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Channel: Una Fragola al Giorno
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Serie tv: the best, the worst, the most [Episodio 24 – Speciale Season Finale]

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Eccoci di nuovo al solito appuntamento seriale amato da grandi e piccini (seeeee!). Settimana di fuoco questa, dato che ormai quasi tutte le principali serie televisive hanno salutato i loro spettatori con finali di stagione più o meno riusciti. Intanto proseguono le serie “primaverili”, con Game of Thrones (visto lo spettacolare monologo di Tyrion? Applausi applausi applausi!) e Mad Men in Pole position, un Fargo nuovo di zecca che ci piace molto e un Silicon Valley appena scoperto (e di cui spero di parlarvi a breve). In attesa infine, delle serie “estive”, tendenza degli ultimi anni per non lasciare mai a secco noi serial-dipendenti. Insomma, questo appuntamento con il riepilogo seriale è speciale e tutto dedicato ai finale season, ma come sempre, ATTENZIONE SPOILER!

 

 Speciale Season Finale:The Best

Arrow 2x23 – Unthinkable

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Due parole: che puntatone! Sembra che Arrow nelle ultime settimane si sia abbonato alle posizioni alte della mia personale classifica. Non potrebbe essere altrimenti. Gli ultimi episodi sono stati un concentrato di adrenalina, rivelazioni, morti, risorti, azione, tanta azione, droni, nemici apparentemente invincibili, donne di Oliver da tutte le parti, sguardi innamorati, pathos a quintali, eserciti di superuomini, assassini internazionali e tanto, tanto altro. Slade sarà sicuramente uno dei miei “supernemici da comics” preferito per molto tempo: cattivo, folle, non ha paura di spiattellare il segreto dell’eroe di turno al mondo intero, con una storia alle spalle quasi commovente e un istinto omicida brutale ma anche così struggente. Cosa non può l’amore, anche quello malato… E poi Oliver. E Felicity. Olicity. Gli autori hanno calcato parecchio sull’evidente tensione emotiva che c’è tra i due personaggi, creando un finale emozionante e al cardiopalma. Roba che mi sono riscoperta quindicenne con gli occhi a cuore, mentre lui le rivelava i suoi sentimenti… e ci siamo cascati tutti! Dai, persino Slade, che di cose ne ha viste prima di ammattire del tutto! E così, mentre mandiamo giù la delusione di essere stati presi in giro (anche se il capitolo per me non è ancora chiuso e prima o poi qualcosa tra i due succederà), Slade finisce in un carcere di massima sicurezza… dove? Sull’isola ovviamente! Tutto è bene quel che finisce bene, in sintesi. Con il secondo finale di stagione, sembra sempre più delineata la strada intrapresa dal nostro Arrow e il cammino che ha da compiere. Restano in sospeso solo due particolari: il detective Lanceè morto davvero? E Lauren, rimasta sola dopo al partenza di Sara/Black Canary, come reagirà? E, infine, dove sta andando Thea con il suo redivivo padre biologico? Roy la rivedrà? E in che veste?  C’è abbastanza materiale per una terza stagione da non perdere… anche se i pettorali di Ollie, alla fine, non me li hanno fatti vedere e dovrò aspettare settembre! #ingiustizie

Revenge 3x22 – Execution

revengeok

Che Revenge fosse in ripresa smagliante ce ne eravamo accorti alla ripresa della seconda metà di questa stagione. Dopo una seconda season ingarbugliata e confusionaria, una prima metà invernale che ha visto fallimenti uno dietro l’altro e nuovi personaggi (ancora!?) in gioco, la pausa deve aver messo in allarme gli autori, i quali hanno deciso di dare alla seconda parte della stagione una bella virata e mettere un punto a situazioni protrattesi oltre ogni logica e limite. Così, nelle ultime settimane, Revenge ci ha regalato i migliori coupe de théâtre che una serie come questa, a metà strada tra un drama e una soap opera, poteva mai regalarci, fino a un finale scoppiettante. Prodotti come Revenge, d’altronde, vincono facile quando si arriva alle battute finali, poiché è tutto un fiorire di colpi di scena, scoperte sensazionali, scontri dialettici e non all’ultimo sangue, ritorni sconvolgenti… ecco appunto. Stiamo ancora tentando di superare la morte di Aiden, che personalmente mi ha lasciato distrutta. Anche se, scomparso l’inglese, Jack avrà la strada libera per riconquistare Emily… sempre che esca di prigione! Grandi ovazioni, invece, per l’incarcerazione di Conrad Greyson, ma soprattutto tanto, tantissimo entusiasmo per il ricovero coatto di Victoria in manicomio ad opera di Emily! Le urla di Vicky “She’s Amanda Clarke, she’s Amanda Clarke, she’s Amanda Clarke!” riecheggeranno nella mia mente per giorni e riderò come la prima volta. Quanto stile in questa vendetta! Ma non è finita qui. Gli autori osano e ci propongono, in chiusura, un colpaccio: proprio quando avevamo creduto che Conrad l’avesse scampata anche questa volta, qualcuno gli fa la festa – e mi è piaciuta tanto al scena di lui canterino per una strada buia e silenziosa, ignaro della morte che sta per sopraggiungere. E chi sarà mai l’assassino di Conrad? Beh, poche storie: David- padre-di-Amanda/Emily-Clarke. Ma non era morto? Pare di no. A settembre ne vedremo delle belle. Intanto, la terza stagione di Revenge, nonostante i suoi alti e bassi, è promossa e la serie si riconferma uno dei migliori guilty pleasure in circolazione.

The Big Bang Theory 7x24 – The Status Quo Combustion

tbbt-cover-mia-ok

The Big Bang Theoryè una di quelle comedy che, sebbene non faccia più ridere come ai tempi d’oro, riesce comunque a regalare delle belle risate e a essere ancora una delle serie con cui trascorrere meglio il tempo libero. Venti minuti o poco più di leggerezza. Certo, quest’anno ci sono stati parecchi alti e bassi e momenti da dimenticare, la coppia Shamy si fa apprezzare solo a tratti, come per il famoso bacio che ha dimostrato che anche Sheldon è umano, e la storia tra Penny e Leonard il più delle volte stufa. Eppure è difficile resistere ai nostri nerd preferiti. Nelle ultime settimane la serie ci ha dato buoni motivi per non lamentarci troppo. Finalmente, dopo aversi girato attorno per anni, Penny e Leonard sono ufficialmente fidanzati. Ipotizzo un’ottava stagione in cui Penny ci ripenserà un milione di volte prima di convolare a nozze con Leonard (e poi queste nozze si faranno davvero?), ma non nego che ricevere questa notizia mi abbia messo in un ottimo mood e abbia dato una scossa anche a una storyline che sembrava non portare ormai da nessuna parte. Ancor una volta, però, a fare la differenza è Sheldon, che sta vivendo una serie di stravolgimenti che hanno destabilizzato la sua vita fin troppo ordinata: prima decide di chiudere la sua ricerca sulla teoria delle stringhe ma è costretto a proseguire dal rettore dell’università, poi sua madre si è rifatta una vita, infine Leonard si fidanza con Penny… quando è troppo è troppo e Sheldon prende una decisione davvero insolita: partire senza destinazione precisa per fare ordine nella sua vita. Cosa porterà questo viaggio? Lo scopriremo tra qualche mese. Ma questo finale di stagione si è rivelato, finalmente, una chiusura che lascia spazio a ipotesi su come tutte le situazioni in ballo verranno sviluppate e per una comedy scusate se è poco.

Speciale Season Finale: The worst

Grey’s Anatomy 10x24 – Fear (Of the Unknown)

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C’è voluto un anno intero per prepararsi all’addio degli addii, quello di Cristina Yang. Un anno per digerire la notizia, accettarla e ridimensionarla anche. Sperando magari che, andato via un pilastro del genere, la serie giungesse finalmente alla conclusione che ormai chiede a gran voce. Dei personaggi storici sono ormai rimasti solo Meredith, Derek e Alex, e la loro presenza per i prossimi due anni (il contratto di Ellen Pompeo e Patrick Dempsey prevede altre due stagioni) non sarà frequente come in passato, pur non essendoci dei veri eredi tra le giovani leve. Shonda Rhimes, dopo aver passato anni a farci piangere come fontane e disperare per la morte o la vita di quello e quell’altro personaggio, sembra aver finito i colpi a disposizione. Lo dimostra un ultimo episodio carico di aspettative, pompato da settimane di promozione tutta concentrata su Cristina, che ha deluso per intero. Attenendosi alla tradizione di GA, anche questa decima stagione si conclude con una tragedia: una bella esplosone con valanghe di feriti e moribondi. Una crisi, però, che si consuma e risolve nel giro dei 45 minuti dell’episodio, lasciandoci anche il tempo di assistere ai timori di Cristina, ai tentativi di Meredith di metterla su un aereo e al cuore distrutto di Owen che chissà quando si riprenderà. Ma ci siamo emozionati davvero davanti a questo spettacolo? Ni. Sapere che Cristina non ci sarà più fa male, soprattutto se pensiamo che ci ha lasciato soli con Meredith, personaggio non particolarmente amato, sempre lì a lagnarsi ingiustificatamente della sua vita. Vederla andare via è stato difficile e un pizzico commossi lo siamo. Tuttavia, l’episodio ha mancato di pathos, di quella bella tensione drammatica che ha reso famosa la serie. Tutto è stato frettoloso e l’impressione è che Shonda, arrivata alla fine, volesse farci sapere tutto quello che non è riuscita a dire in ben 24 episodi. A parte la scena con Owen e la super sorpresa che Cristina fa ad Alex con la cessione del suo posto nel consiglio d’amministrazione, particolare che apre a una spinosa situazione sicuramente al centro della prossima stagione, l’episodio è stato noiosetto, con la catastrofe gestita male e in modo banale, e un colpo di scena (un’altra sorellastra per Meredith? Ma non abbiamo già sofferto abbastanza?) assolutamente non richiesto. Eppure lo so che il prossimo autunno sarò di nuovo davanti a questo schermo a guardare Grey’s Anatomy. Per adesso, goodbye Cristina! *lacrime*

Once Upon a Time 3x22 – There’s No Place Like Home

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Parto subito dicendo che non sono una detrattrice assoluta di questo finale, ma ammetto che le mie motivazioni sono perlopiù teenageriali, dato che vedere Emma e Hook limonare duro sulla porta di Granny’s mi ha procurato non poca soddisfazione. L’episodio, in realtà, è apparso fin da subito scollato dall’intera traballante stagione. La seconda parte, come abbiamo già detto più volte, è stata di sicuro più convincente della prima ambientata in Neverland e Zelena ci aveva conquistato con la sua crudeltà. Ma la sua sconfitta nel penultimo episodio ha fatto apparire superfluo l’ultimo. Un viaggio indietro nel tempo utile solo per aiutare Emma a capire che Storybrooke è la sua casa e, naturalmente, per portare nuove rogne. La povera Regina vede di nuovo sfumati i suoi sogni d’amore con l’arrivo di Mariam e il ricongiungimento familiare con Robin Hood e, dalle parole rivolte alla “Salvatrice”, siamo sicuri non reagirà bene all’ennesima delusione di cuore. Inoltre, Emma ha portato un souvenir dal suo viaggio nel tempo, un “vaso di pandora” da cui spunta fuori nientepopòdimenocheElsa di Frozen. Ma che davvero? Finale spinoso per una serie che convince si e no, a giorni e cattivi alterni, mentre nessuno ha ancora realizzato che il vero problema di OUAT è la famiglia di Snow e Charming, piantagrane da debellare. Vogliamo uno spin-off tutto su Regina!

Speciale Season Finale: The most

The most… enigmatic finale season: The Blacklist 1x22 – Berlin: conclusion

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Di The Blacklist ho sempre parlato poco, in questa rubrica per nulla. Dovendo fare una scelta, ho sempre riportato gli episodi più sensazionali della settimana, ma ho continuato a seguire The Blacklist con attenzione e anche un certo entusiasmo. Se a un certo punto ho avuto il timore che si trasformasse in una serie con infiniti episodi autoconclusivi, man mano che ci si avvicinava al finale, i nodi cruciali del grande mistero alla base della serie - vale a dire cosa vuole Reddington da Elizabeth Keen, cosa sa del suo passato, qual è il legame che lega bandito e poliziotta – si sono evoluti in una serie di adrenalinici episodi che ci hanno permesso di scoprire particolari di un puzzle che appare sempre più grande e ancora incompleto. Il finale, diviso in due episodi, è quanto mai enigmatico, sebben non ci lasci con nessun cliffhanger da bocca aperta. Infatti, il finale non ha risolto nessuno dei misteri iniziali: perché Red era in casa di Elizabeth, la notte del terribile incendio che ha distrutto l’infanzia della giovane agente del FBI? Quali segreti nascondono le sue cicatrici, che abbiamo avuto modo di ammirare a fine episodio e che aprono scenari e ipotesi con cui perderci la testa? Chi c’è dieto l’organizzazione criminale che controlla persino l’FBI, che come al solito non ci fa affatto una bella figura (un giorno studierò il perché di tanto accanimento da parte degli autori televisivi verso il Bureau)? E Tom è davvero morto? Ma soprattutto, Megan Boone imparerà davvero a recitare? Tanti interrogativi, nessuna soluzione. L’idea è che gli autori ci vogliano tenere sulle spine ancora per un bel po’. E trattandosi di una prima stagione, ci piace. Per essere una serie da tv generalista, The Blacklist è un buon prodotto e James Spader sa proprio il fatto suo, insomma ha tutte le carte in regola per smussare i difetti della prima stagione e crescere nelle prossime. Per adesso, la seconda stagione è confermata e questo mi fa dormire sonni tranquilli.

Per questa settimana è tutto. Alla prossima e buona visione!

(non potevo non metterla… in fondo, questa è la fine di un’epoca!)


Recommendation Monday: Consiglia un libro da portare al parco

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Buon lunedì! Nuovo Recommendation Monday, questa volta molto green:

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Un tema molto aperto, dove può finirci di tutto. Al parco ognuno si porta ciò che vuole, anche la Divina Commedia. Eppure, sarà che quando c’è il sole e comincia a fare caldo mi piace stare leggera, sarà che se in borsa devi mettere una bottiglia d’acqua (o una birra, è capitato, ma questa è un’altra storia), una coperta, occhiali da sole, macchina fotografica, qualcosa da mangiare e altre cianfrusaglie, di spazio ne rimane poco, insomma, preferisco portare un libro piccolo e di facile fruizione. Lo scorso anno, a maggio, portavo in giro con me proprio questo libriccino, che ho amato molto per la sua immensa poesia. E poi, con l’incalzare dell’estate, direi che parlare di notti bianche sia quanto mai appropriato (e non ho mai capito perché il film tratto da questo “romanzo sentimentale” fosse ambientato d’inverno). In poco più di cento pagine rivive un mondo che non esiste più e una magia, data da un fenomeno naturale, che emoziona a ogni riga e parola. Mi sono spesso immaginata a girare per le strade della città di San Pietroburgo con il protagonista di questo libro, in quelle notti d’incanto. Beh, non la faccio tanto lunga, se vi va QUI c’è la mia recensione. Il RM di questa settimana è Le notti bianche di Dostoevskij.

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E il vostro Recommendation Monday qual è?

Buona settimana!

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Approfitto per comunicare che il sondaggio per il prossimo UFG Book Club è terminato e, dai risultati qui sul blog e sulla pagina Facebook, il vincitore è: I Fratelli Karamazov! Per chi volesse partecipare al gruppo di lettura, ricordo che c’è l’evento Facebook che ho creato appositamente per aggiornamenti e, una volta partito il GdL, per i commenti e le tappe. A breve il calendario!

A spasso sulla Croisette: tanti look e tanta bella gente al Festival di Cannes 2014

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cannes 2014

Manca poco al termine del Festival di Cannes, la cui cerimonia di chiusura avverrà il 24 maggio, con Tarantino che presenterà la versione restaurata di “Per un pugno di dollari”, omaggio al cinema di Sergio Leone. Anche quest’anno la Croisetteè stata l’ombelico del mondo, del bel mondo in particolare. Red carpet, abiti favolosi, attori e attrici come se piovesse, paparazzi, feste esclusive… e sì, anche i film in gara, alcuni già nei cinema, altri coming soon. Tuttavia, qui su UFG, lasceremo a chi è molto più competente le disamine e i giudizi sulle pellicole in concorso e ci concentreremo su quei piccoli particolari frivoli che danno colore all’evento e, senza i quali, non sarebbe mai la stessa cosa.

Premio “La plus belle”: Blake Lively

Ai tempi di Gossip Girl non sono mai stata una fan di Serena e, per associazione, nemmeno di Blake Lively. Tuttavia, non si può mettere in dubbio che lei sia bellissima. Anzi, in questo festival la reputo la più bella, capace con le sue mise di conquistare tutti. Affascinante e seducente tanto nell’abito burgundy firmato Gucci Premiere che in quello bianco e scintillante di Chanel Haute Couture, elegantissima, infine, nell’abito in bianco e nero sempre Gucci.

blake lively cannes 2014

Premio “il miglior look”: Lea Seydoux

Non si se ve siete accorte, ma il burgundyè il colore di questa stagione. Lo trovate dappertutto, incluso come tonalità di rossetto. E allora come vincitrice del premio per il “miglior trucco e parrucco” segnaliamo la bella attrice francese Lea Seydoux, a Cannes per il suo nuovo film Saint Laurent. Per il red carpet l’attrice ha infatti scelto un raccolto morbido con riga laterale e, naturalmente, un rossetto burgundy che mette in risalto i suoi colori naturali.

Lea Seydoux

Bellissimo anche lo smokey eyes bronzo abbinato al rossetto beige di Rosie Huntington Whitley. Perfetta, anche troppo.

rosie huntington cannes

Premio “Le altre me spicciano casa”: Sharon Stone

Sharon, con un abito tutto pallette Emilio Pucci,  dimostra di avere sex appeal da vendere, non importa quanti anni siano passati dal famoso Basic Instinct. Sul red carpet forse non è la più elegante, ma lei le altre non le vede proprio! Unico neo: gli occhiali da sole un po’ tamarri.

Sharon-Stone cannes 2014

Premio “Patto con il diavolo”: Jane Fonda

A 70 anni Jane Fonda appare sempre meravigliosa, nel suo splendido abito Elie Saab (indovinato? anche stavolta burgundy!). Da metterci una firma.

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Premio “La più elegante”: Paz Vega

Non ci sono dubbi: Paz Vega nel suo abito firmato Elie Saab, bianco e con paillettes, scarpe Christian Louboutin e gioielli Chopard (come tutte le altre).

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Non manca di eleganza, inoltre, la bellissima Petra Nemcova nel suo principesco abito Zuhair Murad Couture.

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Premio “Party Girl”: Jennifer Lawrence

Io Jennifer Lawrence la adoro da qualche mese. Non so bene perché, mi è presa così e non ho neanche guardato i film di Hunger Games che le hanno portato tanta notorietà. Così, quando l’ho vista arrivare al photocall per l’ennesimo film Hunger Games (ma quanti ne sono?!?) indossare un completo Christian Dior, con top bianco con stampa e una gonna corta A-line, il tutto completato da un paio di Louboutin, ho pensato subito che anche questa volta la cara Jennifer ne usciva vincitrice. Un outfit che le calza a pennello, fresco e giovane come lei, che le conferisce al volo quell’aria giocosa e allegra di cui Jennifer ci ha dato più volte prova. Ci piace.

Jennifer-Lawrence-Cannes-Film-Festival-2014

Premio “Wannabe”: Nicole Kidman

La Kidman si è calata pienamente nella parte, è ormai chiaro. La kermesse si apre proprio con Grace di Monaco, film dedicato alla figura di Grace Kelly interpretata dalla Kidman, e l’attrice tenta di ricalcarne lo stile. Di sicura la grazia e l’eleganza non le mancano e sia il make up che l’acconciatura le stavano divinamente, peccato che l’abito, Armani Privé, fosse un po’ troppo prezioso in confronto allo stile più discreto della principessa divenuta icona di stile imperitura.

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Premio “La peggio vestita”: Valeria Marini

Ci sono anche loro, persino a Cannes. Le peggio vestite. Una serie di tracolli di stile che non ti aspetteresti. Il titolo però spetta a una sola delle signore che hanno calcato il red carpet, per la quale sento di provare un brivido di imbarazzo. Ditemi dove credeva di andare Valeria Marini! Se sul red carpet si presenta con un vestito da sposa bianco, probabilmente per ricalcare la sua rinnovata condizione da single, al party De Grisogono decide di tuffarsi nella mischia con un nude look davvero troppo nude. Aiuto.

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Un cenno di disappunto anche all’attrice America Ferrera: non sarà più Ugly Betty ma quel vestito bianco in stile meringa non le rende proprio giustizia!

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Premio “Brace yourself, Cannes is coming”: Kit Harington

E mentre guardi la gente sfilare sul tappeto rosso, vedi chi appare? Kit Harington, il Jon Snow di Game of Thrones, a Cannes per la presentazione di Dragon Trainer 2, film d’animazione dove l’attore presta la voce a uno dei protagonisti. Per un attimo credi di essere alla Barriera, poi ti accorgi che fa troppo caldo e soprattutto che il nostro Kit non indossa nessuna pelle di lupo, ma un elegantissimo smoking. Jon Snow non saprà nulla, ma è senza dubbio capace di apparire molto glamour.

kit harington 2014

Premio “L’Homme”: Ryan Gosling

Qui non si può che premiare lui, la star maschile indiscussa di Cannes: Ryan Gosling. Arrivato sulla Croisette per presentare il suo primo film da regista, Lost in River, Ryan ruba fina da subito la scena con il suo sguardo magnetico e la sua aria da troppo-figo-sono-qui-per-caso. Pare che il suo primo lavoro dietro la macchina da presa non sia illuminante, ma noi vogliamo consolarlo con questo premio e rassicurarlo che, se come regista non va, nelle vesti di attore davanti alla macchina da presa, lui illumina come non mai.

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Premio “The fall”: Cara Delevigne

Non c’è evento del genere se non c’è una caduta che si rispetti. Questa volta è toccato alla top model Cara Delevigne, scivolata dalle scale per colpa dei tacchi troppo alti, durante il party De Grisogono. Fortuna non essere finita per terra, grazie alla salda presa del suo accompagnatore. Jennifer Lawrence agli Oscar non fu altrettanto fortunata!

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Premio “Oggetto del desiderio”: Magnum

No, non sto parlando di un attore o di qualche altro bel maschietto. Parlo di un gelato, che proprio quest’anno compie 25 anni ovvero Magnum Algida. Per l’occasione il brand ha organizzato un party tutto dedicato al mitico gelato su stecco e, per rendere il tutto ancora più memorabile, Dolce & Gabbana hanno realizzato una speciale limited edition del Magnum, con tutti i sapori della Sicilia e tanto glamour. Lo proveremo, anche se io sono una fedelissima di quello alle mandorle!

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Ah, ospite d’onore del party: Luca Argentero!

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Premio “Under your skirt”:il giornalista e America Ferrera

Capita che, mentre sei lì accanto a Cate Blachett intenta in una foto di gruppo, qualcuno si infili sotto la tua vaporosa gonna. E’ quello che è successo a America Ferrera, vittima di uno scherzo del giornalista Vitalii Sediuk, ideatore di altri scherzi ai danni di Will Smith, Leo Di Caprio e Bradley Cooper. Prontamente la sicurezza è intervenuta per portare via l’uomo, nonostante questi abbia tentato di resistere afferrando le caviglie della Ferrera. Beh, così impara a mettersi la gonna a meringa!

cannes 2014 america ferrera

Premio “Non ci sono più i vampiri di una volta”: Robert Pattinson

A guardare questa foto sembra proprio che il bello e tenebroso (ma de che???) Robert Pattinson, a Cannes per presentare il suo ultimo film Maps to the Stars, sia piuttosto provato dalla frenetica attività della kermesse. Anche se, così pallido, è più facile crederlo un vampiro di quando era ricoperto di strati di cerone per impersonare Edward Cullen. Kristen Stewart, anche lei presente al festival, avrà sicuramente apprezzato. Dura la vita dei vampiri…

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Premio “but first let me take a selfie”: Justin Bieber

Non potevano mancare i selfie neanche a Cannes. Ormai condizione fondamentale senza la quale la propria presenza fisica in un luogo perde ogni significato, il selfie contagia tutti. Un vero maestro della tecnica del selfie è Justin Bieber, giunto a Cannes principalmente per andare alle feste e per farsi le foto con la “ggente famosa” , quasi come un fan qualunque. Il Bieber(on) ha praticamente triturato gli zebedei a chiunque fosse alla festa di Armani con lui pur di scattare un selfie da star: Cate Blachet, Rosario Dawson, Naomy Watts e chi più ne ha più ne metta. Harrison Ford voleva mandarlo a casa, ma pare che lui se ne sia andato via insieme a Paris Hilton… capirai… Non prima però di questa foto con Victoria Siverstedt:

beiber

Binbiminkia a parte, moltissimi sono gli attori che hanno realizzato montagne di selfie, fotografati mentre facevano del selfie, innescando una sorta di “selfie del selfie”, come nel caso dello scatto a Lea Seydoux:

FILMFESTIVAL-CANNES/

E, infine, non poteva mancare il selfie con Antonio Banderas, sprovvisto di Rosita:

FILMFESTIVAL-CANNES/

Premio “Red Carpet Proposal”: Denny Mendez

Neanche ce la ricordavamo più l’ex Miss Italia. E invece il fidanzato di Denny Mendez ha voluto regalarle un altro bel momento di celebrità, addirittura sotto lo sguardo divertito di John Travolta. E sul red carpet dell AmFAR Gala, si è inginocchiato per farle una proposta di matrimonio in grande stile, con riflettori puntati e anello con diamante d’ordinanza. Naturalmente fiumi di lacrime e tanta felicità. Anche se io, quando ho visto quanto è basso il fidanzato, il produttore cinematografico Oscar Generale, per poco non ho avuto un colpo: le arriverà si e no all’anca!

denny mendez proposta a cannes

Premio “Pulp Cannes”: Uma Thurman- Quentin Tarantino – John Travolta

Capita che quando inviti Tarantino per celebrare il cinema di Sergio Leone, finisci per omaggiare anche il suo. Sono passati 20 anni da quando Pulp Fiction venne premiato a Cannes e la kermesse di quest’anno è sicuramente l’occasione giusta per festeggiare l’anniversario. Sul red carpet sfila una radiosa Uma Thurman insieme a Tarantino e Travolta, che danno spettacolo per i paparazzi presenti. In questa foto un pezzetto di storia del cinema.

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Premio “La coppia più bella”: Blake Lively e Ryan Reynolds

Chiudiamo così, da dove abbiamo cominciato. Ancora Blake Lively, che insieme al marito Ryan Reynolds, a Cannes per il film Captives, formano la coppia più bella della Croisette. Innamoratissimi e bellissimi!

blake lively e ryan reynolds cannes 14

Serie Tv: the best, the worst, the most [Episodio 25]

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sansa got 4x07

Se credevate di esservene liberati, vi siete sbagliati alla grande. Nuovo appuntamento con la rubrica telefilmica, forse l’ultima prima dell’estate. Non che d’estate non guardi serie e non mi capiterà di parlarvene (anzi sto per preparare un post a proposito), ma d’estate siamo tutti più calmi e una cadenza settimanale non ha certo motivo di esserci. Quindi beccatevi questo ricco riepilogo e sorseggiatelo lentamente come se foste a bordo piscina mentre si sta per perpetrare l’ennesima vendetta, o a Miami all’inseguimento del solito killer, o al bancone di una bar mentre riflettete sulle umane miserie e dove incontrerete un insolito personaggio che vi cambierà la vita. Si guardo troppa tv, I know. A ogni modo, ATTENZIONE SPOILER!

 

The best:Mad Men 7x06 – The Strategy

Mad-Men-Banner

A un episodio dalla fine di questa prima metà della settima e ultima stagione, (io ancora non accetto che la season sia stata divisa in due parti, tutto per tenerci ancora lì attaccati allo schermo fino al 2015, AMC ti odio…) Mad Men ci regala un gioiellino di puntata. Siamo ormai entrati nel vivo della storia, Don è tornato a lavoro ma la sua vita in agenzia è quanto mai turbolenta e sempre in bilico. Dall’altra parte c’è Peggy, sempre impegnata a far valere la sua professionalità e talento, che anche quando ha posizioni di potere rischia sempre di sentirsi defraudata, che ha una gran bela corazza, ma dentro custodisce una grande fragilità. Gli episodi Don/Peggy sono da sempre i miei preferiti, i due lati della stessa medaglia, l’uno la seconda faccia dell’altro, un rapporto tra due tra i personaggi più belli della serialità televisiva sempre complesso, intricato, miscela di molti sentimenti, gratitudini e rancori, legame in cui l’uno e l’altra si aggrappano a vicenda per non soccombere al turbine ai cui estremi vivono, simbolicamente espresso da quel ballo solitario nel suore della notte, sulle note di Frank Sinatra… un episodio davvero brillante, a dimostrazione di come Mad Men, pur ormai giunto alle sue ultime battute, non abbia ancora perso il tocco e resti sempre una delle serie di più alta qualità della tv.

The worst: Niente. Questa settimana è andato tutto bene. Che meraviglia.

The most… “I believe I can fly” moment:Game of Thrones 4x07 – Mockingbird

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Quest’anno Game of Thrones ci sta regalando gran bei momenti a puntate alterne, altro che nono episodio! In questa settimana puntata assistiamo a un paio di momenti molto interessanti. Il primo vede protagonista Sansa, nel cortile pieno di neve del Nido d’Aquila. Si tratta di una scena molto tenera, dove vediamo Sansa ricostruire Winterfell così come è nei suoi ricordi. Nel libro, inutile che ve lo dica, la scena è descritta in modo particolarmente commovente, ma anche nella serie, sebbene ridimensionato, il momento smuove un po’ i sentimenti di noi spettatori. Basta poco, però per tornare alla dura realtà. Arriva il cuginopsicopatico e distrugge il castello, ma questa volta Sansa reagisce e molla una sonoro ceffone al pargolo… quando ce vo’, ce vo’! Che finalmente Sansa abbia tirato fuori le unghie? Si spera, ma intanto resta come uno stoccafisso mentre Petyr Ditocorto Baelish la bacia, appena dopo averle detto quanto abbia amato sua madre! Il momento migliore dell’episodio, però, viene sul finale. L’isterica pazza Lady Lysa fa due più due e realizza che avere in casa una fanciulla in fiore sia deleterio per il suo matrimonio, così pensa bene di cacciarla via, magari facendola volare dalla Porta della Luna. Piccolo momento di tensione – cade o non cade? – fino a che non giunge l’ambiguissimo Lord Baelish a salvare la situazione. Dopo aver salvato Sansa, Ditocorto mette in chiaro che l’unica donna amata da lui è la divina e sempre presente Cat Stark e lascia andare Lysa… giù dalla botola, facendola volare sulle montagne del Nido d’Aquila! Grandi applausi, ma ora chi lo ferma più Ditocorto?

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The most… unaware bad character:Fargo 1x6 – Buridan’s Ass

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Il bravissimo Martin Freeman in Fargo interpreta l’imbranato Lester Nygaard, un personaggio che, nel corso della serie, è forse quello che subisce la trasformazione maggiore. O, semplicemente, riesce finalmente a mostrare il suo IO più autentico. Così, dopo aver quasi inconsapevolmente ucciso sua moglie a inizio stagione, Lester apprende piano la lezione di Lorne Malvo, ovvero che il mondo è un posto per lupi e non per pecorelle smarrite. E arriva, per salvarsi la pelle, a mettere nei guai il poco benevolo fratellino minore, dopo che questi lo ha cancellato senza remore dalla sua vita. Fargo continua a mostrarci un’immagine del mondo senza filtri, senza addolcire la pillola. Con un umorismo caustico e nerissimo ci dimostra di cosa l’uomo sia capace e il personaggio di Lester è quello che più di tutti diventa il simbolo di come non serva andare lontano per guardare nel baratro nero dell’umanità. Lontani da ogni morale, ridiamo a denti stretti e applaudiamo Freeman per dare il volto a un personaggio che gli calza come un guanto.

Season Finale Special:The Americans 2x13 – Echo

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Giunto al finale di stagione anche The Americans, la serie interpretata da Keri Russell e Matthew Rhys, storia di una coppia di agenti del KGB infiltrati negli States e inseriti perfettamente nella macchina ben oliata della società americana. Una seconda stagione che è apparsa meno rocambolesca della prima e più riflessiva, lasciando molto spazio alle dinamiche di coppia e, soprattutto, a quelle familiari. Grandi focus sui ragazzi Jennings, con Page in piena fase adolescenziale e sempre più disincantata nei confronti del mondo e dei segreti che i suoi genitori continuano a custodire. Questa è stata anche la stagione del disincanto per la storia d’amore tra Beeman e Nina, che nel primo ciclo di episodi appariva come un’eccitante incontro tra mondi in quel periodo storico lontanissimi mentre quest’anno diventa uno strumento, un ricatto, un peso, un dolore, il portale attraverso cui passare per una nuova consapevolezza di sé. Un risvegliodal sogno, traumatico e sofferto, che porta a un epilogo che ci ha commosso un bel po’. E poi ci sono i rimpianti, le riflessioni sulla madre patria, la paura di venire scoperti e la paura di dover tornare, l’essere in bilico tra l’una e l’altra sponda, il rimanere fedele a dei principi come ancore di salvezza come per Elizabeth e il mettere in crisi queste certezze che non si sentono più proprie come nel caso di Philip. Questo è, forse, uno dei aspetti migliori della serie, la convivenza difficile di due mondi in un unico mondo che cambia a vista d’occhio e dove, la storia lo dimostra, non c’è più spazio per rivalità da cortina di ferro. Dal punto di vista introspettivo, The Americansè forse una delle serie migliori nel tratteggiare psiche e psicosi dei personaggi in ballo, sebbene questa stagione avrebbe potuto sfruttare meglio il contrasto da sempre presente, alla base della coppia Elizabeth/Philip, tra lei che guarda ancora al passato e lui che crede che un’altra via sia possibile. La speranza è che, con Page, ormai grande e bisognosa di chiarezza, e la scoperta da parte dei due agenti di un progetto che coinvolga anche i figli degli infiltrati, lo scontro si faccia impellente. Così sembrano preannunciare gli ultimi minuti, quando Elizabeth, dopo essersi opposta all’idea di Page come agente segreto per conto della Madre Russia, chiede a un Philip piuttosto turbato se, invece, questa non sia la strada più giusta per i loro figli. Adesione totale ai principi del comunismo sovietico o preoccupazione di madre che sente la nidiata allontanarsi da lei sempre di più? Lo scopriremo il prossimo anno. Eh si, gradiremmo un po’ di azione in più, che non guasta trattandosi di spy story.

Season Finale Special:The Mentalist 6x22 – Blue Bird

mentalist

Moltissimi hanno abbandonato The Mentalist in una profusione di “diludendo” dopo la scoperta del vero volto di Red John e la sua morte per mano di Patrick Jane. A dirla tutta, in effetti, l’epilogo della vicenda per cui ci siamo sorbiti quasi sei anni di filler su filler è stato realizzato male, molto male. Tante lacune, poche spiegazioni e una fine davvero spicciola per un killer che ha lasciato dietro di sé una lunghissima scia di sangue, facendola sempre franca persino a Jane. Non so, ci aspettavamo qualcosa di più plateale, più scenografico, più drammatico e invece ci siamo dovuti accontentare. Per chi è rimasto a guardare la seconda metà della sesta stagione di The Mentalist, si è trattato per lo più di capire che fine poteva fare uno come Jane, il quale, nonostante la vendetta ottenuta, non sarebbe ma potuto tornare a essere una persona normale. E in effetti, dopo che l’FBI lo insegue per due anni, Patrick finisce a fare il consulente per il Bureau, trovando una nuova ragione di vita. Con lui ci saranno il vecchio e buon Cho ma soprattutto Lisbon ed è normale che noi spettatori, privati di un super cattivo, ci siamo tuffati sul possibile love affair tra Lisbon e Jane e richiesto a gran voce un happy ending almeno per loro. Beh, Heller ci ha accontentati. L’ultima puntata è stata una gran romanticheria, in pieno stile Patrick Jane naturalmente. Lisbon sta per partire con il suo nuovo fidanzato, lo stesso attore che interpreta Oberyn Martell in Game of Thrones e che chiamerò Oberyn anche qui, alla volta di Washington. Jane dapprima dà il suo benestare, ma poi si rende conto che quella santa donna di Lisbon è l’unica che può sopportarlo. E così inscena addirittura un delitto per potersi dichiarare a Teresa. La donna, ovviamente, non la prende benissimo e decide di partire con Oberyn e di lasciare Jane alla sua follia incalzante. Ed è qui che assistiamo a uno dei momenti più belli negli annali di The Mentalist. Come nella migliore delle tradizione americane, Jane arriva in aeroporto, riesce a raggiungere la pista e sale sull’aereo in partenza per dichiarare il suo amore per Lisbon. Teresa, dapprima gli dice che è troppo tardi, godendosi l’immagine di Jane portato via dalla sicurezza, ma poi scende dall’aereo e lo raggiunge in aeroporto, con buona pace per Oberyn che tanto ha di meglio da fare ad Approdo del Re (vi sta confondendo questo crossover? Si lo so, ma è divertente!). Ed è nella classica saletta dove si tengono da sempre in custodia gli innamorati folli che salgono sugli aerei, che avviene quello che aspettavamo da sei stagioni: il bacio tra Lisbon e Jane. Scusate, ma io mi sciolgo come un cioccolatino al sole. Per me The Mentalist poteva chiudere così, ma pare CBS abbia rinnovato lo show per un’ultima stagione. L’anno prossimo ci saranno i fiori d’arancio? #sonolultimadelleromanticheenonmenepento

A proposito di rinnovi e cancellazioni, ecco la lista degli show rinnovati cancellati, ecc… (non ci sono tutti, solo quelli che vedo o conosco e seguo indirettamente) Mancano quelli dei canali via cavo che speriamo di sapere presto!

2 Broke Girls      CBS        RINNOVATA

American Dad   Fox        RINNOVATA

American Horror Story  FX           RINNOVATA

Arrow   CW         RINNOVATA

Bones   Fox        RINNOVATA

Brooklyn Nine-Nine       Fox        RINNOVATA

Castle   ABC       RINNOVATA

CSI         CBS        RINNOVATA

Elementary        CBS        RINNOVATA

Family Guy         Fox        RINNOVATA

Game of Thrones            HBO       RINNOVATA

Girls       HBO       RINNOVATA

Glee      Fox        RINNOVATA

Grey’s Anatomy              ABC       RINNOVATA

Grimm  NBC       RINNOVATA

Hannibal              NBC       RINNOVATA

Homeland          SHOWTIME        RINNOVATA

Hostages             CBS        CANCELLATA

House of Cards NETFLIX               RINNOVATA

Masters of Sex SHOWTIME        RINNOVATA

Mike & Molly    CBS        RINNOVATA

Mom     CBS        RINNOVATA

Modern Family ABC       RINNOVATA

Nashville             ABC       RINNOVATA

NCIS      CBS        RINNOVATA

NCIS: LA              CBS        RINNOVATA

New Girl              Fox        RINNOVATA

Once Upon A Time         ABC       RINNOVATA

Once Upon A Time in Wonderland         ABC       CANCELLATA

Orange is the New Black              NETFLIX    RINNOVATA

Parenthood       NBC       RINNOVATA

Parks and Recreation    NBC       RINNOVATA

Raising Hope     Fox        CANCELLATA

Reign    CW         RINNOVATA

Resurrection     ABC       RINNOVATA

Revenge             ABC       RINNOVATA

Revolution         NBC       CANCELLATA

Scandal         ABC       RINNOVATA

Shameless          SHOWTIME        RINNOVATA

Silicon Valley     HBO       RINNOVATA

Sleepy Hollow   Fox        RINNOVATA

Sons of Anarchy   FX           RINNOVATA

Supernatural     CW         RINNOVATA

The 100                CW         RINNOVATA

The Americans FX           RINNOVATA

The Big Bang Theory      CBS        RINNOVATA

The Blacklist       NBC       RINNOVATA

The Carrie Diaries     CW         CANCELLATA

The Crazy Ones        CBS        CANCELLATA

The Good Wife CBS        RINNOVATA

The Following   Fox        RINNOVATA

The Killing           NETFLIX               RINNOVATA

The Mentalist   CBS        RINNOVATA

The Michael J. Fox Show     NBC     CANCELLATA

The Middle        ABC       RINNOVATA

The Originals     CW         RINNOVATA

The Simpsons   Fox        RINNOVATA

The Tomorrow People  CW         CANCELLATA

The Vampire Diaries      CW         RINNOVATA

The Walking Dead           AMC      RINNOVATA

Two and a Half Men       CBS        RINNOVATA

Vikings HISTORY CHANNEL         RINNOVATA

White Collar       USA NETWORK RINNOVATA

 

(occhi a cuore modalità ON)

Serie tv: Gomorra, la serie tv made in Italy

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gomorra la serie ciro

Chi se lo aspettava che alla fine della stagione seriale, dopo episodi su episodi rigorosamente in english, mi sarei ritrovata a parlare in italiano di serie tv? Eppure, incredibile ma vero, è successo. In questo ultimo scampolo di primavera noi guardiamo Gomorra – La serie, in onda su Sky, e ci piace anche tanto. Dopo la fine di Romanzo Criminale, in Italia si torna a produrre una serie tv di alta qualità, all’altezza di quelle internazionali, tanto che all’estero si sono fomentati subito e hanno acquistato il pacchetto intero. Una serie dal realismo crudo ed estremo, che opprime e lascia doloranti, ma che ci farà dimenticare preti in bicicletta a caccia di delitti, commissari buoni e fanfaroni, professoresse isteriche alla ricerca del mistero e famiglie allargate tutte all’insegna del “volemose bene”. Almeno per un po’.

 

gomorra serie sollima

Gomorra si ispira al famoso libro di Roberto Saviano, che ha dato il suo benestare alla serie collaborando come consulente agli inizi della produzione. Tuttavia, con il romanzo di Saviano la seria ha in comune solo la storia della faida, mostrando, fin da subito, un carattere indipendente, lontano anche dal film di Matteo Garrone, che aveva desunto dall’opera lo spirito più nero, tralasciando però lo sguardo interno al clan e alla faida tra famiglie e boss. Elemento che invece troviamo preponderante in Gomorra – La serie. La storia prende le mosse dal clan dei Savastano, con a capo Pietro, boss di Secondigliano temuto e rispettato, e costellato da tutta una serie di uomini fidati, tra cui spicca Ciro, detto “l’Immortale”, giovane e intraprendente uomo della cosca, desideroso di emergere di fronte al deterioramento del regno di potere di don Pietro. Ci sono poi la moglie di Pietro, donna Immacolata, che sa esattamente qual è il suo posto, ovvero accanto al marito e a un passo da potere, eminenza grigia che dalla sua costosissima e pacchiana poltrona in finto stile rococò tiene le file degli affari di famiglia, e il figlio “Genny” Gennaro, un ragazzo che si porta dietro tutto il peso di un destino che non si è scelto ma da cui sembra non avere scampo.

gomorra la serie boss

Gomorra si distacca da romanzo e cinema e intraprende una sua strada, quella della televisione di qualità e delle produzioni di carattere internazionale. Il regista e showrunner Stefano Sollima, già regista di Romanzo Criminale e quindi, in qualche modo, una garanzia a scatola chiusa, ha ben in mente la lezione che viene da oltre oceano e sa come metterla in pratica. La serie si spoglia dell’elemento di condanna che era il fulcro dell’opera di Saviano e va ancora più in profondità rispetto alle vicende narrate da Garrone. L’attenzione è tutta sul ricreare un realismo assoluto, tanto tragico quanto vero, qualcosa a cui forse il pubblico italiano non è più abituato, utilizzando quei linguaggi tecnici e scenografici delle migliori serie targate HBO, Showtime, FX. Una fotografia curata e attenta ai dettagli mette in evidenza uno dei tratti distintivi più importanti della serie: Gomorra è stata girata proprio lì dove sono avvenute le vicende raccontate. Scampia, le Vele, Napoli Nord, persino la vera casa dei Savastano… la serie ritrae in modo spietatamente autentico ambientazioni e luoghi dove ciò a cui assistiamo nella serie è avvenuto e continua ad avvenire. Il linguaggio si colora del dialetto napoletano, quello vero, privo della bonarietà da caricatura con cui ci viene spesso presentato, ma sferzante, in qualche modo “sconosciuto” proprio perché esterno al cliché, tanto da rendere necessari i sottotitoli in alcune scene. Una specificità che dà alla serie una connotazione italiana in tanta internazionalità. Il quadro che viene confezionato è quanto mai verosimile e non lascia indifferenti: punge, irrita, inquieta, colpisce. E proprio per questo conquista.

gomorra serie ciro e gennaro

Il pregio più grande di Gomorra, però, è la qualità di scrittura e caratterizzazione dei personaggi. Fin dal primo episodio tutti i personaggi appaiono ben delineati, dai tratti netti e distinguibili, al punto che anche il personaggio minore non ci dà mai l’impressione di essere “piatto”, ma di avere una gamma di sfaccettature pronta ad essere scoperta, senza mai cadere nello stereotipo o, peggio, nella caricatura. Gli attori chiamati a interpretare i protagonisti della vicenda sono professionisti per lo più sconosciuti al grande pubblico e le loro interpretazioni sono pienamente riuscite e credibili: Marco D’Amore veste alla perfezione i panni di Ciro, mentre Fortunato Cerlino e Maria Pia Calzone sono ottimi nelle parti di boss e consorte.

Ciro-Di-Marzio-Marco-DAmore-

La carta vincente di Gomorra, al di là del livello qualitativo raggiunto e dell’autenticità che si fa cardine dell’intera produzione e ne determina il carattere, sta soprattutto nella sua unicità. Unicità rispetto all’opera di Saviano e alla prima rielaborazione cinematografica di Garrone, dimostrando la capacità di essere un prodotto a sé stante. Unicità rispetto al non essere un’emulazione dello stile americano, ma una produzione che sintetizza linguaggi internazionali con specificità tutte italiane. Unicità, infine, nel suo essere qualcosa di totalmente alieno rispetto al panorama di fiction che imperversano in televisione qui in Italia. Gomorra – La serie è un buon prodotto che, finalmente, ci solleva dai pietosi standard italiani degli ultimi anni e ci consente di metterci in gioco con le produzioni estere, certi questa volta di non sfigurare. 

Books in the Kitchen: The Algernon Sandwich

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Nuovo appuntamento con i nostri libri in cucina. Data la stagione, ho deciso questo mese  di parlare di una “ricetta” facile da preparare, che non necessita troppa fatica in cucina (con il caldo non è proprio il massimo) e che può diventare l’idea giusta per un picnic al parco, una pausa pranzo fresca e gustosa, una portata del vostro brunch inconfondibilmente british. Eh si, perché quando si tratta di sandwich o tartine al cetriolo non si può che pensare al Regno Unito, dove questi panini vengono consumati all’ora del tè, e all’opera che probabilmente li ha resi famosi nel mondo, una delle letture più divertenti che abbia mai fatto nella mia vita: L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde.

the importance of being earnest

La più celebre delle Social Comedies di Oscar Wilde è un concentrato di humor inglese ed estetica dandy assolutamente irresistibile. Una storia di equivoci con cui Wilde mette alla berlina usi e costumi della società vittoriana, asfissiante, rigida e così abbarbicata alle proprie convinzioni, anche quando queste sono sbagliate, da apparire ridicole alla persona in grado ancora di pensare con la propria testa. Wilde era di sicuro una di quelle persone e proprio grazie al suo stile brillante e l’intelletto vivace ci ha regalato alcuni tra i i testi teatrali più belli della commedia moderna. Ho sempre amato le sue commedie ambientate nella società di fine diciannovesimo secolo, una vetrina così gustosa dell’epoca, descritta con un’ironia pungente esofisticata e battute argute, veri colpi di genio, che ammaliano, divertono, conquistano. Se vi capita, leggete anche Un marito ideale o Il ventaglio di Lady Windermere.

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La scena da cui è tratta la ricetta è nel primo atto e ci permette di conoscere subito i due protagonisti, Jack ovvero l’Ernest del titolo, e Algernon, amico di Jack e cugino dell’amata Gwendolen. Algernon si presenta fin da subito come il dandy per eccellenza, nella sua connotazione più eccentrica e, per questo, più buffa. I suoi tentativi di apparire elegante, raffinato e disinvolto nei confronti della società e del saper vivere naufragano davanti a un vassoio di tartine al cetriolo, alle quali nessuna buona maniera e convenzione sociale può resistere. Sono i sandwich di Algernon a svelare il grande inganno della società inglese del diciannovesimo secolo e Wilde ne delinea sapientemente i tratti trasformandoli nel simbolo di un’epoca.

l'importanza di chiamarsi ernestoALGERNON - Hai sentito quel che stavo suonando Lane?
LANE - Non mi sembrava educato ascoltare signore.
ALGERNON - Me ne dispiace per te Lane. Io non suono con molta precisione - con molta precisione può suonare chiunque - ma con grande sentimento. Per quel che riguarda il piano il sentimento è il mio forte. L'esattezza scientifica la riservo per la vita.
LANE – Sì signore.
ALGERNON - E a proposito di scienza della vita: hai preparato le tartine ai cetrioli per Lady Bracknell?
LANE – Sì signore. (Gliele porge su un vassoio.)
ALGERNON (ispezione la tartine ne prende due siede sul divano) - Oh!... a proposito Lane ho visto nel tuo libro dei conti che giovedì sera quando sono stati qui a cena Lord Shoreman e mister Worthing figurano essere state bevute otto bottiglie di champagne.
LANE – Sì signore: otto bottiglie e mezza.
ALGERNON - Come si spiega che in casa di uno scapolo la servitù pasteggi immancabilmente a champagne? Lo chiedo per pura curiosità.
LANE - Attribuisco il fatto alla superiore qualità dello champagne signore. Mi è più volte capitato di osservare che presso le copie di sposi raramente lo champagne è di prima scelta.
ALGERNON - Dio del cielo! A questo punto può condurre il matrimonio?
LANE - Sono convinto possa trattarsi di una situazione anche sgradevole signore. La mia esperienza in proposito è molto limitata a tutt'oggi. Sono stato sposato una volta sola e a causa di un piccolo malinteso tra me e una giovane signora.
ALGERNON (pigramente) - Non credo di essere molto interessato alla tua vita familiare Lane.
LANE – Certo signore; è un argomento molto poco interessante. Non ci penso mai neanch'io.
ALGERNON - Più che naturale ne sono certo. Va bene così Lane grazie.
LANE – Grazie signore.
(Lane esce.)
ALGERNON - Lane ha una concezione piuttosto superficiale del matrimonio. Ma insomma: se gli strati inferiori della società non ci danno neanche il buon esempio si può sapere a che cosa servono? Pare proprio che perlomeno come classe non abbiano la minima coscienza delle loro responsabilità morali.
(Entra Lane.)
LANE - Il signor Ernest Worthing.
(Entra Jack. Esce Lane.)
ALGERNON - Come stai carissimo Ernest? Qual buon vento ti ha condotto in città?
JACK – Oh il piacere il piacere! Che cos'altro ti porta mai in qualsiasi posto? Vedo che come al solito stai mangiando Algernon!
ALGERNON (impettito) - Mi sembra sia buon uso nella buona società fare un piccolo spuntino intorno alle cinque. Dove sei stato da giovedì scorso?
JACK (sedendo sul divano) - In campagna.
ALGERNON - Si può sapere che diavolo ci fai in campagna?
JACK (togliendosi i guanti) - Si viene in città per divertirsi si va in campagna per divertire gli altri. Una noia mortale.
ALGERNON - E chi è che diverti tu in particolare?
JACK (leggero) – Oh dei vicini.
ALGERNON - Ci sono dei bei vicini dalle tue parti?
JACK - Assolutamente orrendi! Mai scambiato una parola con nessuno!
ALGERNON - Dev'essere un grande divertimento per loro! (Va a prendersi un'altra tartina.) A proposito quando vai in campagna è lo Shropshire vero?
JACK - Eh? Shropshire? Si certo. Ehi che cosa sono tutte quelle tazze? E quelle tartine ai cetrioli? Cosa significano queste sfrenate lussurie alla tua giovane età? Chi è che aspetti per il tè?
ALGERNON – Oh solo la zia augusta e Gwendolen.
JACK - Delizioso!
ALGERNON – Si può darsi: ma ho paura che la zia Augusta non sia molto contenta di trovarti qui.
JACK - E perché di grazia?
ALGERNON - Amico mio il tuo modo di flirtare con Gwendolen è assolutamente scandaloso. Quasi come il modo di Gwendolen di flirtare con te.
JACK - Io sono innamorato di Gwendolen. E sono venuto in città proprio per chiederle di sposarmi.
ALGERNON - M'avevi detto che eri qui per divertirti! Questi sono affari.
JACK - Come sei poco romantico.
ALGERNON - Non vedo proprio niente di romantico in una domanda di matrimonio. Essere innamorati è molto romantico. Ma non c'è niente di romantico in una precisa proposta matrimoniale. Diavolo!e se quella dice di si? Credo che di solito le donne dicano di sì. E allora è finito tutto il bello. L'essenza di ogni storia d'amore è l'incertezza! Se mai mi accadrà di sposarmi cercherò subito di dimenticarmelo.
JACK - Non ne ho il minimo dubbio mio caro Algernon. Il tribunale dei divorzi è stato inventato proprio per la gente che ha queste curiose forme di amnesia.
ALGERNON – Oh questa è una discussione che non serve a niente. I divorzi si fanno in cielo... (Jack allunga una mano verso le tartine ai cetrioli. Algernon interviene subito.) Per piacere non toccare le tartine ai cetrioli. Le ho fatte apposta per la zia Augusta.
(Ne prende una e la mangia.)
JACK – Beh tu le continui a mangiarle.
ALGERNON - Questo è tutt'altro discorso. Io sono suo nipote. (Prende da sotto un altro vassoio.) Prendi un po' di pane e burro. Il pane e burro è per Gwendolen. Lei è molto sensibile al pane e burro.
JACK (avvicinandosi alla tavola e servendosi) - Ed è un ottimo pane e burro tra l'altro.
ALGERNON – Comunque carissimo non c'è bisogno che te lo mangi tutto. Ti stai comportando come se fossi già sposato. E invece non lo sei e credo anzi che non lo sarai mai.
JACK - E perché dici questo?
ALGERNON – Beh in primo luogo perché nessuna ragazza sposa mai l'uomo con cui flirta. Non è considerato elegante.


La ricetta tradizionale dei sandwich al cetriolo, quelli tanto amati da Algernon, prevede il burro salato. Ora, non so voi quanto bazzichiate i supermercati, ma io ho girato tutti quelli a disposizione delle mie gambe e la mia bicicletta e non l’ho trovato. Forse lo trovate nei grandi ipermercati, provate e fate sapere.

Ho fatto allora delle ricerche su internet ed è saltato fuori che anche in UK i sandwich al cetriolo si sono evoluti e trasformati a seconda delle esigenze, e una versione molto diffusa prevede l’uso del cream cheese, ovvero il formaggio spalmabile. Risolto così il problema della parte cremosa del sandwich, non è rimasto altro da fare che assemblarlo, e già che c’ero, ho pensato anche di farne una versione alternativa, con qualche digressione sul tema.

The Algernon Sandwich


foto

Sandwich 1:

  • Formaggio spalmabile
  • 1 confezione di pane morbido per sandwich
  • 2 cetrioli
  • pepe

Sandwich 2:

  • Pane in cassetta ai 5 cereali (va bene anche quello integrale)
  • 2 cetrioli
  • Salsa Tzatziki
  • 200 gr di salmone affumicato

 

 

Per la prima versione, la più tradizionale, prendete il formaggio spalmabile e trasferitelo in una ciotola, aggiungete qualche spruzzata di pepe e amalgamate bene. Spalmate il formaggio sul pane per sandwich e tagliate il pane nella forma che preferite per il sandwich (io ho diviso le fette prima in quadrati e poi nella forma triangolare come da tradizione). Lavate e sbucciate i cetrioli e tagliateli a fettine sottili. Distribuite le fettine sul pane e chiudete con un’altra fetta. Per una nota più croccante, dato anche il numero di fette presente nella confezione, potete tostare leggermente la fetta di pane dispari e inserirla in mezzo al sandwich. Il panino ne guadagnerà in fragranza e sapore.

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Per la seconda variante, prendiamo una fetta di pane in cassetta e sopra spalmiamo la Salsa Tzatziki. La salsa tzaziki è una salsa tipica della cucina greca composta perlopiù da yogurt e pezzetti di cetriolo, buonissima per condire i secondi piatti. Dopo aver spalmato la salsa, adagiamo una fetta sottile di salmone e un paio di fettine tagliate sottilissime di cetriolo (il cetriolo è facoltativo, poiché già presente nella salsa, ma io l’ho aggiunto ugualmente e ci stava benissimo). Chiudete con una seconda fetta di pane.

I sandwich vanno tenuti in frigo avvolti nella pellicola trasparente fino al momento di mangiarli. Se la salsa tzatziki non vi piace, potete sostituirla con il formaggio spalmabile.

Et voilà. I sandwich al cetriolo sono pronti. E di sicuro Algernon avrebbe apprezzato.

sandwich cetriolo

 

Che ne pensate di questa ricetta?

Al prossimo appuntamento libro-culinario!

Recommendation Monday: Consiglia una raccolta di racconti

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Buon lunedì! In questo inizio di settimana festivo, ecco il nuovo Recommendation Monday:

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Io, forse lo sapete già, ho un debole per i racconti. Sono un genere spesso bistrattato, scarsamente considerato, nell’idea che se si legge bisogna leggere bene, seguendo una storia dall’inizio alla fine, trame e sotto-trame, affezionarsi ai personaggi e via dicendo. Eppure il racconto ha tutto il fascino di un piccolo universo con dentro mille altri mondi. Chiede la partecipazione attiva del lettore molto più che il romanzo, ne ha bisogno per aiutarci a entrare in sintonia con la storia in poche righe, a incuriosirci con un frase, a lasciarci andare con la fantasia quando si arriva al punto finale e la storia la dobbiamo continuare noi nella nostra testa. Il racconto è un grande gioco, un frammento che ci arriva dallo scrittore e che plasmiamo a quattro mani. Le raccolte di racconti, quindi, sono un grande insieme di mondi paralleli e coesistenti, dove tuffarsi in uno e poi in un altro fino all’ultima pagina. Tra i racconti che ho amato di più nella mia carriera di lettrice ci sono sicuramente quelli esilaranti di Stefano Benni, in particolare quelli di un libricino uscito per la prima volta nel 1987 e che ormai ha visto molte ristampe senza perdere un’unghia del suo fascino. Una raccolta con cui si ride e si sogna e che, alla fine di ogni racconto, fa riemergere quella voce un po’ bambina che chiede a gran voce “Ancora, ancora!”, con il desiderio che quella notte in compagnia dei bizzarri avventori del bar non finisca mai. Si parla di Il bar sotto il mare di Stefano Benni.

recommendation-monday-racconti

E i vostri racconti preferiti quali sono?

Buona settimana!

 

P.S.L’8 giugno parte il nuovo gruppo di letture di UFG Book Club. Un’estate in compagnia di I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Se volete essere dei nostri, ci trovate QUI.

Una Fragola al Mese - Maggio 2014

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Dopo un mese di pausa, torna la rubrica mensile. Come sono felice, mi mancava. E poi maggio è stato un mese davvero intenso. Curiosi?

I libri di maggio

Maggio è stato un mese discreto in fatto di letture. Mi sono imbattuta in una serie di buoni libri e il ritmo ne ha giovato. Ho iniziato il mese portando a termine una lettura cominciata ad aprile, Timira – Romanzo meticcio di Wu Ming, che mi è piaciuto moltissimo e sono davvero dispiaciuta di non avervene parlato, ma ve lo consiglio vivamente, soprattutto se vi piace il genere storico ma fatto in modo diverso e contemporaneo e se volete saperne di più della storia di questo Paese lontano dai canali ufficiali.

Le altre letture sono state tutte estremamente piacevoli, il mio giudizio è positivo e naturalmente ve le consiglio. Eccole:


  • Stupore e tremori di A. Nothomb.
    Uno sguardo ironico e spietato sulla società nipponica, sulle gerarchie e gli "stupori e tremori" su cui si basa il mondo del lavoro, sulla condizione della donna nel Sol Levante, a cui ingessano il cervello e il cuore. Noi occidentali appariamo deboli ai loro occhi, sogniamo e sudiamo, attaccati a una finestra dalla quale immaginiamo di volare. Loro producono e non si permettono di concedersi la minima libertà o fantasia. E quando volano, lo fanno per davvero. Sebbene il racconto sia un po' datato, ambientato negli anni '90, l'immagine del Giappone che ne scaturisce mantiene la sua autenticità e attualità. E all'occidentale che tenta l'integrazione non spetta che il fallimento, in un contrasto di ideologie e stili di vita a cui, se ci si piega, dimostra tutto il suo carattere paradossale e contraddittorio, e se si decide di resistergli, si rimane semplicemente stupiti e sopraffatti.
    Lo stile della Nothomb è scorrevole, fluido, animato da un'ironia intelligente e caustica e da momenti di studiata e irriverente drammaticità. Leggerò di sicuro altro di suo.
  • Una cosa divertente che non farò mai più di D. Foster Wallace.
    Mi è piaciuto? Si. Mi è piaciuto tanto quanto mi aspettavo? No. Tuttavia non si rimane indifferenti di fronte alla prosa ironica e brillante di David Wallace Foster, con guitti di pura genialità. Vorrei leggere altro per farmene un'idea più ampia e articolata. Lo farò senz'altro.
  • Sofia si veste sempre di nero di P. Cognetti.
    Il mio libro preferito del mese. Ve ne parlerò meglio nella prossima recensione (sperando di non farvi aspettare troppo!)
Acquisti & co. Maggio è il mese dei libri e io non me lo sono fatto ripetere due volte. Dopo aver ascoltato Paolo Cognetti qui a Bologna in Sala Borsa, mi sono finalmente decisa a comprare Sofia si veste sempre di nero e a leggerlo. E già che c’ero, quel giorno mi sono portata a casa anche L’ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo, nell’edizione Live Deluxe della Newton Compton. Che ormai senza Hugo non sappiamo stare (mi rivolgo, in particolare alle partecipanti dello scorso gdl). Per chiudere il mese, ho approfittato del 20% di sconto dell’iniziativa “Via col venti” per togliermi due super-sfizi: il tanto desiderato Stoner di John Edward Williams e L' incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggiodel maestro Murakami, già in wl da prima ancora che uscisse in Italia. Ora non resta che trovare il tempo per leggerli tutti (insieme agli altri non letti che vivono con me da mesi).
libri nuovi

La velleità femminile del mese

Maggio è un mese fruttuoso anche per il mio lato più vanesio. A inizio mese, grazie alla promozione Pupa, mi sono portata a casa due smalti della nuova collezione Lasting color gel, per la precisione il numero 032 BLACK BURGUNDY e lo 044 TAHITIAN SUNRISE. Il burgundy, ça va sans dire, è il mio preferito.
(foto dal web)

La vera chicca, però, è stata lei, la palette Sleek del Mar Vol. 1, comprata da Sephora quando ero entrata solo per comprare il correttore. Sì, certo. Si tratta di una palette molto estiva, con colori vivaci e briosi, adatti al periodo, e la maggior parte degli ombretti è matt e si sfumano molto bene. Si tratta della mia seconda palette Sleek, l’altra che ho dà sui toni del blu e non riesco a usarla sempre, persino d’estate, qui invece c’è invece una bella gamma di nuance da sfruttare. Il prezzo come sempre è ottimo, 9.90. In definitiva, sono contentissima del mio acquisto e mi preparo a feste tropicali!

foto 3 (4)

Faccio cose, vedo gente…

Sabato 17 maggio, in concomitanza con il Festival dei Lettori a Bologna, sono andata a un incontro con Paolo Cognetti. A guardarlo, Cognetti, pare un boscaiolo molto più a suo agio tra i boschi che in piena città. Vengo a scoprire che, in effetti, Cognetti vive in un paese della Valle d’Aosta, tra montagne e foreste, per curare una nostalgia atavica, ma anche che è nato e cresciuto a Milano, dove ha vissuto buona parte della sua vita, e che adora New York, città che ha iniziato a conoscere a 24 anni senza più fermarsi, al punto da scriverci addirittura due libri. Un incrocio tra il nonno di Heidi e Carrie Bradshaw. Con meno patinatura, meno barba, e più Hemingway e Carver.

Cognetti ci racconta come è nata la sua passione di lettore prima e poi scrittore, il suo amore per la letteratura americana, i primi passi nella scrittura. Dai maestri americani– Hemingway Carver, Salinger, Munro – Cognetti prende in prestito la forma del racconto, che gli è congeniale, affinando poi l’arte con una tradizione del racconto che possiamo trovare persino in Italia, in Fenoglio o Pavese o in Il sistema periodico di Primo Levi. Per me che amo la forma del racconto, è stato un piacere sentirne parlare con tale slancio da uno scrittore italiano: Cognetti difende l’esistenza del racconto non come forma minore, ma semplicemente diversa, dove alla finitezza del romanzo si contrappone il senso di incompiuto e aperto che lascia il racconto. “Il racconto è la poetica del frammento.”

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Non può mancare la parentesi dedicata a Sofia si veste sempre di nero, forse il suo libro più famoso. Qui la forma racconto viene utilizzata per creare un romanzo, realizzando quella che è la verità di ogni scrittore con i suoi personaggi: ogni autore sa quel poco che basta dei suoi protagonisti e somma quel che conosce in un romanzo. Ogni frammento, quindi, può essere visto come un racconto, ed è quello che succede con Sofia e la sua storia, a cui Cognetti confessa di essere affezionato un bel po’.

Infine, si è parlato anche del Cognetti regista di documentari e di New York è una finestra senza tende, libro con cui Cognetti aveva celebrato il suo amore per la città, attraverso anche un reportage allegato al libro, in cui Cognetti ci racconta la NY meno turistico, più nascosta e rilegge in chiave insolita luoghi topici della city. E’ stata l’occasione giusta per terminare l’incontro con la lettura di alcune pagine del suo nuovo libro Tutte le mie preghiere guardano verso ovest, una sorta di seguito al suo primo libro su New York.
Un gran bel incontro, che mi ha lasciato molto incuriosita sia sull’autore che sulla persona. In fondo uno scrittore che adora New York come fa a non piacermi!

La turista per caso

A maggio io e la mia ex coinquilina abbiamo deciso di lanciarci in una due giorni di visita alla nostra terza ex coinquilina. Un trio fra i migliori avuti durante la mia vita di studentessa, che mi ha regalato due splendide amicizie. La reunionè stata anche l’occasione non solo per incontrare delle vecchie e care amiche (a cui se n’è aggiunta una terza, che meraviglia) ma per conoscere anche une regione che finora avevo solo intravisto dai finestrini degli innumerevoli treni presi, le Marche. Beh lasciatemi dire che è una regione meravigliosa!

Dopo il nostro arrivo ad Ancona, la nostra ospite inizia a scorrazzarci con la sua macchina, direzione mare. Arriviamo a Sirolo, paesino a sud del monte Conero che si affaccia sul mare e il cui territorio fa parte del Parco regionale del Conero. Sirolo è una bomboniera, una cittadella bianca fatta di viuzze e cortili, vicoli che salgono e scendono e terrazze che si affacciano su panorami mozzafiato. L’atmosfera è placida e rilassata, quella di un posto in cui il tempo è solo accessorio e dove la vita pare scandita da ritmi ormai dimenticati nelle grandi città. La vista del mare e delle coste a picco sull’Adriatico è qualcosa di emozionante e ci si innamora del luogo in un battito di ciglia.

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Purtroppo il nostro tempo a disposizione è scarso e, dopo un gelato in piazza, ci rimettiamo in marcia con destinazione Recanati. Non potevamo mancare questa tappa che gli anni di scuola hanno impresso indelebilmente nella memoria. Tutti a casa di Giacomo (Leopardi, ndr) e ovviamente ad attenderci… c’è la pioggia! All’arrivo di fronte alla statua del Leopardi, il cielo si è aperto, lasciandoci sotto una pioggia scosciante, a cui poco sono valsi i nostri ombrellini e che ha alimentato la mia tesi per cui quel povero Giacomo porta una sfiga tremenda e se era depresso non era neanche poi colpa sua. Nonostante la pioggia, Recanati si è dimostrata un borgo grazioso dove si respira storia, tradizione e cultura.

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Asserragliata sulla cima del colle famoso, Recanati celebra il genio di Leopardi in ogni dove: c’è la torre del passero solitario; la piazzetta del Sabato del Villaggio, dove c’è la casa di Silvia; Palazzo Leopardi, la casa del poeta ancora oggi abitata dai discendenti e che ospita una biblioteca con oltre 20.000 volumi; infine, c’è il Colle dell’Infinito, una passeggiata tra frasche e la celebre siepe, oltre la quale si assiste a un suggestivo panorama che raccoglie tutta la zona e i paesi circostanti e si allunga fino ai Monti Sibillini e le cime innevate, e allora capisci perché “il naufragar m’è dolce in questo mare”.

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La seconda giornata il nostro viaggio ci porta su e giù per paesi e vie di campagna. Il paesaggio delle Marche è una tavolozza di colori che va dal giallo ocra dei campi ai rossi e marroni delle mura medievali, dal verde dei prati e dei boschi al blu del cielo e dell’acqua. La nostra ospite ci porta a Macerata per farci scoprire un posto molto interessante, lo Sferisterio, una struttura teatrale nota per la sua forma unica nel suo genere e per essere, a detta di molti cantanti lirici, l’arena con la migliore acustica in Italia. Un giro per il bel centro storico della città e poi ci spingiamo verso l’interno. Abbiano un appuntamento con un’amica che non vediamo da tantissimo e il luogo dell’incontro è il Balcone delle Marche, Cingoli. Dalle sue mura castellane, Cingoli regala un altro stupendo panorama che arriva fino al monte Conero e al mare e noi siamo ormai emozionatissime da tutta questa bellezza. Anche Cingoli è un paesino dove il tempo si è fermato e l’atmosfera è tra le più rilassate, non ci corre dietro davvero niente e nessuno e tutto quello che dobbiamo fare è goderci il panorama, la compagnia e la splendida giornata.

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La reunion prosegue verso un posto che è stato davvero una gran sorpresa. La new entry del gruppo, infatti, ci porta verso il lago di Castreccioni, un lago artificiale creato da una diga sul fiume Musone. Il lago è ormai habitat di una natura rigogliosa che rende il posto autentico e affascinante. Le acque limpide riflettono i colori e il profilo dei monti che lo circondano e i giochi di luce che si creano sono suggestioni che lasciano ammaliati. Restiamo senza parole mentre sorseggiano un prosecchino nel bar a riva lago, una location perfetta per un aperitivo primaverile in pieno relax. Al tramonto del sole quasi mi sono sciolta a vedere i colori del cielo riflessi in acqua. Calato il sole, facciamo un ultima visita al paesino Apiro, casa di una delle mie amiche, che per anni ho chiamato Lapiro, dato che tutte le marchigiane che conosco mettono sempre l’articolo davanti il nome del paese, creando nei non marchigiani una gran confusione.

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Il giro per paesini e borghi ci ha lasciato cariche di emozioni e ricordi piacevoli. Purtroppo due giorni non bastano per visitare tutto, ma l’idea che mi sono fatta è che le Marche sono una regione tutta da scoprire, che necessita i suoi tempi perché lentamente si svela, ma che sa regalare meravigliose visioni naturali e bellissime testimonianze storiche e culturali, un abbraccio tra cielo terra e mare che scalda il cuore.

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La musica che mi frulla in testa

Maggio mi ha visto ancora in fissa per la canzone di Cesare CremoniniLogico #1. La tipica canzone che ti si infila in testa e non te la levi più per giorni. Vabeh, lo ammetto, non sono una di quelle che condanna Cremonini, anzi lui mi sta simpatico e questa canzone mi piace (anche se a sentirla in continuazione ha ormai quasi stufato).


Questo mese ho ascoltato anche il nuovo album di Damon Albarn, Everyday Robots, che mi ha lasciato piacevolmente soddisfatta. Ho ripreso anche Caustic Love di Paolo Nutini che non mi dispiace per nulla.




Tra le playlist di Spotify, ho ascoltato a ripetizione “Acoustic Lounge”. Adoro le versioni acustiche ed è straordinario come la canzone più pop appaia totalmente diversa nella sua cover unplugged.



E per questo mese è tutto. Buon giugno!

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La Recensione del Mese: Sofia si veste sempre di nero

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Il libro di cui vi parlo questa volta è stato per me una scoperta. Non leggo molti italiani, ma in questo 2014 ho voluto dare loro qualche chance in più. Il risultato, questa volta, è stato decisamente positivo e mi ha permesso di scoprire un percorso autoriale interessante e a me molto congeniale, all’insegna di quella “poetica del frammento” che va sotto il nome di racconto. Il romanzo in questione diventa quindi un grande contenitore di storie e ogni capitolo è una finestra sul mondo della protagonista, visto però con gli occhi di chi le vive attorno. Un mosaico emozionante e coinvolgente che dà alla storia del racconto in Italia una nuova voce. Si parla di Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti.

 

sofia si veste sempre di  nero

 

 

Titolo: Sofia si veste sempre di nero
Autore: Paolo Cognetti
Anno: 2012
Editore: Minimum Fax
Pagine: 203
ISBN 9788875214401

 

 

 

 

Una notte l'infermiera si affacciò alla finestra del reparto e vide il furgone di lui fuori dall'ospedale. Gli abbaglianti lampeggiarono tre volte, poi si accesero di nuovo quando lei alzò il braccio per salutare. Chiese il cambio alla sua collega e scese per le scale di servizio fino all'ingresso fornitori, e lì, sotto una pioggia autunnale, l'uomo abbassò il finestrino e le disse di avere preso delle decisioni. L'infermiera lo squadrò, incerta se credergli o meno. Controllò che nessuno li vedesse e lo fece salire al primo piano, dove trovò una stanza vuota in cui potevano parlare in pace.

Nei baffi di lui c'era un sapore di vino sotto a quello solito di fumo. In camera la abbracciò e la spinse verso il letto, ma aveva modi che a lei non piacevano e fu respinto. Fece l'offeso. Aprì la finestra, accese una sigaretta e guardò fuori. Dopo un minuto disse: "Se piove ancora un po', qui ci spuntano le pinne come ai pesci". 

 

Sofia si veste sempre di neroè un romanzo di racconti che ruota attorno alla storia di Sofia e della sua giovinezza inquieta, dagli anni dell’infanzia sino alle porte della vita adulta, ma è anche la storia di tutte le persone che gravitano nella sua vita: il padre Roberto, alla ricerca di una vita semplice ma in fuga da una vita familiare che non mantiene le promesse; la madre Rossana, donna messa alle strette in un’esistenza che forse non ha mai desiderato ma a cui si aggrappa prepotentemente, donna sensibile ma governata dai suoi umori al punto da lasciare fuori tutto il resto; la zia Marta, solitaria e schiva, con un passato nell’estrema sinistra e una ricerca di maternità che trova sostanza nel prendersi cura di Sofia. E ancora, tanti altri personaggi che intersecano la vita di Sofia nelle varie fasi della sua crescita, il piccolo Oscar il filibustiere, l’infermiera alla sua nascita, la coinquilina Caterina che prova per lei un amore incondizionato, Leo l’anarchico di cui si innamora per la prima volta. Fino ad arrivare all’ultimo personaggio, Pietro, lo scrittore di questa storia, che conosce Sofia in una New York dai tratti poco familiari, lontana dalle mille luci della city che tutti conosciamo, ma per questo affascinante e dal gusto melanconico e autentico di un ricordo che riemerge dalla nostra mente quando meno te lo aspetti.

Sofia si veste sempre di nero raccoglie dieci racconti e ne realizza un corpo unico e compatto, riuscendo in questo modo a scavalcare la supposizione errata per cui una raccolta di racconti sia una serie di brani slegati tra loro. Attraverso un’unica protagonista, Sofia, che ricorre lungo tutti i racconti segnando le differenti tappe della sua vita, Cognetti mette in evidenza quello che è il legame sotteso ai dieci frammenti e le tematiche da essi supportate. Scontri tra generazioni, l’inevitabile fare i conti con la propria famiglia e le proprie radici, passaggio obbligato di chiunque compia il passaggio dall’infanzia alla vita adulta, ma soprattutto una costante ricerca della propria identità, che si perde all’interno di una storia familiare apparentemente travagliata, in realtà molto più comune di quanto si creda (“tutti noi, di disastroso, avevamo avuto le famiglie, normali famiglie composte da un uomo una donna e un bambino”), una condizione fatta di tensioni, rimpianti, rimorsi e ipocrisie, dove le singole identità non trovano mai il coraggio di venire a galla. L’affermazione del proprio “io” non è solo di Sofia, a ben vedere, ma anche dei personaggi che le ruotano attorno: il padre e il desiderio di un amore semplice e sincero, la madre e i suoi sogni di pittrice e le aspirazioni mai realizzate, la zia e i suoi desideri di rivincita sociale e politica. Attraverso le loro voci, di racconto in racconto, il lettore ricostruisce un universo fatto di punti di vista diversi, a volte persino opposti, che come riflettori, illuminano Sofia e la sua storia da molteplici angolazioni. La ricerca della loro identità, la lotta che contraddistingue le loro vite, serve, quindi, a identificare Sofia stessa, a darle corporeità e definizione, a plasmarla sotto i nostri occhi. E allo stesso, dona carattere e una peculiarità specifica a ogni singolo racconto: come in un puzzle, ogni pezzo non è mai uguale all’altro.

Ho apprezzato, in particolare, i racconti dedicati al padre Roberto e alla zia Marta. Sono le due storie che meglio si uniformano al mondo di Sofia e le danno, inoltre, una collocazione temporale e sociale ben precisa. Fratello e sorella vivono gli anni più difficili degli anni Settanta, in modo completamente diverso. Roberto vive i tristi strascichi della fine del boom economico, i licenziamenti e l’economia in crisi; dalla parte dei “padroni”, assiste a scioperi e sabotaggi da parte dei movimenti politici, alla violenza e il terrore degli anni di piombo. Marta vive quegli anni dall’altra parte della barricata, militante di estrema sinistra, che mette la sua vita al servizio delle sue idee e principi, in cui crede fino a identificarsi in essi, al punto che, quando gli anni Settanta passano alla storia e l’azione politica dei movimenti del ‘77 esauriscono la loro forza di rivolta, anche lei si sente svuotata e permeata di una solitudine che solo un’esistenza votata a un’idea sembra regalare. Le loro storie, nonostante nessuno dei due appaia un reale protagonista degli avvenimenti, ma solo un testimone degli eventi, forniscono una connotazione storica all’intero romanzo, contestualizzando la vita di Sofia e quella di tutti gli altri, includendoli in un’unica grande storia senza la quale Sofia non sarebbe la stessa. Al di là del tentativo di gettare luce su eventi della storia del nostro Paese con uno sguardo semplice e diretto, senza pretese di criticità o giudizio, ma solo con il desiderio di fornire un quadro quanto più verosimile possibile, i racconti dedicati a Roberto e Marta sono molto belli e commoventi, intrisi di malinconia, intimi e caratterizzati da una certa dose di leggiadria che non può che emozionare. Non è un caso che Roberto e Marta siano i due personaggi che più influiscono sulla crescita di Sofia e le sue scelte.

Lei, Sofia, non parla mai con la sua voce ma, indolente e non curante, lascia il compito agli altri narratori, libera intanto di trovare la sua strada per la felicità da sé, di attraversare fasi e stagioni della vita, a volte molto dolorose, lesioniste, a una passo da precipizio, altre ancora semplici, allegre, luminose. Come quando decide di diventare un’attrice, trovando la sua dimensione ideale dentro l’obiettivo, dove, pur ammettendo di essere finalmente libera di non essere più se stessa, è in realtà più vicina che mai alla sua vera identità. La felicità tanto desiderata (“Io voglio essere felice adesso”) la spinge a mettersi in gioco in quella vita che in un primo momento rifiuta, con il suo tentativo di suicidio andato male, ma che invece imparerà ad affrontare con un insolito coraggio, quello di chi ha capito quali sono le regole ma, semplicemente, non ci sta e tenta risoluta un’alternativa. Quando Pietro la saluta a New York, momento cardine della vita di entrambi, sappiamo che di Sofia non dobbiamo più preoccuparci: la sua strada, la sua via per sopravvivere a questa vita, l’ha trovata. E come Pietro, non ci resta che ricordarla e lasciarla andare, così come era entrata nelle nostre vite, in un alone di indefinito e vago, in cui il non sapere troppo non genera curiosità ma il desiderio di non dimenticare.

Una volta mi aveva detto di avere un unico vero talento, quello di riconoscere la fine delle cose. Più tardi ripensai a quella frase e immaginai che mi avesse salutato come facevano i suoi amici musicisti. Posando la chitarra, avvicinandosi al microfono, guardandoti negli occhi e dicendo: “Ricordati di me”.

La scrittura di Cognettiè lineare, pulita, precisa, ma nella sua semplicità si cela una grande potenza espressiva. Cognetti ci racconta una storia di cui lui stesso sembra sapere poco, un confusione di tasselli da ricomporre per svelare il mistero, eppure riesce ad immergersi, arrivando poi semplicemente a sfiorare con delicatezza il cuore delle cose, lasciando a noi la libertà di scegliere quanto in fondo voler arrivare. La forza narrativa dei suoi racconti sta nella sua deliberata scelta di non risolvere il mistero, ma in quella di farsi avvolgere da esso, imparare a conviverci e lasciarsi vincere. Sofia si svela ai nostri occhi di lettore quasi svogliata, in un viaggio tra presente e passato che getta luci disordinate sulla sua vita, le quali ci aiutano a scoprire aspetti della sua persona, lasciandone in ombra altri. Il senso di incompiutezza la rende un personaggio femminile tra i più belli e sofferti, straordinariamente umana perché riconoscibile non solo in diversi particolari di noi stessi, ma anche come frutto di una generazione e un’epoca a cui sentiamo di appartenere.

Sofia si veste sempre di neroè un libro che ti rimane sotto pelle, a cui ritorni con il pensiero diverse volte dopo aver girato l’ultima pagina, immaginando cosa starà facendo Sofia in questo momento o ripensando ai momenti in cui Roberto, Rossana e Marta appaiono così vicini a noi, intimi amici di carta le cui vite si intersecano strettamente alle nostre. Una storia emozionante e dalle molte suggestione, raccontata con una grazia particolare, difficile da dimenticare.

L’autore

paolo cognettiPaolo Cognetti è nato a Milano nel 1978.
È autore di alcuni documentari - Vietato scappare,Isbam, Box, La notte del leone, Rumore di fondo - che raccontano il rapporto tra i ragazzi, il territorio e la memoria. Per minimum fax media ha realizzato la serie Scrivere/New York, nove puntate su altrettanti scrittori newyorkesi, da cui è tratto il documentario Il lato sbagliato del ponte, viaggio tra gli scrittori di Brooklyn.
Per minimum fax ha pubblicato Manuale per ragazze di successo (2004), Una cosa piccola che sta per esplodere (2007), vincitore, tra gli altri, del Premio Fucini, del Premio Settembrini e finalista al Premio Chiara e Sofia si veste sempre di nero, selezionato al Premio Strega 2013.  Per Laterza è uscito nel 2010New York è una finestra senza tende. Il suo blog è paolocognetti.blogspot.it.

Frasi

> Lo sai che cos’è la nascita? È una nave che parte per la guerra.

> L’amore è nella pancia, l’amore è un cane cieco che ti manca da quando sei andata via di casa.

> Abitare, abito, abitudine. E’ tutta roba che ci mettiamo addosso, tutti i nostri strati protettivi-. […] -Comunque, gli occhi sono dei bugiardi schifosi. E’ il frigo lo specchio dell’anima.

> Roberto si era ormai rassegnato a pensare che fosse quello, l'amore degli adulti: un esercizio di indulgenza e tolleranza, abituarsi ai difetti di un'altra persona e infliggerle i propri, caricarsi sulla schiena il fardello della sua infelicità.

> Non è tanto quello che ho visto, è piuttosto quello che non ho visto. Sai quando sei fuori al sole e senti un'ombra passarti addosso? E allora guardi in su per vedere se era un uccello, una nuvola o cosa, ma ormai è troppo tardi, e qualunque cosa fosse è già passata?

> L'intelligenza non è saper fare, è saper imparare.

> C'è un unico modo sincero di piangere, ed è piangere da soli.

> La bellezza in fondo che cos'è, una stupida questione geometrica, solo un incastro fortunato nel campionario di bocche, nasi e orecchie disponibili. Ma se una faccia hai imparato a conoscerla, e l’hai vista quando ha sonno, quando ha il raffreddore, quando è distrutta da una giornata nera, se ti sei abituato a quella faccia, allora hai superato la questione della bellezza, non sei d’accordo?

Serie Tv: i dieci momenti migliori della quarta stagione di Game of Thrones

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Domenica scorsa, la quarta stagione di Game of Thronesè giunta al termine, lasciando noi fan orfani della serie fino al prossimo aprile 2015. Quasi un anno, durante il quale – e in attesa di nuove tragiche morti incredibili avventure nate dalla sadica penna di G. R. R. Martin– ritorneremo con la memoria, e una lista infinita di gif e meme forniti dal web, ai momenti più memorabili di questa fighissima season. Che questa stagione 4 si sia rivelata una delle migliori, sebbene si stia parlando di una serie i cui momenti meno alti sono comunque più alti di tantissime altre serie in circolazione, c’è poco da mettere in dubbio. A differenza delle due precedenti stagioni, dove i nodi dell’intreccio più eclatanti venivano sviluppati a inizio e fine stagione, regalando al nono episodio il titolo leggendario di “L’episodio” per eccellenza (se si pensa al Red Weddingè difficile non essere d’accordo), in questo quarto ciclo di episodi abbiamo assistito a una più uniforme distribuzione dei più importanti eventi e vicende. Sarà che, in effetti, c’era tanto da dire, se si considera a che punto si è arrivati con i libri (devo ancora leggere gli altri che seguono, quindi fan delle Cronache non fate gli spoilerosi!). E sebbene di Red Wedding ce n’è uno e come Ned Stark nessuno mai, è indubbio che, in questa stagione, le diverse linee narrative paiono aver trovato un ottimo equilibrio, per cui quasi tutti gli episodi sono stati in grado di fornirci quella dose di guerra/amore/morte/intrigo/momentoWTF/fantasy di cui sentiamo il bisogno ogni volta che ci mettiamo comodi sul divano e facciamo partire la sigla, una delle poche in grado di gasarti ancor prima di vedere qualsiasi scena dell’episodio.

Quali sono, dunque, i momenti più belli, emozionanti, memorabili, di Game of Thrones 4? Ecco la mia Top 10.

 

1. Il Mastino e i suoi f****** chickens

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Il primo episodio è fin troppo tranquillo per essere GOT. Fortuna che ci sono Arya e il Mastino, una delle coppie più incredibili e irresistibili create dalla serie, a regalarci qualche risata e un po’ d’azione. Arya si dimostra sempre più una piccola psycho killer, mentre noi la lezione l’abbiamo imparata: mai mettersi tra il Mastino e la sua cena, specie se si tratta di polli arrosto. Una scena che ha generato una gran quantità di battute e immagini esilarati, e in un attimo è Arya and The Hound Mania.

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2. Purple Wedding (bye bye Joffrey!)

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Nonostante non sia stato all’altezza del Red Wedding, il cui ricordo ancora ci procura lacrime e sofferenze, il Purple Wedding ha avuto il suo perché nel godurioso epilogo ai danni di re Joffrey, uno dei personaggi più odiati della storia, a cui abbiamo augurato spesso di fare una brutta fine nel corso delle precedenti tre stagioni. E così, mentre lo vediamo ingozzarsi di torta avvelenata, è inutile negare che da casa non ci siamo almeno lasciati andare a un sorrisetto maligno e al pensiero”Ma ben ti sta!”. Io, lo ammetto, ho fatto anche una piccola ola. E poi, vogliamo parlare del viralissimo “Look, the pie!” di Margaery, tormentone che ci insegna come trarsi d’impaccio in situazioni spinose e imbarazzanti?

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3. Il bambino e i White Walkers

Baby white walkers

Nel quarto episodio si assiste a delle scene finali piuttosto inquietanti. La storia del bambino portato ai capi dei White Walkers ci ha messo addosso un bel po’ di inquietudine, oltre a una curiosità alle stelle su cosa accadrà. Dopo anni a ricordarci che “Winter is coming”, finalmente la minaccia sembra autentica.

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4. Il processo a Tyrion

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Forse uno dei momenti più alti della serie. Peter Dinklage da standing ovation, Pedro Pascal sempre più “so fico, so bbello!” e Shae sempre più s****a. Avendo letto i libri sapevo già a cosa avrei assistito, ma confesso che mi si è stretto il cuore guardando il tradimento inflitto al povero Tyrion. Il suo monologo, pieno di rabbia, dolore e desiderio di rivincita e vendetta è stato semplicemente fenomenale e quel “I demand a trial by combat” ha generato in tutti i fan almeno 92 minuti di applausi.

5. “Tu mi porti su e poi mi lasci cadere”, il volo di Lady Lysa

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Personaggio secondario noto per essere fuori come una pigna, Lady Lysa fa una fine tra le più belle di GOT. Ovviamente ad opera di Lord Ditocorto, già intento a progettare una maniera per diventare vedovo il più velocemente possibile, che coglie la palla al balzo e lascia Lysa prima dichiarare il suo amore eterno per lui e poi librarsi in volo dalla porta della Luna. Love hurts.

6. Dark Sansa

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Ok, molti fan delle Cronache hanno storto il naso di fronte a una repentina trasformazione che non trova corrispondenti nei libri, ma bisogna ammettere che vedere Sansa compiere il passaggio da bimbaminkia a femme fataleha fatto un certo effetto. Mentre scende le scale vestita di nero e scollo di piume, in pieno stile “Black Swan”, ci si chiede se finalmente la piccola e ingenua Sansa non abbia capito come si gioca al gioco del trono.

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7. Oberyn VS the Mountain

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Come da tradizione, quando in Game of Thrones cominci ad affezionarti a un personaggio, Martin te lo stronca subito. Anche quest’anno è successo con Oberyn Martell. Arrivato ad Approdo del Re bello come il sole con l’obiettivo di vendicare la sorella Elia e fare il tour di tutti i bordelli della capitale, Oberyn si ritrova subito coinvolto in una serie di eventi piuttosto animati: testimone della morte di un sovrano, eletto consigliere di corte, giudice di un processo per regicidio e infine campione per conto dell’accusato. E per sua spontanea volontà, dato che l’avversario non è altri che Gregor Clegane– detto la Montagna e non è un’esagerazione. Oberyn, bisogna dirlo, fa lo splendido per tutto il tempo e rifiuta con arroganza anche il consiglio di Tyrion di indossare un semplice elmetto. Peccato che, proprio quando pensavamo che fosse riuscito nell’impresa, la troppa sicurezza non gli giochi un brutto tiro e in un attimo la Montagna ribalta la situazione. Ho ancora in vivido il ricordo dei denti di Oberyn che saltano, senza contare quello che succede dopo… brrr! A ben pensarci, l’elmetto non sarebbe comunque servito a nulla. Oberyn vince il premio di morte più splatter di GOT e noi quello di fan di una serie tv più traumatizzati della storia.

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8. Jon, Ygritte e il teen drama che commuove

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Il nono episodio è interamente dedicato alla battaglia al Castello Nero. Un’ora di scontri, frecce infuocate, corpi mutilati, spade trafitte, fiamme, freddo, catapulte, night watchers, giganti e chi più ne ha più ne metta. E tra uno scontro e l’altro, c’è anche spazio per un po’ di sano teen drama. Quando Ygritte e Jon si incontrano, scatta la magia e ci emozioniamo. Lei, sono otto episodi che dice di volerlo uccidere con le proprie mani, sentimento pienamente condivisibile, ma, quando se lo trova davanti, si frena e non è più sicura di cosa fare. Lui, nel pieno delle capacità espressive di Kit Harrington, tira fuori un sorrisetto idiota. Ma l’incanto viene spezzato rapidamente da un ragazzino che è stato in grado di attirarsi l’odio di tutto il fandom, la cui unica freccia colpisce al cuore Ygritte. Momenti di commozione: Ygritte ricorda a Jon i giorni della caverna e del loro amore, lui le dice che ci torneranno presto, ma lei, saggia come sempre, prima di spirare gli ripete le parole che non smetteranno mai di identificare il personaggio: “You know nothing, Jon Snow”. Lacrime.

9. Alla fine, Tywin Lannister non caga oro

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C’è poco da aggiungere alla scena più memorabile dell’ultimo episodio di questa quarta stagione. Tyrion si prende finalmente la sua rivincita, prima con Shae, e poi con suo padre Tywin Lannister, seduto su un trono che non è affatto di ferro. Che dire, Tywin Lannister era uno di quei personaggi affascinanti dal punto di vista della storia e del suo ruolo in intrighi e intreccio, reso in maniera eccezionale da Charles Dance, ma se c’è una cosa che GOT ci insegna (un’altra!) è che nessuno è indispensabile e che a Westeros è un attimo e sei bello che andato. La sua morte lascia un bel interrogativo su chi prenderà in mano le redini del comando e temo fortemente che la risposta sia Cercei.

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10. Valar Morghulis, Valar Dohaeris

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La quarta stagione è stata una carneficina. Nel lunghissimo finale season, dobbiamo dire addio anche al Mastino, che ha la peggio in uno scontro con la giunonica Brienne per la custodia di Arya. La piccola di casa Stark, sempre più bad girl, abbandona così il suo compagno di viaggio e arriva in un porto con l’idea di andare via, il più lontano possibile da quelle terre che le hanno portato solo dolore. Qui torna l’eco di Jaqen H’ghar: al comandante della nave in partenza, Arya mostra la moneta che Jaqen le aveva regalato e pronuncia le inconfondibili parole “Valar Morghulis”, che le consentono di prendere parte a un viaggio verso la città di Braavos e nuove avventure. La stagione si chiude così e noi ci chiediamo se la storia non stia per prendere una piega tutta nuova, che guarda a Oriente, dove si sta dirigendo anche Tyrion e dove c’è la nostra khaleesi Daenerys. Cosa accadrà? Per saperlo dovremo attendere quasi un anno Tragedia…

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E voi, quali sono i vostri momenti migliori di Game of Thrones?

Valar Morghulis a tutti!

Valar Morghulis A Summary of Ice and Fire: The Children of Westeros

Recommendation Monday: Consiglia un libro pubblicato l’anno della tua nascita

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Sull’onda della nostalgia il tema del Recommendation Monday di questa settimana:

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Ho deciso di consigliarvi un “classico” della narrativa contemporanea,. Chi non l’ha ancora letto, dovrebbe correre ai ripari, perché la famiglia Malausséneè irresistibile e non potrete non lasciarvi conquistare, fin da questo primo romanzo del ciclo, nato dalla penna talentuosa di Daniel Pennac, una storia di capri espiatori, (troppi) fratelli e sorelle, bombe incendiarie e orchi da sconfiggere. Recentemente ne hanno tratto anche un film che non ho ancora avuto il piacere di vedere, ma che recupererò. Uscito in Francia nel 1985 (ebbene sì, sono vecchia), in Italia è arrivato solo nel 1991 con il titolo di Il paradiso degli orchi.

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E il vostro consiglio qual è?

Buona settimana!

Serie tv: Penny Dreadful e l’intramontabile fascino del genere gotico

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C’erano Dracula, Frankenstein e Dorian Gray. No, non sto scherzando. E no, non è una storiella da quattro soldi. O forse si. “Penny Dreadful” è il nome che si dava a pubblicazioni molto in voga nell’Inghilterra del XIX secolo, simili al feuilleton o al romanzo d’appendice, solitamente storie gotiche e horror che si pagavano, un penny, appunto. Racconti sgrammaticati, enfatici, tesi al sensazionalismo, a generare paura e intrattenimento, ma che hanno comunque avuto influenza negli scrittori dell’epoca e grazie ai quali è nata tutta quella mitologia moderna dell’orrore che conosciamo ancora oggi. La serie, in onda negli States su Showtime, si ripropone di ricreare le atmosfere dell’epoca e far rivivere quelle storie entrate a far parte del nostro immaginario collettivo. Tra vampiri, lupi mannari, geroglifici e possessioni, Penny Dreadfulè una serie dal cast di primo livello, come tutte le serie migliori del momento, che fa del sublime e della ricerca estetica i mezzi con cui terrorizzarci e allo stesso tempo lasciarci conquistare dal loro intramontabile fascino.

 

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La serie è ambientata nella Londra di fine Ottocento e la città ci appare così come libri e film ce l’hanno sempre descritta: grigia, avvolta nella famosa pea supper – la nebbia verdognola che ricordava la zuppa di piselli – grottesca, inquietante, animata da personaggi misteriosi, attraversata da vicoli e stradine ai cui angoli non si sa mai cosa si possa nascondere. In questa Londra vittoriana dai toni cupi e fumosi, sir Malcom Murray (Timothy Dalton) è alla ricerca di sua figlia Mina, rapita da un essere mostruoso e assetato di sangue. Nell’impresa lo aiutano Miss Vanessa Ives (Eva Green), amica intima di Mina e, per non  farsi mancare nulla, sensitiva, Ethan Chandler (Josh Hartnett), un cowboy americano dal passato altrettanto misterioso, e il dottor Victor Frankenstein, alle prese con i suoi studi per sconfiggere la morte e tirato dentro la vicenda come esperto di corpi umani e stranezze varie.

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Ok, detta così pare una “cagata pazzesca”. E, in effetti, non si può dire che sia la trama in sé il vero punto di forza della serie. La scrittura non è originalissima, considerando che la storyline principale prende a piene mani dalla già citata tradizione gotica e horror dell’ottocento letterario. Ci sono i mostri succhia sangue, il misterioso Egitto con il suo Libro dei Morti e le promesse apocalittiche, l’Uomo Moderno di Frankenstein, licantropi che girano liberi per le strade della città, l’ombra di Jack lo Squartatore, uomini immortali dalle fantasie perverse e desideri grotteschi. Se siete fan dei rimandi (più o meno) colti e dei giochi intertestuali, come me, probabilmente sarete già pronti per vedere il pilot e tuffarvi in una dimensione che riesce ancora a intrigare a distanza di più di un secolo. Tuttavia, la serie riesce a dimostrare anche una sensibilità particolare nelle linee secondarie e nell’approfondimento dei personaggi, come per la storia tra Chandler e Brona – raccontata con inaspettata grazia, la cui delicatezza contrasta meravigliosamente con la brutalità del mondo esterno – o come per il personaggio di Vanessa Ives, disturbante al punto da rubare la scena a tutto il resto più di una volta nel corso degli episodi.

penny dreadful frankenstein

Quello che però che caratterizza e rende la serie interessante e molto godibile è la sua ricercatezza estetica, quella ricerca del bello che si manifesta in unacura della fotografia  e un’attenzione per i dettagli degna delle migliori produzioni e che si ricollega così bene alla corrente dell’estetismo che tanto era amata dai filosofi e artisti dell’epoca – e non a caso nella serie sia presente il dandy per eccellenza Dorian Gray, il quale vive in una casa, piena di belle cose, di musica, arte, quadri, dove si celebrano l’eccentrico e il piacere, cardini della sua esistenza, e nascondono agli occhi dei curiosi ciò che di autentico c’è nella vita dell’uomo, un quadro che invecchia e muore al suo posto. Bellezza e morte, d’altronde, sono sempre stati legati tra loro in maniera indissolubile e non è un caso che il sublime nasca di fronte al sentimento che l’uomo prova per qualcosa che va oltre la sua comprensione e che risulta pericoloso eppure irresistibile. Il genere gotico ben si presta a interpretazioni del genere e il ricreare atmosfere e ambientazioni di quel tipo fa sì che Penny Dreadful possa essere una produzione quasi artistica e dai toni poetici, con pretese molto più alte di quelle che ci si aspetta da serie del genere.

penny  dreadful dorian gray

Il personaggio di Vanessa Ives, vero perno della storia, va letto in questo senso. Eva Green, star indiscussa della serie, mette in mostra una bellezza preraffaellita, eterea e sensuale allo stesso tempo, mentre conferisce al personaggio un bagaglio di emozioni ricco e articolato e una caratterizzazione enigmatica e complessa che genera inquietudine e incommensurabile fascino nello spettatore, grazie anche a una fisicità straordinaria dell’attrice, che tiene le redini di ogni sua scena con pathos e grande consapevolezza.  Vedere la scena della seduta spiritica o il quinto episodio per credere. Ci piace anche Josh Hartnett–che io avevo dato per disperso come neanche il suo personaggio ai tempi di Pearl Harbour–, che sa dare al suo cowboy un risvolto diverso dal solito luogo comune dell’americano in visita nel vecchio continente e ci fa commuovere con lalove story con Brona, mentre monta la curiosità per conoscere il suo misterioso passato (anche se qualche teoria già ce la siamo fatta e attendiamo la conferma… ahuuu!).

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Quali sono le zone d’ombra di Penny Dreadful? Paradossalmente, è proprio il suo più grande punto di forza a rivelarsi anche una fonte di debolezza per la serie. La ricerca formale e il votarsi a una messa in scena raffinata ed elegante potrebbero far perdere alla storia la possibilità di crescere e di evolversi in maniera indipendente e originale, con il rischio che, in piena adesione alla corrente estetica, “l’arte per l’arteintrappoli la serie nelle strutture standard e nelle etichette già ampiamente utilizzate del genere horror, a discapito del fatto che la serie possa avvalersi di nomi importanti nel settore dell’autorialità televisiva e cinematografica, come Sam Mendes, John Logan e Juan Antonio Bayona (che ha diretto i primi due episodi), indubbiamente capaci di realizzare prodotti di notevole spessore. In Penny Dreadful tutto deve avere un impatto immediato nello spettatore, bisogna spaventare il pubblico, nel modo più terrificante possibile, con il pericolo sempre in agguato che gli intrecci risultino superficiali, o peggio ancora, prevedibili.

Penny.Dreadful.eva green

Eppure. La mancanza di una scrittura del tutto autentica, in una serie come Penny Dreadful, sembra quasi a passare in secondo piano, o quanto meno, non avere la preminenza che avrebbe in altre serie, soggiogati come siamo da una rappresentazione impeccabile. Luci, colori, oggetti di scena, i costumi… Londra è un grande teatro, un palco su cui si affacciano personaggi fantastici ai quali fin da subito votiamo la nostra attenzione e fascinazione. E allora, basta la bravura della Green e la sua comparsa sullo schermo mentre assume le sembianze stravolte della medium posseduta, per conquistare tutti.

penny dreadful seduta spiritica

Consigliata in particolare agli amanti del genere, Penny Dreadfulè una serie che turba e confonde, ma che allo stesso tempo intriga, per i misteri che vuole raccontare e per gli enigmi di cui è composta, primo fra tutti se Penny Dreadfulè la banale storia di mostri terrificanti e della solita lotta tra bene e male o se lo show si rivelerà essere quel prodotto di qualità che vuole farci credere di essere e regalarci qualcosa di più di un semplice, per quanto piacevole, spavento. Intanto, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione. Da paura.

Recommendation Monday: Consiglia un libro ambientato su un’isola

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Buon lunedì! Il Recommendation Monday di questa settimana è il seguente:

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Se penso a isola, le opzioni sono diverse, considerando che anche alcuni paesi e regioni del mondo sono isole (quindi per i vostri consigli sarà molto facile) Tuttavia, io ho deciso di rimanere sul classico e consigliare un libro che mi colpì tantissimo e che mi piacerebbe venisse letto più spesso. Nel suo romanzo, l’autore fa di un’isola deserta, abitata solo da ragazzini arrivati lì a causa di un incidente aereo, una metafora amara della condizione umana. Un racconto distopico, su quegli impulsi e istinti arcaici che l’uomo tenta di ingabbiare nelle convezioni sociali, ma che a volte riemergono con incredibile ferocia. Una lettura che fa riflettere e non vi lascerà indifferenti. Il RM di oggi è Il Signore delle Mosche di William Golding.

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E il vostro consiglio qual è?
Buona settimana!

Una Fragola al mese: Giugno 2014

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Eccoci di nuovo con il solito appuntamento mensile. Giugno, come è andata? Scopriamolo!

I libri di giugno

A giugno ho stabilito un record in negativo. Nessun libro finito. Ho tre letture in itinere, ma sono lontana dalla conclusione per tutti e tre. Giugno è stato un mese decisamente impegnativo, a livello lavorativo, tra scuola ed esami (non miei, ma comunque impegnativi), spostamenti su e giù tra Torino e Bologna, imprevisti, ricerca casa e tanti pensieri negativi che affollavano la mia mente. Il risultato è stato una scarsa concentrazione nella lettura e una stanchezza che mi coglieva al solo girar di pagina. Solo da qualche giorno sto ritrovando un certo ritmo e spero che luglio sia un mese proficuo per le letture.

Intanto i miei in lettura sono:
  • Villette di C. Bronte. Iniziato ad aprile, abbandonato, ripreso a metà maggio, a giugno in sospeso. Non sapete che frustrazione. Io amo la Bronte e la sua scrittura, ma non so se non è periodo o cosa, ma il libro non scende. E sì che mi avevano detto fosse più bello di Jane Eyre. E in effetti, non credo sia colpa del libro. Questo stato di empasse dimostra la veridicità della teoria per cui un libro sbagliato al momento sbagliato è una mazzata sui denti più che un piacere. Ho deciso di lasciarlo sedimentare fino a settimana prossima, quando le acque si saranno nuovamente calmate, e di riprovarci con la mente meno ingombra di pensieri. Vedremo come andrà a finire…
  • A sud del confine a ovest del sole di H. Murakami. Altro autore che adoro e il libro mi prende tanto. Infatti, da qualche giorno più libera, è stato un gran piacere rituffarsi dento la sua storia. Credo che lo finirò a breve. Credo.
  • I fratelli Karamazov di F. Dostoevskij. Arriviamo al nostro gruppo di lettura. Un mattonazzo per l’estate. Le insidie erano naturalmente dietro l’angolo. Ovviamente, come fu per Hugo, io sono già indietro di almeno una tappa. Ma a differenza del caro Victor, la scrittura del Dosto è molto più scorrevole, ha un piglio più energico, una sottile ironia e non ci sono le digressioni infinite su storia e religione presenti invece nei Miserabili. Datemi una settimana e potrei essere in ripresa. Potrei.

Faccio cose, vedo gente

Durante una delle mie incursioni torinesi, sono andata a vedere la mostra “Preraffaelliti. L’utopia della bellezza”. Ci tenevo a questa mostra, perché ho sempre avuto una predilezione per questa corrente artistica fuori dagli schemi, di una bellezza unica, una delle espressioni più autentiche del periodo vittoriano. La mostra, presso Palazzo Chiablese fino al 13 luglio, è un percorso suggestivo tra i 70 capolavori della confraternita preraffaellita solitamente custoditi alla Tate Gallery di Londra. Ci sono tutti: Ford Madox Brown, Edward Coley Burne-Jones, John Everett Millais e Dante Gabriele Rossetti. La mostra si struttura in aule tematiche, che mettono l’accento sui vari momenti della corrente e sulle tematiche principali a cui i pittori preraffaelliti si dedicarono: il rifiuto del concetto di arte imposto da Raffello in poi e il recupero di un’espressione artistica colma di richiami non solo biblici ma anche letterari, in particolare a Shakespeare e Dante, fiabeschi e sociali, contraddistinta da una forte componente simbolica e da un’estetica raffinata e attenta ai dettagli, dove i concetti di vita e arte si fondono in un un unico artistico di straordinaria bellezza.

preraffaelliti

Le atmosfere sono malinconiche, nostalgiche, decadenti. Forse per questo ho sempre trovato i preraffaelliti così ben integrati con il loro periodo storico, perfetti se si pensa alla società inglese dell’epoca e a quello che succedeva in letteratura o in altre correnti vicine alla confraternita, decadentismo, simbolismo, estetismo.
Opere  come Ophelia o Beata Beatrix sono per me poesia tradotta in forme e colori e la storia che vi è dietro, i retroscena che legavano le vite dei pittori della confraternita inestricabilmente, aggiunge fascino a dipinti già di per sé così attraenti. La modella per entrambi i dipinti, infatti, è Elizabeth Siddal, modella prediletta dei preraffaelliti, perché incarnazione del loro ideale di bellezza, etereo e seducente. La Siddal si innamorerà poi di Rossetti e lo sposerà nel 1860, un matrimonio che la porterà a manifestare liberamente la sua arte. Anche lei, infatti, era pittrice nonché poetessa, e la mostra di Torino ospita alcune delle sue tele, sicuramente influenzate dall’opera del marito, ma che mostrano una sua identità ben precisa. Purtroppo, la Siddal morirà prematuramente a causa di una salute cagionevole e di una forte depressione che si crede l’abbia condotta al suicidio. La sua salute era peggiorata in seguito alla realizzazione da parte di Millais di Ophelia, il quadro manifesto della corrente preraffaellita. Durante le sessioni di posa, Elizabeth fu costretta a rimanere per ore immersa in una vasca da bagno e lei resistette anche quando si ruppero le lampade che servivano a riscaldare l’acqua. In seguito all’incidente, la Siddal si ammalò di una bronchite acuta, mai curata del tutto.

beata-beatrix-1880Dopo la sua morte, Rossetti le dedicherà una delle sue opere più famose, Beata Beatrix, dove Elizabeth Siddal presta la sua figura a Beatrice Portinari, così come viene descritta da Dante nella Vita Nuova nel momento della sua morte. E lì, davanti a questo quadro, che finalmente mi è stato chiaro il concetto di amore idealizzato da Alighieri e mi sono commossa pensando all’amore che Rossetti ha voluto esprimere con questa sua opera, un sentimento arrivato intatto fino a noi, e chiunque abbia visto questo quadro non potrà non avvertilo al sol guardare il volto di Beatrice o la luce che illumina i suoi capelli rossi, dello stesso colore dell’uccello rosso simbolo dell’amore. Emozione.
La mostra è corredata anche di un interessante video-commento in cui si raccontano le storie dei pittori preraffaelliti e l’impatto che a corrente ha avuto sulle generazioni avvenire e le espressioni artistiche moderne. Ho adorato la connessione tra preraffaelliti e la cultura gotica e dark così in voga negli anni ‘80 oppure con i film di Tim Burton! La sposa cadavere come la donna preraffaellita, perché no?
In definitiva, sono molto soddisfatta della mostra. Temevo fosse uno specchietto per allodole, uno di quegli eventi pompati al massimo ma che non avrebbe mantenuto le promesse, e invece mi sono ritrovata in un viaggio bellissimo all’interno di una corrente rivoluzionaria di grande fascino.



Il sito del mese

Gironzolando sul web mi sono imbattuta su questo blog intitolato “Libri nei film”. E me ne sono innamorata. Al suo interno, infatti, troverete segnalazioni su diversi film e i libri che vi compaiono. “Si tratta di libri che vengono presi in mano o che sono letti dai personaggi, libri che si vedono abbandonati su tavoli o sono in bella vista su comodini, oppure libri che magari non si vedono ma vengono citati dai personaggi del film” dice l’ideatore del blog, “Non voglio credere che la loro presenza sia semplicemente dettata dal caso, ma ritengo che in qualche modo la loro presenza sulla scena oltre a “connotare la formazione del regista” li rende inconsapevolmente partecipi della storia.” Un pensiero assolutamente condivisibile: chi, guardando un film in cui un personaggio sta leggendo un libro, non ha tentato di sbirciarne il titolo? Lo trovo un progetto assolutamente delizioso, a cui può partecipare chiunque inviando suggerimenti a: librineifilm@gmail.com

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La musica che mi frulla intesta

Questo mese mi sono concessa due concerti, gratuiti e goduriosi. Il primo è stato quello di Brunori Sas, che ha inaugurato con il suo concerto il Botanique Festival di Bologna. Mi piace la musica di Brunori, il suo raccontare uno provincia che non è mai banale o stantia, ma si rivela fucina di pensieri e idee. Con i suoi tre album, Brunori ha cantato il suo passato, la realtà che lo circonda e infine se stesso, nell’ultimo album intitolato “Il Cammino di Santiago in taxi”. Molti considerano quest’ultimo lavoro troppo gloomy, triste e fin troppo intimista rispetto alla sua precedente produzione; io, invece, lo trovo perfettamente in linea con il suo percorso e la sua crescita umana e artistica. A me una canzone come Arrivederci tristezza mi ammalia e l’ascolterei tutte le sere. Per quanto riguarda il concerto, era la prima volta che ascoltavo Brunori dal vivo e devo dire che lui è bravo e simpatico, sa intrattenere il pubblico e il tempo vola letteralmente. Ha cantato le canzoni dell’album nuovo che le canzoni  più amate dei dischi vecchi: Come stai, Lui, lei Firenze, Guardia ‘82, ecc. Che ve lo dico a fare, da prima del suo concerto fino a pochi giorni fa, la sua musica è risuonata nella mia testa e non solo, quindi il mese di giugno è soprattutto dedicato a lui.



Altro concerto è stato quello dei Zen Circus. Tralascio il fatto di essermi sentita vecchia come in pochi altri momenti della mia vita, in particolare quando hanno cominciato a pogare e io mi sono defilata il più indietro possibile per paura di finire nella calca (non che prima ci sguazzassi in situazioni del genere, ma se mi ci trovavo…), ma il concerto è stato un adrenalinico mix di canzoni vecchie e nuove. Ammetto che il loro ultimo disco, Canzoni contro la natura, non mi ha fatto impazzire, ma mi sono divertita tantissimo ed è stata una serata decisamente elettrizzante. con picchi notevoli su canzoni come Andate tutti affanculo, da sempre un manifesto più che un invito. E il rock italiano ha alternato il cantautorato italiano in questo giugno 2014.




E con questo è tutto gente. Buon luglio!

Recommendation Monday: Consiglia un libro che abbia a che fare con i treni

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Buon lunedì! Il Recommendation Monday di questa settimana lo dedichiamo a un mezzo di trasporto:

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Il treno è una mia vecchia conoscenza. Se penso a tutti i treni che ho preso negli ultimi dieci, potrei sentirmi male e decidere di non salire mai più su un vagone. Su e giù, giù e su, ne ho visto di cose dai finestrini (perché il posto è rigorosamente quello al finestrino, altrimenti come le passi 4,5,7, 10 ore?). Perché allora non dedicarci un RM? E allora eccoci qui. Anche questa settimana mi butto sul classico, dopo che Margherita di Nulla di Preciso mi ha fatto ritornare in mente questa lettura (da lei recensita meravigliosamente). Il libro di cui vi parlo è opera di uno degli autori russi che più amo in assoluto e racconta la storia di un uomo che durante un viaggio in treno rivela a un ignaro passeggero il suo terribile segreto. Un libriccino con dentro di tutto, dalla religione alla morale, passando per i sentimenti, l’amore e le umane miserie. Una tensione drammatica sapientemente costruita che, nonostante le digressioni moraleggianti frutto di una conversione dell’autore un bel po’ pesantucce, riesce a tenere il lettore incollato alle pagine fino a quell’atto finale che mette in evidenza tutto il genio letterario e la sapienza narrativa del nostro autore. Il libro di questa settimana è Sonata a Kreutzer di Tolstoj.

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E il vostro RM qual è? Buona settimana!


#Soundintrip, le canzoni dei miei viaggi

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Trovo sul blog di Lila questo giochino e dato che era da un po’ che non facevo liste, mi è sembrato carino approfittarne.

#Soundintrip. L’obiettivo è semplice: condividere cinque brani musicali che sono stati colonna sonora di altrettanti viaggi. Tutto pronto? Si parte.

1.My Immortal– Evanescence. Era il lontano 2004 e io andavo in gita a Vienna con i miei compagni di classe. Ricordo che gli Evanescence all’epoca mi piacevano parecchio e avevo passato l’inverno ad ascoltare questa canzone. Canzone che mi ha accompagnato anche durante quel mio primo viaggio all’estero, dato che volevo anche comprarmi il loro CD a un prezzo da ridere al mercato delle pulci del Naschmarkt. Poi credo, invece, di aver comprato troppe palle di Mozart.

2.Colgando en tus manos– Carlo Baute. Praticamente la canzone ufficiale di tutto il mio Erasmus a Madrid. Nell’inverno 2009/2010 questa canzone era popolarissima in Spagna, la cantavano tutti, grandi e piccini. Durante la settimana di vacanza a Barcellona che io e la mia amica di Erasmus e collega alla Universidad Carlos III Madrid - siempre en mi corazon– ci regalammo per premiarci della sessione esami superata egregiamente, nonostante fossimo sbronze una sera si e l’altra pure… dicevamo, durante la suddetta vacanza ricordo una serata in un locale fichissimo del Barrio Gotico, dove abbiamo ballato per tutta la notte rock, indie e divertentismo vario (c’era pure la Carrà in salsa spagnola), e a fine serata (circa le sei del mattino) mettono su questo brano scatenando il giubilo dell’intero locale. Che meraviglia. Se la sento ancora oggi, mi viene da piangere per la nostalgia.

3.Misread– Kings of Convenience. Viaggio a Oslo e non poteva mancare il duo norvegese famoso per questa canzone datata 2004, ma io il viaggio l’ho fatto nel 2010. Sempre sul pezzo, si. Comunque mai brano fu più adatto a un luogo. Oslo è questa canzone e viceversa, forse la canzone è un po’ più sofisticata e intellettualoide, ma la calma e la pace sono proprio quelle di un meraviglioso e rilassante giro tra i fiordi norvegesi. Ad oggi, Oslo è il punto più a nord dove la vostra Fragola ha messo piede. #sapevatelo

4.Call me maybe– Carle Rae Jepsen. Il 2012 mi ha visto per la prima volta nei panni di Group Leader di un soggiorno studio. In quel di Walsall, Birmingham, UK, Mondo, mi sono ritrovata con altri 10 sprovveduti come me a gestire 130 ragazzini con gli ormoni a mille e la voglia di fare casino. I ragazzi non dormono mai, non vogliono mai studiare l’inglese per cui sono arrivati fin là ma solo rotolarsi sui prati, vogliono mangiare solo pizza e bere frappuccino di Starbucks da un litro (per poi lamentarsi per tutto il viaggio di ritorno che devono andare in bagno, ma l’autista inglese una volta partito non si ferma mai, quindi te la tieni), fare shopping che tanto pagano mamma e papà, farsi la foto con i modelli di Abercrombie e comprare l’ennesima t-shirt all’Hard Rock Caffè. Però sono allegri, solari, svegli, simpatici, timidi, un po’ tonti, a volte ingenui, altre molto furbi, affettuosi, musoni, energici, spensierati e passare 15 giorni con loro ti riempie di vita, fai un carico di energia che ti basta per l’inverno. E poi ci sono i tuoi colleghi, che se sei fortunata becchi delle persone meravigliose che diventano nuovi amici con cui intessere bellissimi rapporti. Call me maybeè diventata la canzone simbolo di quella prima volta e non solo, i viaggi studio da “adulta” me li ricorderò sempre con questa canzone cretina in testa. So call me maybe.

5.Alfonso– Levante. Finale tutto italiano per l’ultima posizione di questa lista. Da dedicare alla mia vacanza maremmana della scorsa estate. Quattro amici che da Torino partono all’avventura della Maremma, ospiti di una delle toscane più toste che io abbia mai conosciuto, la migliore. Abbiamo fatto su e giù tra splendide colline e spiagge bellissime, locali un po’ tamarri e suggestive sagre medievali, e in macchina sempre e solo lei, Levante, a ricordarci “Che vita di m****!”, da cantare rigorosamente a squarciagola mentre sorpassiamo l’ennesimo meraviglioso campo di girasoli. Le vacanze da incorniciare.

E con questo è tutto gente. Il prossimo viaggio è ancora work in progress, la colonna sonora pure, ma sono sicura sarà fantastico.

E il vostro #soundintrip qual è?

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Serie Tv: The Leftovers, la serie per chi resta

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L’estate ci porta una delle serie più attese dell’anno, The Leftovers, un vero e proprio evento ancor prima di andare in onda. Forse saranno i nomi che l’anticipano, sia alla sceneggiatura – con Tom Perrotta, autore del libro da cui è tratta la serie (in Italia il libro è pubblicato da Edizioni e/o con il titolo di Svaniti nel nulla), e lo showrunner Damon Lindelof, già tra gli sceneggiatori principali di Lost (a cui, pare, dobbiamo l’idea del fumo  nero e buona parte del finale) – che per quanto riguarda gli attori, tra cui spiccano Justin Theroux, per i gossipari noto come il fidanzato di Jennifer Aniston, ma è anche lo sceneggiatore di Iron Man 2, e la bella Liv Tyler, che ha lasciato le orecchie a punta da elfo nel cassetto e, dopo un periodo lontano dallo showbiz per stare vicino al pargolo, riparte dalla tv. Oppure, potrebbe essere per l’atmosfera misteriosa che molti hanno paragonato a Twyn Peaks– dovuta alla storia alla base delle vicende narrate, che vede gente sparire nel nulla senza alcuna ragione logica, e di misteri che siamo sicuri resteranno tali –  e per le tematiche legate alla perdita e alla riflessione sullavita e la morte, così in voga tra le serie televisive degli ultimi tempi, pensiamo, ad esempio, a show come Resurrection. Insomma, i motivi potrebbero essere molti. Quello che sappiamo è che The Leftoversè una serie dalle grandi promesse e ambizioni, dalle dinamiche nebulose e surreali e dalla prospettiva insolita, apparentemente già vista, ma che in realtà può andare oltre, molto oltre, e aprire nuove insospettabili strade.

 

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The Leftovers parte da un evento tanto misterioso quanto angosciante. Il 2% della popolazione mondiale sparisce all’improvviso, letteralmente smaterializzandosi senza un motivo che risponda alla logica o ad alcuna legge fisica. La scomparsa genera il caos in tutto il mondo e molti la collegano a una delle predizioni presenti nella Bibbia, denominata “Rapimento della Chiesa”, secondo cui le persone scomparse sono state scelte da Dio per essere salvati e vivere nella sua grazia. Molti altri non accettano una tale versione dei fatti e cercano un’altra ragione, sebbene nessuno sappia nulla delle persone scomparse, né scienziati, ne capi di governo e neppure capi spirituali delle varie confessioni. L’azione si sposta subito a tre anni dopo la sparizione, mentre lo spettatore viene mitragliato dalle voci dei notiziari che tentano di farci il punto della situazione, pur lasciandoci nella confusione e interdizione più totale, e ci ritroviamo a Mapleton, piccola cittadina del New Jersey che pare sia stata particolarmente colpita dal “Rapimento”.

the leftovers

Facciamo così conoscenza di Kevin Garvey (Justin Theroux), capo della Polizia di Mapleton, e della sua famiglia. Sarà proprio la famiglia di Kevin la cartina tornasole con cui immergerci nella vita della cittadina completamente stravolta dall’evento. Quello che non ci aspettiamo è, tuttavia, una confusione visiva che ci trasmette un altrettanto smarrimento emotivo. Scene tra passato e presente si affastellano per presentarci una condizione presente quanto mai disarmante. La moglie di Kevin, Laurie (Amy Brenneman), in seguito a una crisi dovuta al Rapimento, abbandona la famiglia per unirsi ai Guilty Remnant, “I sopravvisuti colpevoli”, che hanno fatto del loro essere rimasti su questo mondo una colpa da espiare attraverso il rifiuto della parola, l’abbandono di ogni abitudine della loro vecchia vita, anche quelle più salutari, sottolineata dall’obbligo che gli adepti hanno di fumare come ciminiere, il vestirsi con tute bianche e tutte uguali, per mettere in evidenza una condizione che accomuna tutti coloro che non sono scomparsi, condizione in cui ogni differenza non ha ormai più alcun significato. Anche il figlio Tom (Chris Zylka) si è avvicinato a una setta, guidata da un misterioso guru, ha abbandonato il college e non parla con suo padre da mesi. L’unica persona rimasta accanto a Kevin è la figlia Jill (Margaret Qualley, la bellissima figlia di Andie MacDowell), la piccola di casa che si ritrova a dover convivere e crescere con una situazione familiare completamente stravolta, al punto che, sebbene nessuno dei suoi cari sia realmente scomparso, anche lei può essere considerata vittima del Rapimento.

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Con una tale situazione alle spalle, Kevin cerca di andare avanti come può, sebbene continui a scontrarsi con ciò che è stato, non riuscendone mai a venirne a capo, sia nel suo lavoro – e in tal senso va vista la reazione violenta alla parata nel Giorno degli Eroi quando, al tentativo della popolazione di Mapleton di superare la scomparsa dei loro cari con una giornata a loro dedicata, si contrappone la protesta silenziosa dei Guilty Remnants – sia nella sua vita privata, dove la comparsa dell’uomo senza nome che dà la caccia ai cani dai padroni scomparsi diventa valvola di sfogo ma anche l’ennesimo mistero irrisolto con cui avere a che fare, e forse, grazie al quale non pensare più a tutto il resto.
Accanto a Kevin e la sua famiglia, la figura di Meg Abbott, interpretata da Liv Tyler, il cui ruolo non è ancora del tutto ben chiaro e l’unica cosa che sappiamo con certezza è che i Guilty Remnants cercano di reclutarla tra le loro schiere a tutti i costi.

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Ancora Guilty Remnants. Gli inquietanti uomini e donne in tuta bianca, che percorrono silenziosamente le strade della città alla ricerca di nuovi adepti e con il compito di perpetrare la memoria, sono probabilmente la chiave per capire l’intero show e ciò che la rende particolare. The Leftovers, lo si può capire già dal titolo, non indaga sul mistero della scomparsa, non si preoccupa dei “rapiti”, o perlomeno se ne occupa solo in parte, perché i veri protagonisti sono loro, quelli rimasti, amici e parenti degli scomparsi che devono fare i conti con il dolore per l’abbandono, il distacco e l’impossibilità di dare una spiegazione razionale a questa perdita, la quale diventa ingestibile e spinge i superstiti a reagire nei modi più diversi, dall’accanimento religioso all’incapacità di darsi pace. Ma accanto al dolore, il sentimento più forte che emerge è quello della rabbia, una rabbia sorda e cieca, dettata dall’insensatezza di ciò che è avvenuto, che rende imperscrutabile tutto ciò che verrà dopo. Come dice il tagline della serie, lo stato di grazia è finito. E il non sapere cosa ci sarà in questo mondo post-apocalittico non fa che rendere l’atmosfera più angosciante che mai.

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The Leftovers, prodotta da HBO, in onda negli Stati Uniti dal 29 giugno e in Italia dal 3 luglio su Sky Atlantic, è una serie che non passa inosservata, dalla scrittura corposa e pesante, tutt’altro che facile da seguire, dai dialoghi secchi, fatti di frasi interrotte, parole non dette, lunghi silenzi, dai personaggi tormentati e straziati dalla mancanza di speranza, ormai tramutata in rabbia e dolore. L’effetto prodotto è quello di generare una profonda inquietudine nello spettatore, a cui è impossibile rimanere indifferenti, ma anche di intrigarlo con un ventaglio di possibilità decisamente ampio. Ormai tutto può succedere.

Chi ama il mistero e le situazioni ai confini della realtà con The Leftovers potrebbe aver trovato pane per i suoi denti, ma la serie può essere seguita anche da tutti gli altri, per quel sondare nell’animo umano che porta a galla ataviche paure, ma anche turbamenti, timori e sentimenti con cui tutti prima o poi avremo a che fare, per quella comunanza di emozioni con cui ci ritroviamo a pensare che, un giorno, anche noi potremo essere “quelli lasciati indietro”.

Recommendation Monday: Consiglia un libro che porterai con te in vacanza

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Buon lunedì! Nuovo appuntamento con Recommendation Monday, questa settimana in tema vacanziero:

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Capita che, quando si va in vacanza, nella valigia del lettore ci sia spazio non per uno, ma per una serie di libri da godersi sulla spiaggia o in montagna, in viaggio o anche semplicemente nel giardino di casa. Finalmente abbiamo del tempo libero a disposizione, possiamo dedicarci interamente ai nostri amici di carta. E capita anche che, nel fare la lista, sappiamo già (o almeno speriamo vivamente!) quali libri ci regaleranno le ore migliori. E ti viene la voglia di dire a gran voce che non vedi l’ora di leggere quel libro e che, anzi, dovresti leggerlo anche tu. Un sentimento del genere io ce l’ho con Stoner di John Williams. L’avete letto tutti, ne avete dette meraviglie, e chi non l’ha letto vuole leggerlo al più presto come me. La mia copia è già destinata alle mie letture vacanziere d’agosto, ma intanto sento di volevo consigliare anche a chi ancora non ne ha mai sentito nominare. Leggiamo Stoner di Williams, magari con un bel bicchiere di tè freddo accanto che è la morte sua.

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E il vostro RM di questa settimana qual è?

I 10 migliori film estivi (da vedere e rivedere anche con 40 gradi all’ombra)

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Alcuni li conosciamo da quando eravamo degli infanti. Altri li abbiamo scoperti molti anni dopo. Qualcuno non l’abbiamo mai visto, altri sono da recuperare assolutamente. Alcuni sono in replica da sempre e ci annoiano un po’. Altri solo da qualche anno, ci imbattiamo in loro sorpresi nel nostro flemmatico zapping d’agosto e decidiamo di guardarli per pigrizia estiva, magari scoprendo delle perle. Altri ancora non smetteremo mai di guardarli con piacere. I film estivi sono quel fenomeno socio-culturale che si risveglia ogni anno a giugno, al termine della “stagione televisiva” e naturalmente si spegne con gli ultimi falò sulla spiaggia a fine agosto (che immagine anni ‘90). Film in tv ma anche film per cui non abbiamo trovato tempo e che d’estate ci appaiono come la soluzione perfetta per combattere l’indolenza estiva e trascorrere piacevolmente quelle notti in cui fa troppo caldo per chiudere occhio.

Dato che sono un animo nostalgico e che sono ancora una volta costretta a soffrire di caldo in città, mentre molti di voi se la spassano al mare o in montagna o dove volete, il mio pensiero ai film che mi fanno compagnia da sempre tutte le estati non poteva mancare. Ecco allora (senza alcun ordine di merito) la mia personale Top 10 dei film da vedere d’estate.

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1. Via col Vento.  Di solito lo danno in due serate, così Rai 1 si mette l’anima in pace e può riservarsi l’artiglieria pesante (l’ennesima fiction sull’Italia del boom economico o sul prete che vive nel paesino con il tasso di criminalità di Caracas) per la settimana successiva. So bene che molti di voi nel leggere il titolo hanno storto il naso, ma davvero non credo ci sia meglio di un’interminabile notte d’afa estiva per guardare un classico senza tempo che vi rapisce fin da quelle prime scene della festa alle Dodici Querce. E poi come si fa a resistere al fascino di Rhett Butler (Clark Gable) anche solo di sfuggita? Rossella (Vivien Leigh) poi, un personaggio antipatico almeno per l’80% del film, ma che riesce inevitabilmente a conquistarci – anche perché Melania non si regge con tutta quella bontà e fiducia nel prossimo. Insomma, non dico sia una passeggiata, ma è una di quelle visioni che riempiono gli occhi e il cuore, da fare almeno una volta nella vita.

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2.Dirty Dancing. Lo so che qui è partita la ola da qualcuna di voi, questo è un film che ha fatto storia e che moltissime ragazzine hanno amato e continuano ad amare. Non è uno dei miei film preferiti, non lo è stato per molto tempo perlomeno, ma è un altro di quei classici imperdibili d’estate e l’atmosfera vacanziera del film contribuisce a creare un ulteriore legame con questa stagione. Un Patrick Swayze mitico, forever in our hearts, ci trascina inesorabilmente sulle note dei suoi “balli proibiti” (questo il sottotitolo italiano) mentre ormai storiche sono la colonna sonora “(I've Had) The Time of My Life”, la scena del volo dell’angelo e la frase cult “Nessuno mette Baby in un angolo”. Se volete saperne di più sul resort in cui è ambientato il film, vi lascio il post di Silvia (anzi due post) e ovviamente vi consiglio una visione del film al più presto.

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3.I diari della motocicletta. Uno dei film che ho più amato in gioventù e che continuo ad amare. La storia di un viaggio straordinario lungo il Sudamerica in compagnia di un giovane Ernesto “Che” Guevara e il suo fidato amico Alberto Granado, ispirato dal diario di viaggio di Ernesto intitolato Latinoamericana. Un film che dosa sapientemente il sapore on the road del viaggio di due giovani e spensierati amici e il significato simbolico e universale che quel viaggio rappresentò per la figura del Che. Gael Garcia Bernal bellissimo e bravissimo, convince sempre con quel suo fare credibile e sincero. Un film che incontrerete tra tv generalista e canali digitali e se non lo incontrate, vi consiglio di recuperarlo lo stesso. Vi conquisterà e, anche se sarete spiaggiati sul vostro divano, vi sembrerà di viaggiare anche voi a bordo della Poderosa.

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4.Into the Wild – Nelle Terre selvagge. Sempre in tema di viaggi. Into the Wild, che racconta la storia vera di Christopher McCandless e la sua avventura lungo gli States fino alle terre sconfinate dell’Alaska, è un film in cui si respira a pieni polmoni libertà e  il desiderio di lasciarsi dietro tutte le scorie della routine quotidiana per intraprendere il Viaggio, alla scoperta del mondo ma anche si se stessi. Happiness only real when shared.

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5.Sex and the City – Il Film. Ma anche la serie. Tanto lo sappiamo che La7 ha come politica quella di inserire episodi di SATC non appena ha un buco nella programmazione, con la sicurezza di ottenere un numero di ascolti di tutto rispetto. D’altronde, ci sono episodi che potrebbero mandare in onda anche doppiati in uzbeko e li guarderemmo comunque, ormai conosciamo le battute a memoria! Per quanto riguarda il film, mi riferisco naturalmente al primo – il secondo è stata una trovata commerciale di dubbio gusto – perché, nonostante non mi abbia soddisfatto del tutto, è la conclusione tanto attesa di una serie che ha fatto storia e ha dentro tutto quello che abbiamo amato delle 4 amiche più glam della tv. Un film leggero e divertente, per una serata di relax dopo una giornata torrida e sfiancante, naturalmente con stile.

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6.La finestra sul cortile. Mi capita spesso di associare Hitchcock con l’estate. Sarà che ricordo pomeriggi abbracciata al ventilatore o sotto il condizionatore, mentre faccio zapping in tv e becco uno dei suoi film e finisco per guardarmeli goduriosamente. Sarà che un brivido lungo la schiena con questo caldo è qualcosa di piacevole da agognare. Ad ogni modo, uno dei film che amo di più, scoperto proprio in una di queste estati, è La finestra sul cortile, che tra le tante cose è anche ambientato d’estate, quindi pienamente in tema. C’è poco che io posso aggiungere a quello che sapete e conoscete di questo film, un vero capolavoro della storia del cinema (e qui Grace Kellyè stupenda).  Quello che posso fare è consigliarvene caldamente la visione.

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7.Vicky Cristina Barcelona. Un film che amo molto, sia perché è girato nella mia amata Spagna, sia perché credo sia uno dei migliori film di quelli di Woody Allen in Europa. Due turiste americane (Scarlett Johansson e Rebecca Hall) sbarcano per loro vacanze estive a Barcellona. Può succedere di tutto, incluso incontrare Javier Bardem, che in questo film emana fascino e sex appeal a pacchi, per tutto il film. Sì, le temperature saliranno un po’, ma ne vale la pena.

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8.La nave dolce. L’estate è anche tempo di reportage, film verità e documentari. Uno che vi consiglio in modo particolare è La Nave Dolce, film del 2012 di Daniele Vicari, lo stesso regista di Diaz, che racconta l’approdo della nave Vlora al porto di Bari nell’agosto del 1991, con a bordo ventimila albanesi. Il documentario si struttura tra strazianti immagini di repertorio e testimonianze odierne di chi quel giorno era lì, e ha il merito di raccontarci un pezzo di storia italiana che troppo poco si conosce. Una pellicola ben fatta, che arriva al punto e ti lascia un intreccio di emozioni che, come un nodo ben stretto, sono difficili da sciogliere. Da vedere.

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9.(500) Days of Summer. Perché già dal nome non potrebbe essere associato a nessun altra stagione. Una storia d’amorefresca, vivace, originale e tanto commovente, dalla colonna sonora irresistibile e molto indie, interpretata da Joseph Gordon-Lewitt e Zoey “Occhioni blu” Deschanel. Ultra consigliata.

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10. Le pagine della nostra vita. All’inizio sembra solo la classica storia estiva tra una ragazza di buona famiglia e un giovane della working class nella torrida Carolina del Sud, in realtà il film si trasformerà in una valle di lacrime e in una delle storie d’amore più commoventi che avrete mai visto. Ryan Gosling e Rachel McAdams vi faranno innamorare e piangere, piangere, piangere e a quel punto avrete di che farvi una piscina sul balcone di casa.

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E con questo è tutto gente. Ora, però, sono curiosa: quali sono i vostri film estivi?

Recommendation Monday: Consiglia un libro Young Adult

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Buon lunedì! Il tema del Recommendation Monday questa settimana è molto giovane:

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Allora, qui la premessa è doverosa. Se pensate che Young Adult significhi solo vampiri luccicosi e simili, siete fuori pista. Non del tutto, vero, ma nello Young Adult c’è molto di più. La letteratura young adult o juvenileè, nel mondo angloamericano, una narrativa destinata ad adolescenti e giovani adulti, quindi under 18 ma non solo. In pratica è la nostra letteratura per ragazzi con qualcosa in più. Si tratta di un genere articolato e composito, con molti sottogeneri, diverse tematiche e intrecci e stili tra i più vari. Ha radici profonde, per questo nel genere si possono annoverare grandi romanzi come Il Signore delle Mosche o Il giovane Holden, e andando più indietro anche Le avventure di Tom Sawyer e Piccole Donne. Oggi le tendenze, naturalmente, sono diverse; gli young adult sono spesso libri con protagonisti adolescenti, con tutti i loro problemi che quell’età comporta ma anche con tutta la loro spensieratezza e voglia di vivere, oppure sono catapultati in situazioni ai limiti della realtà o completamente fantastiche, riscoprendosi maghi, lupi mannari, figli di divinità e molto altro. Insomma se mi dite “Harry Potter” va bene (anche se più un Urban Fantasy), se mi dite “Noi siamo infinito” o il più recente “Tutta colpa delle stelle” va bene lo stesso, se mi dite “Twilight” va bene uguale ma leggerlo non va bene per niente (anche se io l’ho fatto e ho anche finito la quadrilogia! #erogiovanenonsapevoquellochefacevo). Io, però, mi voglio allontanare dai soliti inglesi e americani – anche perché ne ho letti pochi del genere – e proporvi oggi un libro scritto da uno spagnolo che amo molto, per tante ragioni personali inclusi una tesi di laurea che mi fece sudare come poche cose al mondo. E no, non vi consiglierò il suo libro più famoso, prima di tutto perché è così famoso che l’abbiamo letto tutti e chi non l’ha fatto peggio per lui, e seconda cosa perché quel libro non è uno young adult ma il passaggio dello scrittore alla narrativa adulta. Vi consiglio, invece, l’ultimo suo libro per ragazzi, una storia che però può essere letta con molto piacere anche dagli adulti. La sua Barcellona è onnipresente e sempre affascinante, i due protagonisti sono ancora due ragazzi, la magia è sempre quella. Il libro in questione è il malinconico e onirico Marina e lo scrittore è Carlos “Carlito” Ruiz Zafón.

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E il vostro RM di questa settimana qual è? Alla prossima!

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