per quello se non fosse stato per il regista messicano, ma che proprio grazie a questa incredibile prova in Birdman risorge come l’araba fenice in tutto il suo splendore.

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Riggan si muove su, giù e tutto intorno al teatro dove metterà in scena la sua opera, e noi lo seguiamo in questo labirinto di corridoi, incontri, finte scazzottate, passeggiate seminudo per strada e voli sui tetti di New York attraverso un unico piano sequenza continuo, estremamente fluido e affascinante, che rende necessario rivedere il film una seconda volta per coglierne tutti i dettagli, capace di dare un ritmo sincopato, febbricitante all’intero film, generando una magia che si impossessa dello spettatore di minuto in minuto, ottenendo uno stupore quasi infantile, entusiasta, un’esaltazione visiva ed emotiva che si trascina anche quando il momento è andato via. Birdman è senza dubbio un mirabile esercizio di stile, raffinato, accurato e condotto con maestria, dove la sapienza tecnica si eleva raggiungendo livelli artistici e creativi mirabili, probabilmente non aggiungendo nulla alla trama ma donandole un’accezione di significato poetica e quasi esistenziale, allegorica, senza mancare di spettacolarizzare ancora di più il grande show a cui già assistiamo. In quest’ottica vanno visti i toni da commedia presenti in diverse scene, che alleggeriscono un po’ il registro della pellicola: si pensi alla scena in cui Riggan resta in mutande nel cuore della città e deve attraversa una folla impazzita che non smette di scattare foto e realizzare video destinati a divenire virali in pochi minuti, oppure alle varie scene in cui appare Edward Norton, irresistibile nella parte del vanesio Mike Shiner, grazie al quale ci regala alcuni dei momenti più belli e spassosi del film.

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Birdman è un film che in parte cerca di fare il punto su una situazione specifica, quel mondo dello spettacolo che conquista ma non perdona, dimentica ma non sempre onora, che chiede a gran voce ma è geloso nel dare, attraverso la satira pungente sugli attori che se la credono troppo, sulla critica che fa il bello e il cattivo tempo spesso immotivatamente, sull’andamento odierno del cinema americano, preso ormai tra supereroi da fumetto e personaggi fantasy e sci-fi, ma dall’altra parte si tratta di una pellicola che desidera raccontare la grande potenza che i sogni hanno sulla vita delle persone, soprattutto di coloro i quali hanno fatto del loro sogno una forma d’arte, e la fuga nell’immaginazione di Riggan diventa il simbolo del rifiuto dell’artista allo scetticismo del mondo che lo circonda. Birdman si presta così a più chiavi di lettura, mentre il gioco visivo magistralmente architettato da Iñárritu  incanta e fa sognare. Un film poetico, suggestivo, altamente godibile, un’opera di tutto rilievo destinata a diventare un classico da vedere e rivedere senza perdere nulla del suo fascino.

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Voto: 9

Recommendation Monday: Consiglia un libro ambientato in Italia

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Buon lunedì! Nuovo Recommendation Monday, questa settimana piuttosto nostrano:

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Come qualcuno di voi forse saprà, non sono una grande lettrice di autori italiani. Ho quei 4-5 imperdibili, che seguo dagli anni della gioventù e di cui non riesco a disaffezionarmi e solo ultimamente mi sono aperta a qualche “nuovo” scrittore che mi ha piacevolmente sorpreso (vedi Paolo Cognetti). Stavo quasi per consigliare, quindi, un libro di un autore straniero ambientato nel nostro Paese quando poi mi sono venuti in mente loro e tutto è stato più facile. Che poi in questo caso è solo uno, Wu Ming 2, ma la firma del collettivo è inconfondibile. Il libro che vi propongo è ambientato in Italia, precisamente a Bologna, ma è ambientato anche in Somalia, un paese il cui destino si è incrociato con il nostro, e racconta di Italiani, tutti gli Italiani, e di quella nostra storia fatta di scenari e momenti che spesso non conosciamo o di cui pare abbiamo sempre la memoria troppo corta per ricordare. Il racconto di una vita avventurosa di una donna straordinaria che si intreccia con la Storia e regala riflessioni su chi siamo stati, su chi siamo ora e su chi potremmo essere. Il libro di questa settimana è Timira di Wu Ming 2 e Antar Mohamed.

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E il vostro Recommendation Monday? Buona settimana a tutti!

La Recensione del Mese: Dimentica il mio nome di Zerocalcare

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Come dare torto a chi l’ha premiato come “miglior libro del 2014”. Dimentica il mio nome, pubblicato da Bao Publishing, è la consacrazione del fumettista romano Zerocalcare, al secolo Michele Reich, la sua ultima opera nonché la sua opera più matura, la conferma di un grande talento come storytelling, a dimostrazione del suo essere un narratore attento alle sue storie, capace di esprimere con passione il suo mondo, ma anche di farsi voce di un’intera generazione.

dimentica il mio nome copertina

 

 

 

 

Titolo: Dimentica il mio nome
Autore: Zerocalcare
Anno: 2014
Editore: Bao Publishing
Pagine: 240
ISBN 9788865432549

 

 

 

 

 

 

Con Dimentica il mio nome, Zerocalcare parte da un evento della sua vita personale– la scomparsa dell’amata mamie e la rivelazione di una parte del passato della sua famiglia di cui era completamente all’oscuro – per imbastire una storia tra il racconto autobiografico e quello fantasy, una storia di personaggi fantastici, misteri di famiglia e un passato che torna in superficie prepotente dopo anni di silenzi e segreti. Il tutto immerso nel mondo di Zerocalcare, quell’universo fatto di un immaginario di ricordi di infanzia, retaggi anni ‘80 e ‘90, una memoria collettiva televisiva e musicale, personaggi e feticci appartenenti alla cultura mainstream che assumono questo o quel ruolo, che permettono a Zero di mettere in pausa la storia e di volta in volta fare le sue riflessioni e gli intermezzi comici che abbiamo imparato tanto ad amare con il suo blog.

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Ma non è solo la vena comica e il richiamo a un immaginario collettivo che profuma di nostalgia, che traduce in immagini esperienze e sentimenti, a fare centro nel nostro cuore con Dimentica il mio nome. In questo suo ultimo lavoro, Zerocalcare si dimostra maturo come narratore, nel realizzare una storia lunga e articolata, nel dosare con attenzione e consapevolezza il ritmo narrativo e il succedersi delle linee del racconto, in un viaggio tra passato e presente in cui veniamo pilotati sapientemente da Zero senza alcun rischio di dispersione, laddove ogni digressione diventa non un semplice intermezzo ma un amplificatore delle emozioni che il racconto già produce di per sé. La scomparsa della nonnaè il momento di uno sguardo indietro nel tempo, azione su cui Zerocalcare ama spesso soffermarsi, ma questa volta non solo per scatenare l’immediato effetto amarcord che ci piace tanto, ma per trovare un senso, per andare a fondo su quelle che sono le proprie origini e così facendo prendere consapevolezza di chi si è e superare quella linea che determina quando che ormai, che ce ne accorgessimo o meno, siamo cresciuti.

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Zerocalcare diventa grande e, come ci racconta lui nel libro, passa al livello successivo, anche in termini di linguaggio. Le sue grandi doti di comunicatore paiono ormai evidenti a tutti, ma in Dimentica il mio nome il registro assume sfumature inaspettate, di grande profondità e intensità, ma anche estremamente delicate e sensibili. Il risultato è che i lettori non solo si divertono molto, ma vengono guidati in un percorso emotivo che fa riflettere e sa commuovere, non solo di fronte alla storia familiare che viene narrata, ma anche per quei particolari che la arricchiscono e che guardiamo per la prima volta con occhi nuovi, come l’amore di Zero per il suo quartiere, Rebibbia–  al quale regala alcune pagine tra le più belle –, per i ricordi della sua infanzia che si intrecciano inevitabilmente con i nostri, per le parole usate per descrivere i rapporti con gli amici, la famiglia, le persone importanti della sua vita. Dimentica il mio nomeè uno dei lavori con cui ho imparato a conoscere meglio Michele e non solo Zero, rendendo questa non solo la sua opera più riuscita, ma anche un piccolo regalo a chi lo segue da anni con affetto.

Dimentica il mio nomeè un’epopea familiare che emoziona, una storia fantastica, una graphic novel dallo stile inconfondibile, una vicenda ricca di humor che vi farà passare qualche ora in allegria, un gioiellino in cui apprezzare a pieno il talento di Zerocalcare e la sua capacità di saper dosare sempre nel modo giusto ironia e commozione, una lettura bellissima, qualcosa da custodire con cura e rileggere ancora per poterne gustare tutte le sfumature di significato e ogni singolo tratto delle sue bellissime tavole. In una sola parola, imperdibile. Daje Calca’.

 

L’autore

 

Zerocalcare ha 31 anni e ha pubblicato a lungo su fanzine fotocopiate, ha disegnato locandine di concerti punk hardcore, prendendo parte con i suoi fumetti a un numero sterminato di autoproduzioni nel circuito dei centri sociali e collaborando con riviste di ogni genere (che per lo più hanno poi chiuso). Partecipa regolarmente all'annuale antologia del fumetto indipendente Sherwood Comix, collabora con Smemoranda, ha una rubrica mensile su Wired e pubblica strisce su Internazionale. Il suo blog, zerocalcare.it, è tra i più letti d'Italia.

Serie Tv: Favs of the Week #2

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Nuovo appuntamento con i momenti preferiti di questa settimana seriale appena conclusa. Come sempre ATTENZIONE SPOILER!

1) Man Seeking Woman 1x09 – 30enni single e allora?

Prima del finale di stagione della prossima settimana, una piccola apparizione in questa rubrica non poteva mancare per la comedy più assurda e incredibile di questo 2015, capace di mandarmi letteralmente in brodo di giuggiole e di divertirmi come poche altre cose al momento. Nel nono episodio si cambia prospettiva e, anziché seguire il protagonista Josh alle prese con le sue disavventure sentimentali, l’episodio è incentrato completamente sulla sorella maggiore Liz, la quale alle soglie dei 30 anni si ritrova single e con tutte quelle ansie e paranoie tipiche di noi giovani donne alle prese con il lavoro, la nostra vita e quel maledetto pensiero di doversi sistemare a ogni costo che sembra essere l’unica prerogativa secondo chi ci sta attorno per cui la nostra vita avrebbe un senso #maancheno. Liz ci prova e il suo appuntamento al buio con Chip, rivelatosi ovviamente essere un robot (anche piuttosto stronzo) in un parallelismo della cena di Josh con la troll svedese, è la summa di tutti i dolori e le difficoltà che noi fenomenali quasi trentenni troviamo sulla nostra strada. Ho riso tantissimo, anche se con quella punta di amaro in bocca che ogni episodio di Man Seeking Woman lascia sempre, spiazzandoti con metafore talmente surreali da apparire le più calzanti a descrivere la nostra quotidianità. Peccato che la stagione sia quasi finita, ma sono contentissima che la serie sia stata confermata per una seconda!

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2) House of Cards 3x03 – Aggiungi un posto a tavola

Nel terzo episodio della nuova stagione di House of Cards la fiction si accende dei colori della protesta politica, quella vera. In questa puntata il neo presidente degli Stati Uniti Frank Underwood incontra il presidente russo Viktor Petrov, interpretato da Lars Mikkelsen (fratello di quel Mads Mikkelsen che interpreta Hannibal e che i fan della serie Sherlock ricorderanno come Magnussen), personaggio di finzione che tuttavia riesce a ricordarci molto il vero presidente Vladimir Putin. Il personaggio è forse tra i più insopportabili che si siano visti in House of Cards e la sua visita alla Casa Bianca è tutt’altro che facile da gestire per il nostro Frank. A infiammare ancora di più la situazione vi è la presenza delle Pussy Riot, il collettivo punk russo da sempre attivo in campagne a favore dei diritti civili nel loro Paese. Nel bel mezzo di una imbarazzante cena presidenziale le due attiviste Nadezhda "Nadya" Tolokonnikova e Maria "Masha" Alyokhina, le quali vennero arrestate nel 2012, con l'accusa di "teppismo e istigazione all'odio religioso" per aver messo in scena, durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, un'esibizione non autorizzata contro Putin, e rilasciate solo nel dicembre 2013, abbandonano la sala indignate dopo aver accusato Petrov e aver versato del vino sul tavolo in segno di protesta. Se Frank inizialmente tenta di trovare un accordo con Petrov nei colloqui di pace per il Medioriente, fallito il tentativo e anche piuttosto turbato e stanco dell’arroganza del suo ospite, Frank invita il suo ospite a ripartire e rilascia una conferenza stampa in cui supporta apertamente l’operato delle Pussy Riot, mentre sui titoli di coda appare il video del nuovo singolo del collettivo. Il messaggio è forte e chiaro.

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3) Shameless 5x08 – Quel furfantello di Carl

Come sempre Shameless sa regalare di episodio in episodio, grandi momenti ed epicità a sprazzi. Per questo episodio sono sicuramente da segnalare le prodezze di Carl. Dapprima, istigato da Frank che vuole liberarsi di quella psicopatica di Sammi, Carl imbottisce letteralmente Chuckie di eroina per non essere beccato dalla polizia. Quando, però, Sammi denuncia Carl e la polizia arriva a casa Gallagher, Carl non è abbastanza veloce per scappare e viene arrestato e portato in centrale. Ho letteralmente amato la scena finale in cui tutta la famiglia è di nuovo riunita come solo il clan Gallagher sa fare, sempre compatti davanti all’ennesima avversità che non riuscirà a spezzarli mai, mentre urlano a Carl di non parlare. D’altronde sapevano che sarebbe stato Carl quello ad avere problemi con la legge e la cosa non ci stupisce affatto ma, anzi, ci fa ridere ancora di più il suo atteggiamento spavaldo di fronte ai poliziotti. Siamo tutti con te Carl.

4) Once Upon a Time 4x14 – Non ci sono più i buoni di una volta

OUAT è ripartito con una nuova carrettata di cattivoni, il solito Tremotino alle prese con un nuovo piano di vendetta, ma anche con qualche novità riguardante la famiglia Charming. Si scopre infatti che i coniugi Azzurro non sono proprio i buoni che ci hanno sempre voluto far credere. Dopo aver seguito Ursula e Curdelia nel tentativo di fermare ogni loro piano, fallendo miseramente e contribuendo al ritorno di Maleficent alla sua forma umana e più incavolata che mai, Snow decide di incontrare Regina sotto al pioggia come i peggiori cospiratori e di chiederle di fare l’infiltrata nel Club delle supercattive. Regina vuole però sapere il perché ed è qui che veniamo a sapere che i  Charming sono responsabili della scomparsa della figlia di Maleficent, per evitare l’avverarsi di una premonizione che coinvolge Emma. Snow chiede a Regina di mantenere il segreto, ma tanto sappiamo già che non andrà così. Come al solito, non si è capito molto su cosa si basi questa premonizione e dove sia finita la figlia di Maleficent; quello che sappiamo è che con OUAT abbiamo dovuto ridimensionare di molto, nel corso delle stagioni, le nostre idee su eroi e villain e ora, dopo essere scesi a patti con il fatto che David e Mary Margareth sono Charming solo di nome ma di fatto sono una spina nel fianco e una noia mortale, potrebbe esserci la svolta definitiva per guardarli con occhi totalmente diversi. Che birbanti.

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5) The Following 3x02 – IndaBox, le uova americane e Bacon che la sa lunga (O.T.)

E niente è tornato The Following e in due episodi è stato già raggiunto un numero di morti (telefonatissime) equivalente a un capitolo di Game of Thrones. Ansia a palate, non tanto per la storia in sé, che al momento pare inesistente e piuttosto noiosetta e prevedibile, quanto per i modi sempre più perversi e contorti con cui gli autori mettono fine all’esistenza dei personaggi. Come il tipo del FBI rinchiuso in una scatola. Che detta così, dopo aver visto un corpo infilato in una valigia in The Americans qualche episodio fa pare poco, ma il particolare da non trascurare qui è che la vittima era ancora viva. Sto male, e poi vedo Mike che ha deciso di diventare da grande Bacon e sto male ancora di più. L’unico che si salva è proprio il nostro Kevin Pancetta, il quale ha deciso di sfruttare il momento e il suo nome per prendere parte a una pubblicità progresso americana che promuove il consumo di uova (ma gli americani non facevano colazione con le uova strapazzate come abbiamo visto in ogni film della nostra infanzia che si rispetti? Crollo delle certezze in 3, 2, 1…). Pubblicità piuttosto trash e che fornisce quel pizzico di disagio che, in fondo, ci piace, e poi a voi non piacerebbe avere Bacon nella vostra cucina?

 

E anche questa volta è tutto gente. Buona visione!


Book Wishlist Inspiration Board: La Sposa giovane di Alessandro Baricco

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Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alla mia wishlist e alle suggestioni che questa crea nella mia testa. Il libro di oggi è uscito da pochissimo, proprio il 18 marzo, ma in effetti era da un po’ che l’attendevo. Mi dico sempre che non leggerò più altro di Baricco, che dopo anni a volte mi stufa e mi innervosisce persino, ma ogni suo nuovo lavoro mi coglie di sorpresa e finisce sempre per incuriosirmi, tanto che so già che le mie resistenze saranno vane, lo leggerò e anche presto. Si parla di La Sposa giovane di Alessandro Baricco.

La casa editrice dice:

la-sposa-giovane-bariccoSono la Sposa giovane, dissi.

Siamo all’inizio del secolo scorso. La promessa Sposa è giovane, arriva da lontano, e la Famiglia la accoglie, quasi distrattamente, nella elegante residenza fuori città. Il Figlio non c’è, è lontano, a curare gli affari della prospera azienda tessile. Manda doni ingombranti. E la Sposa lo attende dentro le intatte e rituali abitudini della casa, soprattutto le ricche colazioni senza fine. C’è in queste ore diurne un’eccitazione, una gioia, un brio direttamente proporzionale all’ansia, allo spasimo delle ore notturne, che, così vuole la leggenda, sono quelle in cui, nel corso di più generazioni, uomini e donne della famiglia hanno continuato a morire. Il maggiordomo Modesto si aggira, esatto, a garantire i ritmi della comunità. Lo Zio agisce e delibera dietro il velo di un sonno che non lo abbandona neppure durante le partite di tennis. Il Padre, mite e fermo, scende in città tutti i giovedì. La Figlia combatte contro l’incubo della notte. La Madre vive nell’aura della sua bellezza mitologica. Tutto sembra convergere intorno all’attesa del Figlio.
E in quell’attesa tutti i personaggi cercano di salvarsi.

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Per questo nuovo romanzo di Baricco ho rispolverato un po’ la mia vecchia vita da assistente di wedding planner e mi sono lasciata ispirare dall’atmosfera vintage che si respira fin dalla sinossi. Una sposa giovane in una casa che pare nascondere segreti e misteri, un maggiordomo che mi ha subito fatto pensare a Carson di Downton Abbey, una casa dove anche una semplice tazza di tè segue il più preciso cerimoniale. Magari poi nel libro tutte queste mie supposizioni verranno smentite, ma immaginare ogni scenario possibile fa parte del fascino intrinseco di un libro ancora da iniziare.

 

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Titolo: La Sposa giovane | Autore: Alessandro Baricco | Editore: Feltrinelli |
Anno: 2015 | Pagine: 192 | ISBN: 9788807031311

Due cose due #4

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E torna anche Due cose Due. Sperando che il prossimo appuntamento non sia tra due mesi. Tra Marzo pazzerello e Aprile dolce dormire, ecco libri, film e curiosità varie che voglio segnalarvi.

Libri

Tra i libri in uscita tra marzo e aprile, entreranno a far parte della mia libreria (o almeno ci spero):

L'avventurosa storia dell'uzbeko muto di Luis Sepulveda. La giovinezza, si sa, è l’età degli ideali, delle grandi battaglie, ma anche del velleitarismo, delle bevute con gli amici, dell’inquietudine sentimentale. E i giovani sudamericani degli anni Settanta non facevano certo eccezione. In questo «romanzo in storie» Luis Sepúlveda racconta il passato e i sogni della sua generazione, e lo fa attraverso la lente dell’affetto e dello humour, che stempera le tensioni e ci riporta intatti le passioni e i momenti di entusiasmo della sua giovinezza militante. Così scopriamo che una rapina in banca poteva essere un esproprio proletario, o addirittura fornire a un cantante mancato un’imperdibile occasione per esibirsi alla chitarra. Poi vediamo all’opera una squadra dell’Esercito di liberazione nazionale impegnata a rubare delle armi, incappando in una serie di intoppi tragicomici, ma attirando anche collaborazioni inattese. E incontriamo in queste pagine, tra gli altri, il bizzarro personaggio del titolo, che non è… né uzbeko né muto. Si tratta infatti del peruviano Ramiro, vincitore di una borsa di studio all’Università Lomonosov, destinato a ricevere un’educazione sovietica nella Patria del Socialismo. Peccato che a Mosca Ramiro non trovi nulla di quello che gli interessa davvero, cioè le ragazze, la musica e l’alcol. Peggio gli va quando tenta di raggiungere Praga, dove si dice che tutte queste cose abbondino, ma approda invece in Uzbekistan… Tra sorriso e nostalgia, queste pagine ci fanno rivivere «il bel sogno di essere giovani senza chiedere il permesso».

Il paese dei coppoloni di Vinicio Capossela. “Da dove venite? A chi appartenete? Cosa andate cercando?” Così si chiede al viandante-narratore nelle terre dei padri. Il viandante procede con il passo dell’iniziato, lo sguardo affilato, la memoria popolata di storie. E le storie gli vengono incontro nelle vesti di figure, ciascuna portatrice di destino, che hanno il compito di ispirati accompagnatori. Luoghi e personaggi suonano, con i loro “stortinomi”, immobili e mitici, immersi in un paesaggio umano e geografico che mescola il noto e l’ignoto. Scatozza “domatore di camion”, Mandarino “pascitore di uomini”, la Totara, Cazzariegghio, Pacchi Pacchi, Testadiuccello, Camoia, la Marescialla: ciascuno ragguaglia il viandante, ciascuno lo mette in guardia, ciascuno sembra custode di una verità che tanto più ci riguarda, quanto più è fuori dalla Storia. Il viandante deve misurarsi, insieme al lettore, con un patrimonio di saggezza che sembra aver abbandonato tutti quanti si muovono per sentieri e strade, sotto la luna, nella luce del meriggio, accompagnati dall’abbaiare dei cani. E poi ci sono la musica e i musicanti. La musica da sposalizio, da canto a sonetto, la musica per uccidere il porco, la musica da ballo per cadere “sponzati come baccalà”, la musica da serenata, il lamento funebre, la musica rurale, da resa dei conti. Vinicio Capossela ha scritto un’opera memorabile in cui la realtà è visibile solo dietro il velo deformante di un senso grandioso, epico, dell’umana esistenza, di un passato che torna a popolare di misteri e splendori l’opacità del nostro caos.

Cinema

Passata l’onda dei premi e dei red carpet vari, scegliere cosa andare a vedere in sala nelle prossime settimane non è così semplice. Tra le varie pellicole ora al cinema e prossimamente in arrivo, mi sono segnata:

Suite Francese di Saul Dibb. Con Michelle Williams, Kristin Scott Thomas, Matthias Schoenaerts, Sam Riley, Ruth Wilson. Tratto dal bellissimo romanzo di una delle mie autrici preferite, sono proprio curiosa di capire se gli americani sono riusciti a spogliare la storia di tutta la sua poesia e renderlo il classico polpettone ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma forse sapranno stupirmi.
Ambientato in Francia nel 1940, Suite francese racconta la storia della bellissima Lucile Angellier che nell'attesa di ricevere notizie del marito prigioniero di guerra, vive un'esistenza soffocante insieme alla suocera, donna dispotica e meschina. La sua vita viene stravolta quando i parigini in fuga si rifugiano nella cittadina dove vive. Subito dopo la città viene invasa dai soldati tedeschi che occupano le loro case. Inizialmente Lucile ignora la presenza di Bruno, un raffinato ufficiale tedesco che è stato dislocato nella loro abitazione...ma ben presto vengono travolti dalla passione e dall'amore.

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Wild di Jean-Marc Vallée. Con Reese Witherspoon, Laura Dern, Thomas Sadoski, Michiel Huisman, Gaby Hoffmann. Vallée è il regista di uno dei film che ho più amato nel 2014, Dallas Buyers Club, mentre la sceneggiatura è dello scrittore Nick Hornby e questo mi fa ben sperare. Mi sono persa la proiezione durante il TFF, che faccio me lo perdo pure ora?
Cheryl Strayed è una giovane donna che ha percorso oltre mille miglia lungo la pista di trekking del Pacific Crest per elaborare un grave lutto familiare e il naufragio del suo matrimonio, affrontando e sconfiggendo, in un viaggio pericoloso e solitario, i suoi demoni e le sue paure.

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Eventi

Modigliani e la Bohème di Parigi, Gam Torino fino al 19 Luglio. Questa volta me la gioco in casa con la mostra dedicata al pittore Amedeo Modigliani, un artista che conosco poco ma che mi incuriosisce molto, sarà per le facce ovali delle donne dipinte che mi procurano un’incredibile malinconia, sarà per l’aria bohémien che pare si respiri in tutta la mostra, con i suoi 90 lavori appartenenti ai principali pittori parigini dell’epoca. http://www.modiglianitorino.it/
Intorno alla figura centrale di Modigliani la mostra presenta la straordinaria atmosfera culturalecreata dalla “École de Paris”, la corrente che ebbe protagonisti alcuni artisti attivi nel primo dopoguerra che si raccolsero intorno a Montmartre uniti dal desiderio di vivere in pieno il clima artistico di Parigi, creando una completa simbiosi tra vita e arte. La mostra è suddivisa in cinque sezioni, che analizzano la vitalità parigina del periodo, con uno sguardo non solo alla pittura, ma anche al disegno e alla scultura. Circa 90 opere racconteranno questa esperienza artistica con accanto a Modigliani alcuni nomi eccezionali come Brancusi, Soutine, Utrillo, Chagall, Gris, Marcousiss, Survage, Picasso.

Metropolis, Il Cinema ritrovato, marzo/aprile. Un pilastro della storia del cinema, Metropolis, diretto da Fritz Lang e apparso in sala per la prima nel 1927, torna a distanza di 88 anni, nella versione restaurata e più completa esistente, ancora in grado di stupire i suoi spettatori oggi come allora. Potete consultare  le date di proiezione del film nella vostra città a questo link, dove troverete molte informazioni sulla storia, il processo di realizzazione del film e la storia del suo restauro. Raccomandatissima la visione. http://www.ilcinemaritrovato.it/metropolis
Alla sua uscita, nella primavera del 1927, Metropolis aggredisce e sconcerta il pubblico dell’epoca. Si trasformerà in un film d’impatto inesauribile sull’intera storia del cinema, capostipite della fantascienza, capace di nutrire ogni nuova visione ‘assolutamente moderna’, fino a Brazil, a Blade Runner, ad Avatar. Fantasia distopica su un mondo verticalmente diviso, l’avveniristica città dell’intelletto e del potere e il sottosuolo della forza lavoro, Metropolis è un capolavoro laddove trascende il proprio mai risolto messaggio sociale (rivoluzione o conciliazione?): nella prodigiosa intuizione con cui osserva una città vera, New York, e la ricostruisce come grandiosa icona d’ogni futuro oltreumano. Straordinari effetti speciali, movimenti di masse in rivolta, trecento giorni di riprese, trentaseimila comparse, cinquecento grattacieli di settanta piani, e al centro di tutto l’ambigua Maria, vergine e androide: “Uno dei film più stupefacenti del cinema espressionista tedesco, uno dei rari film muti in grado di rappresentare ancora qualcosa per il grande pubblico di oggi” (Jacques Lourcelles).
La versione che presentiamo è il restauro più completo oggi esistente, realizzato nel 2010 da Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung e Deutsche Kinemathek in seguito al ritrovamento in Argentina di 25 minuti di pellicola ritenuti perduti. Dopo ottant’anni di versioni spurie e il pluridecennale lavoro di ricostruzione condotto da Enno Patalas, questo è finalmente il film come Thea von Harbou l’aveva scritto e Fritz Lang l’aveva girato. Con la colonna sonora originale ricostruita di Gottfried Huppertz eseguita da Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino diretta da Frank Strobel.

Curiosità

Mr. Selfie. Appassionati di selfie e social? Mr Selfie è quello che fa per voi. Weareseventeen, studio di design e motion graphics londinese ha realizzato un video sul simpatico omino che vive la vita e guarda il mondo da un oblò attraverso il suo smartphone. Riconoscersi in alcuni suoi atteggiamenti – o addirittura in tutti – è un attimo, preoccuparsi per le nostre abitudini non proprio sane pure.

Mr Selfie from weareseventeen on Vimeo.

 

Oroscopo fai da te. Leggere l’oroscopo è qualcosa che facciamo tutti, anche chi dice che “io-no-assolutamente-mai-ma-come-fai-a-crederci-io-sono-superiore-a-tutto-ciò”. Tra gli oroscopi più famosi e amati c’è sicuramente quello di Rob Brezsny su Internazionale, un vero e proprio rito da compiere ogni giovedì ovunque voi siate. L’oroscopo di Rob è sempre molto filosofico ed esistenziale e il più delle volte si ha l’impressione di essere presi per i fondelli, ma proprio per questo è irresistibile. Una delle sue cultrici, Enrica Tesio del blog Tiasmo, ha deciso di vendicarsi dell’affabulatore Brezsny inventandosi il Generatore automatico di oroscopi di Rob Brezsny. “ La formula è semplice: UNA CURIOSITÀ DI FORSE NON TUTTI SANNO CHE più SUPERCAZZOLA STELLARE uguale OROSCOPO DI INTERNAZIONALE. È tutto vero, anzi tutto strano, ma vero: fatelo anche voi a casa!”  Assolutamente da provare e il risultato, a dirla tutta, non sembra poi così lontano da quello vero!

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Alla prossima!

Pretty Woman compie 25 anni: 10 motivi per rivederlo ancora

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Il 23 marzo 1990 usciva nelle sale americane Pretty Woman, probabilmente la commedia romantica più famosa al mondo, trampolino di lancio della carriera di Julia Roberts, rinnovatore della favola in chiave moderna e del vissero per sempre felici e contenti per eccellenza. Io all’epoca avevo cinque anni e credevo che l’apice della felicità fosse avere la combo casa + camper di Barbie e magari anche la carrozza con i cavalli, che con quella ti assicuravi il titolo di bambina più fortunata della classe degli scoiattoli di cui facevo parte. Eppure, quando il film passò finalmente in tv – e a quel punto ero già un po’ più grandicella ma neanche tanto e con le Barbie ci giocavo ancora – fu difficile persino per una bambina come me rimanere indifferente a un film del genere. I primi anni ‘90 per me hanno come colonna sonora la voce di Roy Orbison che canta “Pretty Woman, walkin’ down the street…” e un immaginario fatto di spalline giganti e i capelli rossi e ricci della bella Julia Roberts. In occasione dell’importante anniversario, l’intero cast si è riunito in tv per festeggiare insieme e lasciarsi andare ai ricordi, riaccendendo l’interesse per un film che è un classico intramontabile, una storia d’amore che fa sognare a occhi aperti e che ancora oggi, a distanza di 25 anni e nonostante ci faccia sentire tutte un po’ più vecchiotte, mantiene intatto il suo fascino. Ecco allora i 10 motivi per cui rivedere Pretty Woman ancora una volta (il 27 marzo andrà in onda su Rai Uno).

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1. Julia Robert è strepitosa

Ci sarà un motivo valido per cui il ruolo di Vivian è uno dei più famosi e amati dell’attrice. In Pretty Woman Julia è bellissima e il suo personaggio è energico, grintoso, ma anche ironico, divertente e dall’animo romantico. Semplicemente fantastica.

2. La parrucca bionda

Tutti conosciamo Julia per la sua fulva chioma, ma nella parte iniziale del film la Roberts sfoggia una parrucca bionda a caschetto entrata a pieno titolo tra gli elementi più iconici della filmografia anni ‘90 e non solo. Persino sua nipote Emma, anni dopo, non ha resistito al gusto di vestirsi come la zia Julia per la festa di Halloween!

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3. La scena nella vasca da bagno

Vivian è immersa nella vasca da bagno piena di schiuma e bolle mentre a occhi chiusi ascolta musica dal suo walkman. Altra scena indimenticabile. Pare che la Roberts fosse così presa dalla parte che solo alla fine della scena, quando riemerge dal mare di schiuma, si accorse che Gere e l’intera troupe le avevano preparato uno scherzo ed erano andati via, lasciandola con la sola telecamera accesa.

Ah, si. C’è anche l’altra scena nella vasca. Altrettanto memorabile.

4. Non c’è favola senza cavaliere

Non sono mai stata particolarmente sensibile allo charme di Richard Gere, ma bisogna ammettere che un gentiluomo come Edward ha il suo bel perché ed è difficile resistergli. Di sicuro io non resisterei se riuscissi a incontrarne almeno uno anche nella realtà!

5. Lo shopping sfrenato di Vivian

La scena madre di tutte le sessioni di shopping viste sugli schermi negli ultimi 25 anni. Vivian passa da una boutique all’altra provando abiti, scarpe, lingerie, borse e cappelli, mentre le shopper aumentano e lei si permette persino di prendersi una rivincita con la commessa antipatica che non aveva voluto aiutarla il giorno prima perché troppo snob.

6. La scena della collana

Sembra che si sia trattata di un’improvvisazione da parte di Richard Gere. Quel giorno Julia Roberts non si sentiva bene e l’attore, nel tentativo di tirarla su di morale, finse di morderle un dito chiudendo la scatola di scatto. Julia scoppiò a ridere e la scena piacque tanto che il regista decise di tenerla nel film. Il risultato è adorabile.

Ah, la collana aveva un valore di 250.000 dollari ed è uno dei gioielli più costosi della storia del cinema.

7. Il volo dell’escargot

(Picture: Buena Vista/Giphy)

8. “Quella granculo di Cenerentola”

La frase definitiva quando si parla di storie finite bene.

9. La colonna sonora

Abbiamo già parlato di Roy Orbison e della sua Oh Pretty Woman, ma perché non accennare anche alla bellissima It Must Have Been Love dei Roxette?

10. La scena finale

Edward, nel ruolo di “principe senza macchia e senza paura” si inerpica sulle scale antincendio per “salvare” l’amata Vivian e darle il bacio tanto agognato. Ma se nelle fiabe di un tempo qui ci sarebbe stato il “… e vissero felici e contenti”, in Pretty Woman è Vivian ad avere l’ultima parola, quando risponde alla domanda su cosa succederà adesso dicendo: “Che lei salva lui”. Perché l’amore è anche mutuo soccorso.

 

 

Non mi resta che dire “Happy Birthday, Pretty Woman!” e augurarvi una buona visione.

Serie TV: 1992, la serie dalla nostalgia canaglia

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1992 la serie

Attesissima e molto discussa, 1992è la serie televisiva nata da un’idea di Stefano Accorsi e trasmessa su Sky Atlantic dal 24 marzo. Ambientata per l’appunto nel 1992, la serie ci racconta i  protagonisti e gli eventi che hanno portato a Tangentopoli e Mani Pulite, la cronostoria romanzata di un’Italia tra Prima e Seconda Repubblica, un passato così vicino da generare ricordi ma che probabilmente non siamo ancora in grado di cogliere nella sua interezza. Stefano Accorsi è il protagonista che insieme al resto del cast, tra cu Miriam Leone, Tea Falco, Guido Caprino, Domenico Diele e Alessandro Roja, ci mostra quei tempi attraverso i loro diversi punti di vista. Una serie dalle aspettative alte, dalle tematiche interessanti, dalle atmosfere amarcord, dai personaggi controversi e ambigui, una prodotto che vuole stabilire un nuovo primato di qualità, dopo Gomorra e Romanzo Criminale, nella storia della fiction italiana, promettendo tanto, ma che non sempre riesce a mantenere tali promesse.

1992 stefano accorsi

Leonardo Notte (Stefano Acorsi) è un consulente di Pubblitalia ‘80 dal passato misterioso nei movimenti studenteschi e dal grande talento, scelto da Marcello Dell’Utri per dare un nuovo volto alla politica del Paese. Attorno a lui i fatti e gli eventi che hanno caratterizzato quell’epoca: Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi) lavora all’inchiesta di Mani Pulite insieme alla sua squadra, tra cui l’agente di Polizia Luca Pastore (Domenico Diele) che vive l’incubo dell’AIDS, e Rocco Venturi (Alessandro Rioja) ,il quale lavora a fianco di Di Pietro ma appare fin da subito nascondere qualcosa di sospetto; il ricco industriale Michele Mainaghi che vede i suoi affari minacciati dalle vicende politiche e dalle indagini su corruzioni e tangenti in cui naturalmente è coinvolto, che stravolgono anche la sua familiare, inclusa quella della figlia ribelle Bibi Mainaghi (Tea Falco) per la prima volta sola ad affrontare la realtà; la presunta soubrette Veronica Castello (Miriam Leone) che vuole fare Domenica In e diventare una celebrità, disposta a tutto per raggiungere il suo scopo; la Lega Nord di Umberto Bossi che muove i suoi primi passi in politica e arriva in Parlamento, tra le cui fila trova posto anche l’ex militare irruento Pietro Bosco (Guido Caprino), che spera così di dare un senso a una vita senza particolari prospettive e ideali.

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1992 è una serie che vuole raccontare molte cose. E in effetti ce ne sarebbero di cose da raccontare di quegli anni che hanno segnato la storia e la politica del nostro Paese, nonché il costume e le idee degli italiani. Nei soli primi due episodi, la serie riversa una gran quantità di informazioni, notizie, personaggi, volti, oggetti e panoramiche di un tempo passato ma non del tutto. L’effetto revival è dietro l’angolo: ci si immerge fin da subito in atmosfere che ricalcano appieno lo spirito dell’epoca e in un attimo siamo con la Cuccarini a cantare “Liberi, liberi…” o a ballare con le ragazze di Non è la Rai. Abiti dai volumi tardo anni ‘80, i primi cellulari enormi, videocassette e i jeans a vita alta con lo zaino Invicta, la gioielleria dorata e il trucco pesante: tutto serve a ricreare un mondo che non c’è più ma di cui viviamo gli strascichi da anni, ricostruendo un’ambientazione che è convincente in tutti i dettagli ma che è al contempo la novità che si genera dalla riscoperta.

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Atmosfera, nostalgia e spirito dell’epoca, dunque. Sono le prime parole che vengono in mente quando si comincia a guardare 1992, mettendo in evidenza quello che può apparire il primo obiettivo della serie, quello di essere una finestra sul tempo che ci porta indietro ad eventi che oggi desiderano essere finalmente raccontati. Sono i temi trattati a fare della finestra uno specchio in cui il Paese può riflettersi. Tangentopoli, la corruzione di imprenditori e politici, il potere della televisione sulla società e quello della pubblicità sulla politica, il sesso come merce di scambio per il successo e l’AIDS rappresentato con i tristi stilemi dell’epoca, il federalismo e le nuove forze scese o che stanno per scendere in campo, lo scandalo di Mani Pulite e la desolazione e disillusione che nascono tanto nei colpevoli quanto nelle vittime. Il peso di questi argomenti è notevole e la sceneggiatura cerca di dare spazio a ogni tematica sviluppandole attraverso differenti prospettive e altrettante vicende legate a uno o più personaggi. Eppure si tratta di un’operazione che non riesce per intero, nonostante non manchino i momenti di spicco dove ogni elemento collabora per creare scene di grande impatto, si pensi all’incontro tra Notte e Berlusconi di cui si vedono solo le scarpe nei bagni Fininvest, oppure alla scena in cui Dell’Utri legge della morte di Salvo Lima sugli schermi apposti lungo i corridoi di Publitalia mentre la sigla di Casa Vianello risuona sempre più alta. Per il resto, dai dialoghi scarni tenuti su con frasi ad effetto non sempre brillanti alle lacune narrative riempite con cliché e luoghi comuni dell’epoca, le vicende e i fatti si susseguono tramite una narrazione spesso superficiale e semplificata e, sebbene il particolare potrebbe essere interpretato come intenzionale, dato che sempre di un prodotto di massa si tratta e il suo scopo non è giustamente quello di istruire quanto piuttosto quello di intrattenere, l’effetto che ne risulta è in svariati punti caotico e incompleto. Niente sembra andare (e neppure lo desidera) al cuore delle cose, mentre invece vengono ingentiliti gli aspetti più pungenti e i risvolti più problematici dei personaggi e le vicende coinvolti, per creare una maggiore suggestione nel pubblico. A tal proposito, bisogna rendere merito a una fotografia che sa essere attenta ai dettagli e dare spessore e supporto ai dialoghi e ai vari momenti di sviluppo della trama, capace di rendere emozionante un tramonto tra i grattacieli di Milano,  insieme a una colonna sonora, le cui musiche originali sono state composte da Davide “Boosta” Di Leo, che interpreta in maniera calzante la cifra del momento storico rappresentato ed è probabilmente l’elemento della serie che più convince e piace, a partire dalla sigla che aggancia e affascina senza alcuna riserva.

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Ideatore della serie, Stefano Accorsi interpreta un pubblicitario enigmatico che è il “Don Draper de noantri”, un personaggio in penombra, difficile da afferrare e comprendere, con qualcosa da nascondere e incapace di far entrare davvero qualcuno nella sua vita, inclusa la figlia non voluta che irrompe nella sua tranquilla e lussuriosa esistenza per sconvolgerla ma giusto un pelo, dato che Leonardo Notte è troppo figo per farsi scomporre da un imprevisto del genere. Duole ammetterlo, ma anche l’interpretazione di Accorsi è d’annata, ferma a quell’anno in cui si faceva conoscere con la famosa pubblicità tormentone “Two is meglio che One…”, rivelando una mancata maturazione come attore che delude, laddove come uomo il nostro Stefano riesce a dare ancora belle soddisfazioni. Una certa sorpresa riserva, invece, Miriam Leone, da Miss Italia ad attrice capace di calarsi bene nella parte della showgirl bellissima che si concede per un tozzo di fama senza però apparire macchietta o, peggio, oggetto accessorio alla serie. Peccato per quel bisbiglio tipico della scuola delle attrici italiane che di tanto in tanto prende il sopravvento impedendoci di comprendere tutte le sue parole. D’altronde, meglio i suoi sussurri che il biascicare di Tea Falco, che per tutta la serie non fa che ciondolare (e in questo si dimostra molto brava) come una teenager dell’epoca, a metà tra il grunge e il punk rock, e parlare una lingua assolutamente incomprensibile, creando un effetto che nelle intenzioni originarie voleva essere realistico ma che diventa tragicamente comico. Tra gli altri, il più convincenteè il leghista interpretato da Guido Caprino, mentre portano a casa il loro compitino Domenico Diele e Alessandro Rioja, i cui due personaggi appaiono finora solo abbozzati e potrebbero dare di più, come del resto tutti i protagonisti di questa serie, chiamati a fornire una visione corale di quell’anno senza però avere lo spazio necessario per dare voce a tutti gli aspetti che li caratterizzano.

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Tra pregi e difetti, 1992 non è una brutta serie, ma di sicuro non è Gomorra e nemmeno Romanzo Criminale. Si tratta di un prodotto partito con mille promesse, ma che fin dal primo episodio rende chiaro che non sarà in grado di mantenerle tutte, un lavoro ambizioso ma non sempre in grado di rendere tali ambizioni concrete. Ciononostante, è una serie che si eleva dalla staticità e il buonismo imperante della fiction italiana, grazie anche a una libertà di linguaggio e scrittura che Sky può assicurare a prodotti del genere, e che rivela una ricercatezza formale non scontata grazie alla quale regalare al pubblico momenti notevoli e di qualità. Perché quindi guardare 1992? Perché è il revival che piace, il racconto di un passato familiare che funziona ed emoziona, la madeleine proustiana che generazioni come la mia, cresciute davanti a uno schermo con tubo catodico, attendevano e desideravano; perché a discapito dei buchi della sceneggiatura, delle scene telefonate e delle interpretazioni non sempre entusiasmanti, 1992è la dimostrazione che con un po’ di impegno in più anche in Italia è possibile realizzare produzioni qualitativamente valide, senza dover sempre incorrere nell’eccellenza ma anche solo allo status di “piacevolmente guardabile”. E ora scusate, ma mi è venuta una gran voglia di cantare “Non amarmi” e di guardare una puntata di Beverly Hills: 1992 mi ha inevitabilmente conquistato.

Recommendation Monday: Rewind - Consiglia un libro il cui titolo è composto da una sola parola

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Questa settimana il Recommendation Monday arriva praticamente di martedì, ma in un martedì che sa di lunedì quindi è tutto sotto controllo! Il tema è un ripescaggio ma i titoli non mancano mai per fortuna:

consiglia-libro-una-parola

Il libro di questa settimana è un romanzo letto diversi anni fa ma che a ondate torna alla mia memoria e, come accade in questi casi, mi piace sempre di più ogni volta che ne ricordo un brano  o una scena. Dal libro è stato tratto anche un film con quell’inglesona di Gwyneth Paltrow, non all’altezza del romanzo ma ugualmente suggestivo. Una storia d’amore, come si legge nel sottotitolo, tra Inghilterra vittoriana e società moderna, l’incontro di due anime ma anche di stili diversi e scritture differenti. Un’unica parola che racchiude due dimensioni, quattro personaggi, montagne di lettere, tanta critica letteraria e due amori appassionati. Il titolo è Possessione di A.S. Byatt

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E il vostro RM qual è? Buona settimana!

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