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Serie Tv: Gotham, alle origini dell’eroe

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Una delle serie più attese di questa stagione televisiva, ambientata in uno degli universi comics più amati. Gothamè la serie sul mondo di Batman senza Batman e questo particolare può rappresentare un punto di debolezza per coloro che amano l’Uomo Pipistrello e non si stancherebbero mai delle sue avventure, oppure un’opportunità da cogliere per dare uno spessore inedito al passato di Bruce Wayne e a tutta la compagine di villain e personaggi che ruotano attorno all’eroe, in particolare quel commissario Gordon che da sempre tiene vivo un faro di speranza a illuminare la notte della città. La serie, trasmessa da Fox a partire dal 22 settembre, arriverà anche in Italia, dopo l’eccezionale anteprima di due episodi in chiaro su Italia 1 il 12 di ottobre, a partire dal 20 di questo mese sul canale Premium Action.

 

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Gotham prende le mosse dalle origini. Un misterioso criminale rapina una famigliola felice in un vicolo e uccide marito e moglie, lasciando orfano un ragazzino terrorizzato. La coppia altri non è che Thomas e Martha Wayne e il povera ragazzino solo è Bruce Wayne, colui che un giorno sarà destinato a divenire Batman. Sulla scena del crimine interviene un giovane detective appena arrivato a Gotham. Si Tratta di James Gordon, che qui ci viene presentato come reduce di guerra e poliziotto integerrimo, convinto di poter fare la differenza in quella città corrotta e criminale. Quello che scopriamo è che l’omicidio dei Wayne, chiave fondamentale del personaggio di Batman, assume un valore importante anche per Jim Gordon, che da quel momento non solo entra in contatto con il ragazzino, instaurando un rapporto di fiducia fin da subito, ma prende reale consapevolezza di ciò che è Gotham. Da quel momento per Gordon niente sarà come prima: scendendo sempre più in profondità, il detective vedrà fino a che punto il male si è infiltrato nella società – a partire dal suo collega Bullock, poliziotto duro e ormai completamente disilluso che intrattiene noncurante rapporti con i maggiori criminali di Gotham, come Fish Mooney– e sarà costretto a compiere azioni contrarie al suo essere. Nel suo perdersi nei meandri della Gotham più nera, Jim Gordon toccherà alcuni dei personaggi simbolo del mondo dell’Uomo Pipistrello, ancora giovani, alcuni non ancora i super cattivi che sappiamo, ma fin da subito pienamente riconoscibili: dalla giovane Selina, futura Catwoman, all’Enigmista per il momento infelice creatore di indovinelli che non divertono nessuno, fino ad arrivare al disturbante e disturbato Oswald Cobblepot, che inizialmente appare come un patetico lacchè di Fish per poi rivelare la sua natura in un escalation di sangue, in attesa di diventare a tutti gli effetti il Pinguino.

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Il pilot di Gothamè ricco, ben confezionato, spasmodico di dimostrare che le nostre aspettative non verranno tradite. Gli autori vi hanno inserito qualsiasi riferimento appartenente all’immaginario collettivo dell’universo di Batman, tra buoni e cattivi, in particolare questi ultimi, forse fin troppo facilmente riconoscibili a prima vista, un fanservice che pare voler garantire subito un adesione a quel mondo e tranquillizzare anche i più scettici.

Per quanto riguarda Bruce Wayne, è solo un ragazzino, eppure, la sua storia e la sua infanzia sono descritte esattamente come ce le siamo immaginate: un’infanzia solitaria, ossessionata dal ricordo della brutale morte dei genitori e come unica valvola di sfogo un maggiordomo che diventa all’occorrenza padre, amico, confidente e grillo parlante, a cui è affidata la formazione del giovane Bruce contribuendo a renderlo poi quello che tutti noi conosciamo. In questo senso, è apprezzabile l’idea di rendere il personaggio di Alfred meno impomatato, per quanto rigido e severo come solo un maggiordomo inglese sa essere, e farne un personaggio dal piglio quasi militare, deciso, forte, capace di essere qual sostegno di cui Bruce ha e avrà sempre bisogno e, così facendo, inspessendo anche quella che è la linea narrativa del giovane Batman, altrimenti troppo debole per garantire quel continuo legale con il fumetto che di fatto mantiene in piedi la serie.

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Tuttavia, quella del giovane Bruce è una linea secondaria, dato che il vero protagonista di Gotham è Jim Gordon. Il giovane detective e un giorno commissario è qui rappresentato mentre muove i suoi primi passi nella lotta al crimine e saggia a sue spese quanto nero sia il cuore della sua città. A interpretare Gordon un redivivo Ben McKenzie, il quale continua ad avere lo sguardo un po’ fisso e imbambolato che ricordiamo in Ryan di The O.C. e un’espressività ancora legnosa, ma che forse proprio per questo riesce a interpretare bene il continuo spaesamento e la confusione morale vissuta da Gordon, mentre, con il suo portamento da eroe incompreso e i suoi modi non sempre pacifici, conferisce pienamente la marca distintiva del personaggio, decisamente insolita per chi ricorda il commissario Gordon come un uomo pacato. E poi è bastata una canotta bianca vista di sfuggita per ricordarci perché Ben ci piace. Ad affiancarlo il poliziotto corrotto Bullok, interpretato da Donald Logue, che riesce a rappresentare l’opposto di ciò che Gordon vuole diventare e nel contrasto tra i due detective c’è forse uno degli aspetti più interessanti della serie.

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Di sicuro il più convincente tra i personaggi è il nostro Oswald “Pinguino” Cobblepot: l’interpretazione di Robin Lord Taylor coglie nel segno, rendendo il villain in itinere un personaggio intrigante e decisamente inquietante, con lo sguardo da pazzo e il comportamento da sociopatico che preannuncia guai.

Infine c’è l’ultima grande protagonista della serie: Gotham. Il pilot le regala delle visioni panoramiche che vorrebbero renderle giustizia e e creano la giusta atmosfera per la serie di delitti e storie che si svilupperanno tra le sue strade. L’ambientazione è quel perfetto connubio anacronistico tra passato e un passato molto recente, tra gli anni Trenta e i Novanta, con poca tecnologia e molto lasciato all’immaginazione. D’altronde Gotham è sempre stata un luogo dalle specifiche particolari, un luogo della mente sospeso nel tempo e nello spazio, dove tutto è possibile. A partire dal secondo episodio, però, lo spazio per la città si rimpicciolisce a qualche sporco vicolo e un paio di strade grigie e tutto lo splendore notturno che chiunque abbia mai visto Batman ricorda come corredo fondamentale di ogni sua avventura, si perde, smorzando anche l’impatto visivo della serie tutta.

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Ma in definitiva, vi starete chiedendo voi, Gotham ti piace? La mia risposta al momento è Sì. Apprezzo la scelta degli attori e la direzione che stanno prendendo le diverse linee narrative e in fondo siamo ancora al terzo episodio, le novità saranno ancora molte e, nonostante l’abbuffata del pilot, non sono ancora apparsi tutti i cattivi di Batman, tra cui il Joker, che di sicurò sarà la carta che gli autori giocheranno al momento giusto. Ci sono però alcuni elementi di cui tenere conto. Gotham si presenta come una serie dalla trama orizzontale ma di episodio in episodio, si sviluppa come un normale procedural: caso – indagine – risoluzione del caso. Dopotutto non è neanche auspicabile che Gordon scopra chi ha assassinato i Wayne o ciò che si nasconde dietro all’omicidio fin da subito. E bisogna pur sempre ricordarsi che la serie è prodotta da Bruno Heller, lo stesso che ha reso The Mentalist il padre di tutti i filler. Non si può nemmeno pensare che la serie possa trarre un qualche sostentamento dalla storia di Bruce Wayne, relegata a un ruolo secondario dalla stessa impostazione dello show. Forse, è proprio qui che risiede il nocciolo della questione: Gotham è una serie su Batman senza Batman e, per quanto l’idea sia molto  interessante, se non la si sviluppa con una scrittura dalla portata altrettanto innovativa il rischio è che, senza il suo eroe a sostenerlo, il mondo di Gotham si appiattisca e che tutto diventi banale, con la conseguenza che la serie, all’inizio con il compito di raccontare le origini di Batman e il suo universo, si riduca a un crime leggermente più stiloso di quelli che vi sono in giro.

Compresi i rischi, Gotham è ancora agli albori e potrebbe essere in grado di stupirci ancora e farci ricredere da ogni dubbio e perplessità. Non resta che stare a guardare e sperare che l’assenza dell’eroe pipistrello non si faccia fin troppo evidente.


Serie tv: the best, the worst, the most… [Stagione 3 Episodio 1]

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Eccezionalmente di lunedì, per il ritorno di una delle rubriche che più mi diverte scrivere. Ormai tutti i telefilm che amiamo sono cominciati, gli altri arriveranno lungo il cammino e allora è tempo di fare il nostro riepilogo settimanale sul meglio e il peggio seriale. Come sempre, ATTENZIONE SPOILER!

 

The most:Arrow 3x01 – The calm

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Sapete che io ho delle debolezze pseudo-teenageriali. Ma bisogna ammettere che come premiere, quella di Arrow merita tutto il nostro rispetto. E tutto l’entusiasmo di cui siamo capaci. A Starling City tutti sono felici e sereni e, in preda a un insolito ottimismo, Oliver (finalmente) invita Felicity a cena per dichiararsi… ma in Arrow la calma è di casa. Ecco quindi che torna la vertigo per mano di un pazzo, il quale fa comprendere a Oliver che la sua vita è tutta all’insegna di un unico motto: #mainagioia. Subito dopo, infatti, Oliver si vede soffiare (di nuovo) l’azienda di famiglia da un giovane aitante piuttosto bricconcello, che ci prova pure con Felicity e già si è guadagnato il mio odio. E, per non farsi mancare nulla, allontana Felicity, non prima di averle dato un bacio mozzafiato, ripetendole che non si può fare nulla perché lui è l’eroe, lei in pericolo e poi come la riempiono tutta la stagione se li fanno finire insieme subito? La scena clou dell’episodio, però, è tutta nel finale. Oliver sconfigge il nemico di turno grazie a Sara, che lontana da Starling City non sa stare. E avrebbe fatto meglio a non tornare, dato che, dopo aver salutato Laurel con baci e abbracci, viene colpita da una pioggia di frecce che la fanno precipitare proprio davanti alla sorella,  morendo così tra le sue braccia. La morte di Sara è di sicuro funzionale alla storia: non solo il personaggio non era più utile alle dinamiche sentimentali dell’eroe, ma la sua morte per mano di un misterioso arciere scatenano una serie di domande e quesiti che la nuova stagione dovrà aiutarci a risolvere. Infine, il viaggio a  ritroso nel passato di Oliver cambia scenario e dall’isola maledetta si passa a una caotica e pericolosissima Hong Kong, con nuovi personaggi che siamo sicuri torneranno a far visita ad Arrow anche nel presente. Ma cosa volere più da una premiere???

The worst: niente, via. Abbiamo appena riaperto, siamo tutti più buoni.

The most… disturbing mommy:Homeland 4x02 -  Trylon and Perisphere

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Homeland riparte da zero. Dopo il finale della terza stagione, la serie chiude definitivamente il capitolo Brody, giustiziato in pubblica piazza davanti agli occhi addolorati di Carrie, lasciando così spazio a nuove prospettiva proprio per quest’ultima. Nella premiere di due intensi episodi, assistiamo così al cambiamento di vita di Carrie. L’agente della CIA si trova in Pakistan, direttrice di un’unità anti terrorismo ed appare sempre più determinata nel portare avanti la sua carriera nei luoghi più pericolosi del mondo. Ma Carrie non è solo una gente segreto; è diventata mamma di una Brodyina, una bambina che pare la figlia naturale di Damian Lewis e che, purtroppo, non gode dell’affetto incondizionato della sua genitrice. Carrie, infatti, ha posto quasi un intero pianeta tra lei e la figlia, poiché incapace di guardarla senza pensare al dolore che ha provato per tutta la sua storia con Brody. Se aggiungiamo che Carrie proprio bene non è stata mai, non potevamo non aspettarci un gesto insano dalla nostra svitata preferita: mentre fa il bagnetto a Brodyina, Carrie immerge sempre di più la testolina dell’infante nell’acqua fino a immergerla completamente, e solo quando ormai siamo pieni di terrore che la donna sconfigge la tremenda tentazione e soleva la bambina urlante. Pochi secondi carichi di angoscia, in cui si percepisce in maniera palpabile il disagio e il malessere di Carrie, particolare che non possiamo ormai più ignorare e che, a questo punto, siamo sicuri denoterà l’intera stagione. Quando si dice cuore di mamma.

The… freakiest show: American Horror Story 4x01 – Monsters among us

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Anche American Horror Story e lo fa in grande stile, quello inconfondibile di AHS. Al suo primo episodio dell’anno, American Horror Story e la meravigliosa Jessica Lange, sempre in pole in un ruolo che al solito le calza a pennello, ci regalano uno dei momenti più visionari, disturbanti e belli del panorama televisivo. Sotto un tendone pieno di freak e davanti a un pubblico inesistente, Elsa Mars – questo il nome del personaggio – si esibisce con un brano surreale come Life in mars? di David Bowie, realizzando una performance degna del Duca Bianco e della serie tutta, grazie alla quale Ryan Murphy ribadisce la marca distintiva dello show, ovvero quell’intento costantemente perseguito di lasciarci storditi dallo stupore. E, quindi, poco importa dell’anacronismo di una canzone anni ‘70 in una serie ambientata nel 1952, o della licenza che Murphy si prende, sostituendo le parole del testo e trasformandolo in “the freakiest show”o che la trama per il momento sia ancora un po’ fumosa: l’esibizione di Jessica Lange è semplicemente fantastica e lascia intravedere tutto il potenziale che questa stagione sembra possedere. Prendete i posti migliori e godetevi lo spettacolo.

Recensione Special: Sotto il segno dei pesci di Letizia Draghi

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cover sotto il segno dei pesci

L’estate sembra lontanissima ormai e siamo tutti già presi dalle nostre vite frenetiche, routinarie, grigie, vivide, intense. Ma se siete in cerca di una pausa dall’autunno, dallo studio, dal lavoro, dalle foglie che cadono e dalla pioggia, un’oasi estiva in cui rifugiarsi per qualche ora leggera, Sotto il segno dei pesciè quello che fa per voi.

 

Titolo: Sotto il segno dei Pesci
Autori: Letizia Draghi
Anno: 2014
Editore: Rizzoli
ISBN 9788858647271

 

 

 

La casa editrice dice:

In un villaggio turistico alle Maldive, in quel punto in cui il mare è più azzurro dell’azzurro e i pesci appaiono in ‘alta definizione’, la giovane animatrice Rachele Pallavicino si guadagna da vivere facendo l’oroscopo per i clienti. Ma ad attenderla sull’atollo c’è Giove in Cancro, ovvero Edoardo Della Valle, un imprenditore tanto eccentrico quanto bello (d’altra parte quale Scorpione non lo è?). Rachele rimane affascinata da quell’uomo che scopre essere anche il proprietario del Roland Resort, ma soprattutto è turbata dal suo sguardo magnetico e, quando le richieste del milionario si fanno più personali, decide di mantenersi professionale e, soprattutto, di non rivelargli che astrologicamente sono fatti l’uno per l’altro. Per fortuna c’è Giove a sistemare le cose e a riportare l’equilibrio nell’Universo. Un divertente astro-romanzo, una simpatica parodia della formula all-inclusive: perché qui sì che tutto è compreso. Anche l’amore.

Sotto il segno dei pesci è uno degli ebook che fanno parte della collana YouFeel di Rizzoli, raccolta digitale di storie al femminile divertenti e romantiche, facili da leggere ovunque voi siate. La storia di Sotto il segno dei pesci, in effetti, si iscrive pienamente al genere, una vicenda fresca e dalla fruibilità veloce, molto romantica senza farsi mancare un pizzico di ironia, si legge in poche ore e ti lascia un sorriso sulle labbra e un relax neuronale che è un vero toccasana.

La cosa che ho apprezzato di più è stato l’espediente di legare tutto all’astrologia. Senza essere tra quelli che ci credono o meno, l’idea di associare ogni personaggio a un segno zodiacale e di fare della protagonista un’astrologa combina guai ma dall’intuito infallibile riescono a dare pepe a una storia forse già vista e rivista più volte: l’animatrice che incontra l’amore della sua vita, il giovane imprenditore ricco e affascinante che rimane folgorato dalla sua goffaggine e le fa una corte spietata. La protagonista Rachele, poi, è un Cancro come me e ammetto che sentire tanto parlare di quanto siamo complicati in amore come nella vita me l’ha fatta sentire particolarmente vicina, al punto che alla fine facevo un tifo spietato per lei e il suo futuro con Edoardo (sì, noi Cancro siamo molto romantici).

Ogni capitolo si apre con un oroscopo che, oltre a divertire il lettore, ha lo scopo di fare il punto della situazione non solo sui personaggi principali, ma anche su tutti coloro che ruotano attorno all’universo di Rachele. Perché in Sotto il segno dei pesci non viene raccontata solo la storia di Rachele, ma anche quella di un’isola in cui turisti e animatori vivono strane e buffe avventure, una festa di gag imbarazzanti, amori giovanili, screzi tra colleghe, amicizie che nascono, coppie che scoppiano e che nascono, il tutto circondato da mari caraibici e resort da sogno.

Quando le vicende si spostano a Londra, i toni si smorzano e le atmosfere si ingrigiscono, particolari che si legano anche a uno sviluppo della storia frettoloso e gestito in modo confuso. Avrei preferito che la storia si svolgesse interamente sull’isola, dove l’atmosfera si sposava alla perfezione anche con il carattere della protagonista. Sarà per questo che, dopo aver scoperto il traditore e villain della situazione e dimostrato al suo spasimante bello come il sole quali siano davvero le sue doti, Rachele torna sull’isola dove, come nella migliore delle tradizioni, tutto si risolve per il meglio per tutti.

La storia di Sotto il segno dei pesci è raccontata con uno stile frizzate e fresco, che rivela la natura spiritosa e ironica dell’autrice e rende più agevole l’affezione e l’immedesimazione con i personaggi, dando il ritmo a una vicenda dalle soluzioni non sempre imprevedibili ma decisamente piacevoli e divertenti. E poi come resistere alla favola di un amore apparentemente impossibile nato nei mari del Sud?

Viaggi, astri e amori romantici e ingarbugliati, più un pizzico di umorismo: questi gli ingredienti di Sotto il segno dei pesci, perfetti per una lettura con cui mettere in pausa il tran tran quotidiano e sognare a occhi aperti.

Serie tv: The best, the worst, the most… [St. 3 Episodio 2]

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BROOKLYN NINE-NINE: Jake (Andy Samberg) participates in a competition with the rest of his staff while the Captain is out in the "Jimmy Jab Games" episode of BROOKLYN NINE-NINE airing Sunday, Oct. 12 (8:30 - 9:00) PM ET/PT) on FOX. ©2014 Fox Braodcasting Co. CR: Eddy Chen/FOX

Nuovo appuntamento con la rubrica seriale, il meglio e il peggio di quello che la vostra Fragola ha visto. Come sempre, ATTENZIONE SPOILER!

The best:Brooklyn Nine Nine  2x03 – The Jimmy Jab Games

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Questa settimana ho deciso di premiare una comedy il cui ritorno è stato una grande piacere. Il distretto più pazzo di New York è tornato più carico che mai e le risate non si sono fatte aspettare. In questo episodio si è raggiunto forse uno dei momenti migliori dello show con i Jimmy Jab Games. Complice l’assenza del capitano Holt e del sergente Terry, Peralta e soci organizzano una sfida con prove una più idiota dell’altra, dove il divertimento è assicurato. Forse l’unico motivo di preoccupazione per questa stagione potrebbe essere la tentata love story tra Jack e Santiago, che potrebbe ritorcersi contro. Per il resto, Brooklyn Nine Nine si conferma una delle serie comedy migliori in circolazione.

The worst:Revenge 4x03 – Ashes

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La terza stagione di Revege si chiudeva “con il botto”: Vicky punita, Conrad eliminato, i cattivi perdono, i buoni vincono e i presunti morti tornano, con il redivivo David Clarke apparentemente deciso a fare giustizia. Ecco appunto, David. Il suo ritorno prometteva fuoco e fiamme; finora, però, David è apparso un uomo debole e molto confuso, completamente nelle grinfie della manipolatrice Victoria che architetta la sua rivincita nei confronti dell’ignara Emily. Al momento si è visto ancora poco e quel poco era di scarso interesse. Persino la storyline dedicata alla “sempre-più-fuori-come-una-pigna” Charlotte, che finalmente ha scoperto la verità su Ems, intriga poco e mi lascia perplessa, con il timore che Charlotte non riesca ad emanciparsi dal suo ruolo di pedina neppure dopo questo scossone. E, infine, stendiamo un velo pietoso sull’hairstyle di quest’anno: tra il caschetto “che-neanche-la-carrà” di Margot e il capelli improponibili di Nolan, la sensazione di una stagione meno glamour è spaventosamente dietro l’angolo.

The most…unpleasant doctor:Grey’s Anatomy 11x04 – Only Mama Knows

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Grey’s Anatomy è giunto alla sua undicesima edizione e anche quest’anno possiamo dirlo a gran voce: Meredith non si regge più. Derek decide di andare a lavorare per Obama, lei inevitabilmente si lamenta. Derek decide di rinunciare all’occasione della vita per stare con lei e la loro famiglia, lei si lamenta. Cristina va via, lei non ha più la sua “persona” e decide in autonomia di intrufolarsi nel letto e nel bagno di Alex per triturargli gli zebedei con i sui problemi esistenziali, mentre il povero Karev si vede soffiare il posto nel Consiglio dell’ospedale ed è costretto a tornare a fare il capitano in seconda per Arizona. Arriva il nuovo primario di cardiochirurgia, l’ennesima sorellastra di Meredith e lei che fa? Si lamenta, si offende, si deprime, tratta male Maggie con il suo solito fare snob “sono-la-star-di-questo-ospedale-voi-siete-delle-merde” e affligge con le sue paturnie persino Webber, il quale vuole come sempre essere d’aiuto nel suo tentativo costante di padre putativo. Tutti sono sempre a sua completa disposizione e lei non fa altro che lamentarsi sulla sua vita ingiusta e grama #madeche. Quella che era la protagonista della serie è diventata ormai una piaga mal tollerabile, che indispettisce noi poveri spettatori, sempre più in preda a pensieri ben poco innocenti nei suoi confronti. Shonda cara, maestra di tutti i drammi televisivi, se ci stai ascoltando, non è che in una delle tue puntate pseudo-apocalittiche riusciamo a liberarci, anche solo per qualche episodio, di quella frignona di Meredith Grey, please?

Alla prossima e buona visione!

Recommendation Monday: Consiglia un libro che si ispira a un album, un cantante o un brano musicale

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Buon lunedì! il tema di questa settimana ha il ritmo giusto per dare inizio alla nostra settimana:

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Devo ammette che questo tema l’ho scelto con una precisa intenzione. Perché se c’è un autore che amo molto e che fa della musica una delle chiavi principali di ogni suo romanzo, quello è Murakami Haruki. E se c’è uno dei suoi libri più amati è conosciuti nel mondo, quello è il libro il cui titolo prende in presti il nome da un brano dei Beatles: un brano che rappresenta non solo un’epoca di grandi cambiamenti per il mondo, ma che è il simbolo stesso della transizione vissuta dal giovane protagonista tra la gioventù e l’età adulta. La musica non abbandona mai Watanabe e i personaggi che si muovono attorno a lui, e ne segnano le vicende e i tratti caratteriali, rendendoli indimenticabili per il lettore. Un romanzo che pare quasi un album e che trae linfa vitale dalle note che risuonano fra le sue pagine. Un libro che non smetterei mai di consigliare. Il romanzo in questione è Norwegian Wood.

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E il vostro RM qual è? Buona settimana a tutti!

Serie Tv: The Flash, la serie che conquista alla velocità della luce

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Nuova serie, nuovo supereroe. Anche quest’anno la DC Comics aggiunge uno dei suoi personaggi più noti al palinsesto televisivo statunitense e ai nostri appuntamenti seriali. Con The Flash si rimette finalmente in scena la storia di Barry Allen e della sua incredibile velocità, dopo anni di assenza dagli schermi del supereroe più veloce della luce. E gli autori, gli stessi di Arrow, lo fanno in modo decisamente convincente, con uno show dinamico, divertente, moderno, capace di agganciare lo spettatore fin dai primi minuti. I primi episodi, infatti, sono stati ben accolti dal pubblico, al punto che il pilot ha raggiunto il traguardo di episodio pilota più visto della CW (l’emittente che produce la serie) dai tempi del pilot di The Vampire Diaries nel 2009: The Flashè una serie che promette molto bene, ma riuscirà a mantenere tutte le sue promesse o pagherà le conseguenze di questo veloce successo?

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The Flash è la storia di Barry Allen, tecnico della scientifica della polizia di Central City, con un’infanzia difficile e travagliata alle spalle: da bambino, infatti, Barry è testimone del misterioso assassinio della madre, per il quale viene erroneamente arrestato il padre. Rimasto solo, il piccolo Barry viene preso in custodia dal detective West, amico di famiglia e primo ufficiale ad essere giunto sul luogo del delitto, che decide di prendersi cura del ragazzino e di renderlo parte della sua famiglia. Sotto l’ala di West, Barry cresce e diventa uno dei migliori scienziati a disposizione del dipartimento, ma Barry non ha dimenticato il padre ingiustamente condannato né il desiderio di giustizia che gli cresce dentro. La sua vita verrà stravolta in una notte di tempesta, quando un innovativo acceleratore atomico esplode creando un fulmine che andrà a colpire proprio Barry. All’inizio si teme per la vita del giovane, ma ben presto Barry scopre qualcosa di straordinario: il fulmine lo ha reso veloce, molto veloce, velocissimo. Barry è diventato The Flash, o lo diventerà molto presto.

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Nato come spin-off di Arrow, particolare che viene ricalcato nel pilot con il cameo  di Stephen Amell nei panni di Freccia Verde, la serie ha una struttura molto simile alla show da cui trae origine: uso costante dei flashback, ambientazioni metropolitane, una resa molto contemporanea e tecnologica, voce fuori campo del protagonista che ripete a ogni piè sospinto “I’m Oliver Queen I’m Berry Allen”…  Nonostante le similitudini, a colpire sono soprattutto le differenze. Se in Arrow prevalgono i toni cupi e ambigui, che ben si adattano al carattere dell’eroe arciere, sempre in bilico tra senso di colpa e desiderio di giustizia, in The Flash Barry vive alla luce del giorno, non sui tetti dei grattacieli ma tra le strade trafficate della città; tutto è più luminoso e persino leggero. Flash è probabilmente uno dei pochi eroi comics ad essere felice per i suoi poteri, come se quasi non avvertisse il peso che tali doti portano con sé. In Barry c’è un’euforia dettata  dalle possibilità che i suoi poteri possono offrirgli,  permettendogli non solo di scoprire la verità sulla morte di sua madre e scagionare il padre dalle false accuse, ma anche di essere finalmente l’eroe che la sua città aspettava da tempo, soprattutto ora che per le sue strade circolano metaumani dalle intenzioni tutt’altro che pacifiche. Quello che appare agli occhi dello spettatore è che Flash è un personaggio positivo con poche ombre, così come Barry è il classico bravo ragazzo, immagine corroborata dalle sembianze dell’attore chiamato a interpretarlo, Grant Gustin, che ci appare decisamente sul pezzo.

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La leggerezza della trama si riflette sia nella capacità di intrattenimento della serie che nella caratterizzazione dei personaggi. The Flash ha comprimari ben delineati e perfettamente riconoscibili in poche scene – i due nerd che sostengono il supereroe, il poliziotto che conosce il segreto ma che lo custodisce gelosamente perché fiducioso dell’impresa, lo scienziato geniale e matto da legare – e risulta una serie dai risvolti divertenti, dalle azioni coinvolgenti, dai personaggi piacenti e muscolosi, dalla storia intrigante, piacevole da guardare. Infine, non bisogna dimenticare quello che è il “valore aggiunto” della serie: gli elementi fantascientifici e gli effetti speciali usati a piene mani. La loro qualità è sorprendentemente superiore alla media, se si considera che stiamo parlando di una produzione televisiva, e rendono superpoteri, ipervelocità e forze sovrumane in maniera precisa e intelligente, senza risultare posticci o esagerati.

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Ultima chicca, che forse apprezzeranno i serial addicted di vecchia data e le teenager di ieri: il padre di Berry è interpretato da John Wesley Shipp, lo stesso attore che negli anni ‘90 aveva interpretato Flash e che però finirà per essere sempre ricordato come il padre di Dawson Leery. Anuwanawei.

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In definitiva, The Flash appare un prodotto buono e convincente: non avrà interpretazioni degne di Oscar e chi ha letto il fumetto non avrà grandi sorprese a livello di trama (e con molta probabilità, anche chi non ha mai letto i fumetti dedicati al supereroe), ma lo spirito della serie, in linea con la tendenza ormai inarrestabile e irresistibile di svecchiare e dare nuova linfa alle vicende classiche dei supereroi e agli universi fumettistici da loro abitati, la realizzazione tecnica curata nel dettaglio e la godibile atmosfera che mescola in modo equilibrato fantascienza e azione la rendono una serie a cui sarà facile appassionarsi, in un battibaleno.

Serie Tv: the Best, the worst, the most… [St. 3 Ep. 3]

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Anche questa settimana non poteva mancare un nuovo appuntamento con il meglio e il peggio seriale. La raccomandazione è la solita: ATTENZIONE SPOILER!

The best:Doctor Who 8x09 – Flatline

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In attesa di guardarmi la decima uscita questo sabato, decreto l’episodio numero 9 dell’ottava stagione di Doctor Who come il migliore di questa settimana. Per tutta una serie di motivi. Sono una di quelle fan di Doctor Who che ha atteso con entusiasmo e timore l’arrivo di Peter Capaldi come Dodicesimo Dottore. Entusiasmo perché era tempo di avere un dottore che dimostrasse finalmente un’età più vicina alla reale maturità del personaggio, dopo che per sette stagioni abbiamo avuto Dottori giovani, addirittura acerbi con Matt Smith –  che se l’è cavata egregiamente nei panni del Signore del Tempo – e si sentiva la necessità di vedere nel ruolo un uomo più maturo, che modificasse anche le dinamiche relazionali con la companion del Dottore, spesso improntato a un flirt sottile ma continuo, se non si arriva addirittura a sentimenti più forti (vedi Ten con Rose). Inoltre, l’arrivo nel Tardis di un attore dalle qualità di Peter Capaldi non poteva che essere motivo di immediata fiducia per lui e la serie tutta. I timori, per lo più soggettivi ed emozionali, erano tutti rivolti al grande interrogativo: per quanto bravo possa essere Capaldi, riuscirà il Dodicesimo Dottore a conquistarci? Personalmente, si è trattato di un percorso lento e tortuoso. Fin dall’inizio ho apprezzato le qualità di Capaldi, la passione che trasmetteva la personaggio (di cui lui stesso è un grandissimo fan dalla più giovane età) e mi hanno divertito le differenze profonde dai dottori precedenti: il Dottore di Capaldi è un uomo che ha più di 2000 anni e ne ha viste di tutti i colori e specie, il suo distacco dal genere umano si fa inevitabilmente più evidente e la sua parte aliena non ha più timore di mostrarsi. Il Dottore è un essere potente e come tale si presenta all’universo intero. Ma Dodici è anche un dottore cupo, serio, severo, fortemente egocentrico e sesso non curante di urtare i sentimenti di chi lo circonda con il suo fare brusco e saccente. Ammetto che alcune di queste caratteristiche mi hanno un po’ alienato il personaggio e se questo era l’obiettivo, chapeau. Tuttavia, a rendere più difficile l’affezione al Dottore, non è stato solo il personaggio in sé, ma anche una scrittura degli episodi non sempre al livello della serie. Dopo una premiere esplosiva, si sono succeduti alcuni episodi piuttosto fiacchi, mentre il focus continuo su Clara, che inizialmente si sente tradita dal non trovarsi più di fronte il Dottore di Smith e per questo fa fatica, o rifiuta, nell’entrare in sintonia con il nuovo Dottore, ad un certo punto stanca e comincia ad apparire privo di senso. Ma quando tutto fa presuppore che i giochi siano ormai fatti, ecco l’episodio che ti fa ricredere. Flatline era stato presentato come un episodio completamente Clara-centrico, dove il Dottore avrebbe avuto ben poco spazio. Probabilmente, Flatline è l’episodio di questa stagione in cui la presenza del Dottore è più forte che mai. A causa di una strana razza aliena bidimensionale, il Dottore è recluso nel suo Tardis, che per l’occasione si rimpicciolisce per la gioia di tutti noi feticisti della “Blue Box”, e interviene in aiuto di Clara, a sua volta in modalità “Doctor”. Questa sarà l’occasione per la companion di realizzare per la prima volta cosa significa essere il Dottore e mettere a tacere tutte le inquietudini delle precedenti puntate, ma è anche la possibilità per Capaldi di dare piena vita al suo Dottore. Finalmente, dall’inizio della serie, ritroviamo gli intermezzi comici che hanno sempre contraddistinto la serie e che tanto amiamo; finalmente avvertiamo quel senso di urgenza e pericolo che negli altri episodi passava in secondo piano per lasciare spazio alle beghe tra Clara, il Signore del Tempo e il nuovo fidanzato di lei, Mr Pink; finalmente riconosciamo un Dottore sicuro di sé, coraggioso e tenace, che dimostra di tenerci davvero e di non aver dimenticato di essere il protettore del nostro pianeta. Ammetto che, quando ho visto la scena di lui che esce dal Tardis e punta il suo cacciavite sonico verso i nemici ribadendo che “This planet is protected”, mi sono esaltata non poco. D’altronde era tutto quello che noi volevamo sentirci dire, per poter realizzare che sì, il Dottore è di nuovo qui con noi.

The worst:Homeland 4x04 Iron in the Fire

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So cosa si potrebbe pensare. “Ecco un’altra che, appena andato via Brody, si lamenta di Homeland”. Ma non è così. Quando è iniziata la nuova stagione di Homeland, ero preparata già da mesi. Per me, la serie dove c’era Brody si è definitivamente conclusa l’anno scorso e quella che va ora in onda è un altro capitolo, con un’altra storia tutta da scoprire. Con questo spirito mi sono approcciata alla quarta stagione e devo dire che i primi due episodi non mi erano dispiaciuti affatto. Avevo, però, già notato come, una volta andato via il personaggio più ambiguo della serie, il materiale narrativo rimasto nelle mani degli autori avesse bisogno di essere riorganizzato e arricchito di idee fresche e nuove. Quello che in realtà si è visto finora è stato non solo il reiterarsi di certi schemi ormai visti e rivisti e assolutamente prevedibili, ma anche un focus sulla “follia” di Carrie che appare morboso e a tratti spiacevole da guardare. Che Carrie sia un personaggio senza controllo è ormai un dati di fatto, ma la morte di Brody deve averla completamente sconvolta e gli autori hanno deciso di premere l’acceleratore e farla essere ancora più imprudente, lunatica, intrattabile e fuori di testa di prima. Il risultato è che, se prima riuscivamo a dare una qualche spiegazione al suo comportamento sempre poco equilibrato e, anzi, facevano il tifo per lei, ora il personaggio ci appare lontano, estraniante e difficile da interpretare: ogni sua mossa è un mistero e capirne le intenzioni è un rompicapo continuo che, alla lunga, finisce per stancare e indispettire. A poco servono gli interventi di Quinn e Saul, ormai relegati a comprimari senza alcun potere o rilevanza. Persino la crisi mistica di Quinn, che mi ha fatto amare il personaggio ancora di più, si dissolve in una bolla di sapone alla prima chiamata di Carrie apparentemente bisognosa dell’uomo, per poi considerarlo meno di niente una volta giunto in Pakistan per lei. La scena finale in cui lei salta addosso al ragazzino è stata probabilmente una delle scene più imbarazzanti che abbia mai visto. Carrie sei fuori come un balcone, non ce la si fa a starti dietro! In definitiva, spero di potermi ricredere presto, una serie come Homeland se lo merita, ma se gli autori proseguiranno su questa strada, la vedo molto dura.

 

The most… beautiful couple: Once Upon a Time 4x04 – The Apprentice

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Sulla nuova stagione di Once Upon a Time si potrebbe parlare per ore. Partendo dalla scelta di associare alle vicende di Storybrooke la storia targata Disney di Frozen, che io non avevo visto e forse proprio per questo tutto mi appare nuovo e più interessante. Sì lo so, mi faccio facilmente condizionare. E poi perché non accennare al fatto che OUAT è ormai il rifugio preferito degli ex lostiani, visto che quest’anno nei panni della Regina delle Nevi ritroviamo Juliet, la quale continuerà ad aver anche qui tutta la mia incondizionata antipatia? E non starò qui a rigirare il coltello nella piaga, ma Biancaneve non doveva essere la più bella del reame? Perché Mary Margareth tutto mi sembra fuorché una bellezza senza senso. E Charming con i capelli lunghi non vi ha fatto letteralmente piegare in due dalle risate? E, infine, quanti di voi non vedono l’ora che Rumple indossi il cappello magico alla Topolino Apprendista Stregone? Ma parlando dell’ultimo episodio andato in onda, non posso fare a meno di parlare della coppia più bella del mondo magico: Emma e Hook. Tanto carini insieme. Peccato che lei debba sempre fare la tipa che spacca il culo ai cattivi anche quando ha una gonna a ruota e tenta di comportarsi come la principessa che non è,  mentre lui è e resterà sempre Captano Uncino, molto più figo di quello dei cartoni animati, certo, ma sempre un po’ carognetta. Insomma, sono fatti l’uno per l’altra. Il momento in cui Hook arriva a casa dei Charming con una rosa e Mary Margareth se ne esce con una delle sue frasi capaci di portare il gelo che neanche Elsa è stato forse uno dei momenti migliori dell’episodio, e ho adorato anche la parte in cui Emma torna a casa e trova Snow e Charming sul divano in attesa del suo arrivo, curiosi di sapere come era andato l’appuntamento, nonostante la scena avesse in sé un non so che di ridicolo, considerando che la differenza di età fra i tre è praticamente inesistente. Ma OUAT è anche questo e tanto ci basti per goderci in tutta serenità il prossimo episodio. Io continuo a tifare Emma e Hook, sono una gran romantica lo so.

Recommendation Monday: Consiglia un libro che fa paura (Rewind)

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Buon lunedì a tutti! Questa settimana è in arrivo la festa di Halloween e il Recommnedation Monday di oggi è dedicato proprio alla notte delle streghe:

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Anche quest’anno vi propongo un classico. Dopo il Dracula di Bran Stocker dello scorso Halloween, questa volta il mio consiglio cade su un racconto più che un romanzo, ma nonostante il numero di pagine inferiore, questo libro non ha nulla da invidiare ai grandi romanzi gotici. Una storia di fantasmi, case signorili immerse nel silenzio delle isolate lande inglesi, due bambini particolari e una istitutrice alla ricerca del mistero. Il racconto è un escalation di terrore e il finale lascia un brivido che tarderà a scivolare via. L’opera di Henry James sarà poi fonte di ispirazione di opere teatrali e diversi adattamenti cinematografici, uno dei più recenti è The Others con Nicole Kidman. Si tratta di Il giro di vite di H. James.

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E il vostro RM di Halloween qual è? Buona settimana stregata a tutti!


Una Fragola al Cinema: Tutto può cambiare

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Probabilmente ormai lo avrete visto tutti, ma non posso fare a meno di parlare di questo film che, sarà per le atmosfere newyorkesi incantevoli, sarà per le sonorità indie, sarà l’allegria e il senso di riscatto che si respira a ogni fotogramma, al punto che persino Keira Knightley mi pare simpatica, sarà che Mark Ruffalo mi ha fatto una tenerezza dal primo momento, sarà che c’è addirittura Adam Levine che farà pure la parte dello str**** ma è figo uguale, ma mi ha letteralmente conquistato. Tutto può cambiare, uscito nelle sale italiane il 17 ottobre,  in originale Begin Again, è una commedia diretta da Josh Carney dolce e commovente, tutta incentrata sulla magia che solo la musica sa regalare alla nostra vita.

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Titolo: Tutto può cambiare (Begin Again)
Regia: Josh Carney
Anno: 2014
Paese: USA
Cast: Mark Ruffalo, Keira Knightley, Adam Levine

 

 

 

 

 

 

 

In un locale dell’East Village di New York, uno di quelli in cui musicisti e cantautori emergenti possono esibirsi e tentare la sorte, sale sul palco una ragazza inglese con la sua chitarra. Ha appena rotto con il suo fidanzato storico Dave (Adam Levine), che ha accompagnato a New York per permettergli inseguire il sogno di incidere per una major e dal quale è stata malamente tradita; il suo atteggiamento  è scontroso, snob, sul volto un’espressione che rivela chiaramente il suo desiderio di essere il più lontano possibile da lì e non in quel locale, non in quella città che le ha spezzato il cuore. Spinta dal suo amico di sempre, però,  la ragazza comincia a cantare un brano che lei stessa ha composto. Una ballad che parla di solitudine, paura per ciò che c’è alla fine di ogni avventura e per l’inevitabile inizio di un’altra. Nessuno in quel locale sembra notarla più di tanto, ma quello che Greta (Keira Knightley) non sa è che tra la folla c’è Dan (Mark Ruffalo), un discografico sull’orlo del fallimento professionale e personale, che è rimasto folgorato dal suo talento e ha intravisto il vero potenziale della sua musica. Da quel momento tutto può davvero cambiare: l’incontro di Greta con Dan sarà il punto di svolta nelle vite di entrambi e la collaborazione che nascerà tra loro li aiuterà a ripercorrere le strade compiute finora e trovare una nuova direzione.

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Al centro di Tutto può cambiare c’è un grande interrogativo, attorno al quale si muovono le vite dei personaggi: la musica può davvero cambiarti la vita? All’inseguimento di questa risposta si mettono i protagonisti del film, Greta e Dan, i quali sono reduci di tutte le peggiori batoste che la vita è in grado di propinarci: tradimenti, solitudine, senso di abbandono, sfiducia nel prossimo e scarsa autostima di se stessi. Quel momento della vita in cui niente sembra girare nel modo giusto e ti ritrovi a pensare dove sia la causa e se il problema non sia proprio tu. Greta e Dan sono i due lati della stessa moneta: da una parte c’è una donna che ha avuto il coraggio di abbracciare l’amore e seguirlo ovunque volesse condurla, per poi finire per scoprire che non tutte le favole finiscono con un happy ending; Dan sembra semplicemente averci rinunciato, all’amore, alla passione bruciante per la musica, alla vita in tutte le sue sfumature. Entrambi, per volere del fato, si ritrovano insieme allo stesso bivio e solo unendo le forze saranno in grado di scegliere da che parte proseguire il loro viaggio. Il film è il racconto di un’estate newyorkese all’insegna non solo della realizzazione di un album innovativo in grado di far ripartire la carriera dell’uno e dare la spinta giusta a quella dell’alta, ma anche di un percorso di ricerca personale da compiere tra un accordo e i versi di una canzone, attraverso la grande passione per la musica che unisce entrambi.

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Il film è una gradevole e intelligente commedia dalle vibrazioni energiche e positive, uno di quei film capaci di trasmettere nello spettatore ottimismo e speranza, che aiutano a riconciliarsi con la vita. Lo fa attraverso un linguaggio semplice, delicato ma mai sdolcinato, fresco, vivace e contemporaneo, grazie anche ad espedienti narrativi che danno al film un ritmo e un’atmosfera molto urban: uno su tutti l’idea di realizzare l’album di Greta tra le strade di New York, l’occasione perfetta per inserire tra i protagonisti quella è forse una delle città del mondo maggiormente in grado di regalare con la sua essenza una magia tutta particolare a qualsiasi storia ambientata in essa.

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Parlando dei protagonisti in carne e ossa, Keira Knightleyè in questo film radiosa, nonostante le pene d’amore, e oltre a dimostrare per l’ennesima volta quanta grazia ed eleganza ci sia nella sua persona – lei che è capace di rendere chic anche un paio di sandali da frate - riesce anche a sospendere la mia non meglio giustificata antipatia nei suoi confronti e mi convince sulla sua adeguatezza nei panni di Greta e la sua voce risulta molto piacevole e appropriata alle melodie gentili e i testi intimisti delle canzoni del suo personaggio.
Solitamente i personaggi come Dan mi inteneriscono nel loro tentativo di mostrare al mondo una corazza di non curanza e nichilismo esistenziale per poi nascondere un cuore grande così e Mark Ruffalo dimostra di avere il carisma e la bravura giusti per rendere benissimo tale immagine.
Per quanto riguarda Adam Levine, alla sua prima esperienza cinematografica, nella parte della popstar se la cava piuttosto bene, va da sé che essendolo anche nella realtà non deve essere stato difficile. Il suo contributo principale nei panni di Dave è legato alla colonna sonora, per la quale mette a disposizione la sua voce e dà vita a brani come Lost Stars (anche se io comunque preferisco la versione di Keira)

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E veniamo, infine, alla grande vera protagonista del film: la musica. La colonna sonora di Tutto può cambiareè una di quelle playlist (la trovate su Spotify) che non smetteresti mai di ascoltare: melodie indie folk si mescolano a brani introspettivi e ballad che scaldano il cuore, mentre i testi di ogni canzone ti portano lontano e sembrano avere l’effetto di una carezza per l’anima. Il potere salvifico della musica, elemento chiave di tutto il film, è qui pienamente realizzato. Brani come Lost Stars, Like a Fool o Coming Up Roses appartengono a quella schiera di canzoni “catartiche”, che ti si insinuano dentro, ci rimugini sopra e poi le lasci andare via, portandosi con loro tutte le scorie dei cattivi pensieri e dei brutti ricordi.

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Tutto può cambiareè una boccata d’aria, un’ondata di positività e leggerezza, una storia in grado di commuovere, divertire, risollevare gli animi e regalarci rinnovata fiducia verso il mondo e, forse, anche verso noi stessi, la rappresentazione più autentica dell’enorme potere racchiuso in una canzone. E allora,  la risposta alla domanda non potrà che essere sì, la musica può  davvero cambiarci la vita, anche solo per il tempo di un film delizioso come questo.

Voto: 8

Una Fragola al Mese: Ottobre 2014

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Il lungo, lunghissimo Ottobre è giunto al termine. E allora è tempo del riepilogo mensile. Si parte.

I’m so glad I live in a world where there are Octobers.
(L. M. Montgomery)

I libri di Ottobre

Sembra che io abbia sempre una scusa pronta, ma davvero sono in una fase decisamente negativa in fatto di letture. Sto abituandomi molto lentamente ai nuovi ritmi che ha preso la mia vita nelle ultime settimane e devo ammettere che non è facile farci stare tutto nelle poche ore di tempo libero che ho. Ho quindi deciso di rilassarmi e non disperarmi come in passato, ora la mia vita non mi permette di leggere molti libri al mese come un tempo, ma ciò che conta è che io riesca a trovare sempre un po’ di tempo per i miei amici di carta (o digitali #unlibroèunlibro) e sto sviluppando nuove abitudini da lettore, come le pause pranzo o gli spostamenti in autobus in compagnia di qualche pagina o capitolo, che mi stanno aiutando a riprendere un certo ritmo. Un lettore, in fondo, non è mai solo. Detto questo, le letture del mese:

- Sotto il segno dei pesci di L. Draghi. Storia leggera e divertente di cui vi ho già parlato qui.

- L’ultimo ballo di Charlot di F. Stassi. Libro particolare, acquistato sull’onda di una serie di recensioni positive lette nella blogosfera, ero partita nella lettura con slancio, ma poi ho dovuto arrestarmi per un apio di settimane. Non riuscivo ad andare avanti. La storia di Charlie Chaplin rivista e raccontata da Stassi  è affascinante, ma soprattutto nella parte iniziale, patisce di una scrittura lenta che spegne momenti altrimenti interessanti e curiosi. Si riprende molto bene nella seconda parte, più trasognata e poetica, con il tema del circo che si fa chiave universale del significato della vita, che ho amato molto e nella quale ho finalmente trovato il senso di quel racconto. In definitiva un libro che consiglierei molto volentieri a chi vuole immergersi in un’atmosfera old fashioned, nonché a chi desidera conoscere qualcosa di più su uno dei maestri dei registi e attori più rappresentativi della storia del cinema.

Acquisti & co. Durante il trasloco è comparso uno scatolone pieno di non iniziati che in questi ultimi mesi hanno fatto il giro d’Italia e che avevo rimosso dalla memoria. Quindi ho deciso anche questo mese di non comprare nulla. Unica eccezione Soldados de Salamina di Javier Cercas (in Italia pubblicato da Guanda con il titolo di I soldati di Salamina) che ho comprato a poco prezzo durante uno dei miei giri tra i chioschi di libri usati e non che popolano via Po qui a Torino e che è sempre un piacere visitare.

La velleità femminile del mese

Questo mese con a coinquilina abbiamo fatto un incursione da Sephora che ci ha lasciato molto euforiche e con il portafogli molto leggero. Trai vari acquisti, l’ombretto in crema Pupa e un primer viso della bareMinerals.

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L’ombretto è il n. 05 della Paris Experience Collection della Pupa. Ho scelto un colore molto chiaro, il nome è Lylac Grey ed è un lilla pallido con delle venature grigiastre molto delicate. Ottimo come base, facile da stendere, non è di certo niente di esaltante ma fa il suo mestiere, regalando quel punto luce all’occhio di cui avevo bisogno. 

Prime Timeè il primer viso di bareMinerals. Io uso da una vita ormai il loro fondotinta minerale mentre per il primer ho girato vari marchi e tipologie assestandomi sul POREfessional di Benefits, non un vero e proprio primer ma se avete problemi di pori dilatati sarà la vostra pace. Per quanto riguarda Prime Time, costa una decina di euro in meno e dà risultati soddisfacenti, soprattutto se abbinato al fondo dello stesso marchio: ha un effetto satinato e minimizza rugosità e segni di espressione. Sulla confezione si promette anche un effetto anti secchezza, ma devo ahimé smentire, dato che il primer a volte mi lascia la pelle piuttosto secca dopo l’uso e, considerando che andiamo incontro all’inverno, questo non è proprio un particolare che mi è entusiasma. A conti fatti, però, mi sento di promuoverlo, anche se probabilmente la strada che conduce al primer adatto a me non è ancora giunta a destinazione. #soproblemi

Faccio cose, vedo gente…

In un bel sabato autunnale ho deciso di incamminarmi verso il centro della città e dedicarmi qualche ora di cultura. Sono andata, così, a vedere la mostra sull’Avanguardia Russa ospitata a Palazzo Chiablese e a Torino, aperta fino al 15 febbraio 2015

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La mostra espone, per la prima volta in Italia, le opere appartenenti alla collezione di George Costakis. La storia di Costakis è quanto mai affascinante e dà un gusto tutto particolare alla mostra fin dal principio. George Costakis, nato a Mosca da immigrati greci, fu dapprima autista per l’ambasciata greca e poi direttore del personale per quella canadese fino alla sua partenza da Mosca nel 1977. Costakis non aveva ricevuto un’istruzione artistica, ma era dotato di un gusto estetico raro che lo portò a interessarsi in particolar modo alle sperimentazioni artistiche sviluppatesi in Russia nei primi decenni del XX secolo. In piena epoca stalinista, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, Costakis decise di raccogliere metodicamente testimonianze e opere delle avanguardie russe condannate dal regime nel suo appartamento moscovita fino alla metà degli anni ‘70, che divenne museo, fucina per giovani leve e salotto culturale di artisti e intellettuali perseguitati. Si tratta di opere di grande valore che Costakis era riuscito ad ottenere con una ricerca incessante e spesso a prezzi modesti (come nel caso del dipinto di Liubov Popova, “Space Force Construction” del 1921, che Costakis trovò in un capanno usato come magazzino, di cui l’opera era parte integrante della costruzione, e per ottenerlo Costakis dovette scambiarlo con un pannello di legno che lo sostituisse), salvando così dall’oblio testimonianze importanti di artisti come Popova, Ekster, Rozanova, Matjušin, Malevič, Rodchenko e documenti importanti per comprendere una parentesi vitale non solo dell’arte russa ma del Novecento.
La mostra prende il via con le correnti dei primi anni dl secolo, dove sono evidenti le influenze di Impressionismo e Cubismo, il primitivismo di Gauguin e il cubismo di Cezanne, ma anche il futurismo italiano di Marinetti. Gli artisti russi fanno propria la lezione parigina, applicandola a una sperimentazione della forma e del colore libera dalla semplice geometria. nasce il Cubofuturismo.

La realtà organica delle cose è realizzata tramite figure e la luce è pure energia cromatica, come appare evidente nelle opere dei rappresentanti della Scuola Organica di Matjušin, mentre con il Suprematismo di Malevič si conferma la supremazia di forme e colori su tutte le altre componenti artistiche. popova_ritratto_futurista_1914
Alla fine della Prima Guerra Mondiale la Russia vive un periodo di grandi trasformazioni, che influiscono sulla concezione dell’arte, ora più vicina a costruzioni semplici, razionali e soprattutto funzionali. Il Costruttivismo rifiuta “l’arte per l’arte” e gli artisti iscritti alla corrente rivestono le loro creazioni di significati e scopi sociali. Tutto è rivolto alla nuova società rivoluzionaria e non ci si può più permettere di avere un arte avulsa dalla realtà.
L’idea della supremazia della scienza del nuovo stato bolscevico porta a guardare il mondo con occhi nuovi e non solo: nasce negli anni ‘20 la corrente del Cosmismo e la nozione di pittura spaziale. Il dipinto di Ivan Kljun“Luce rossa, costruzione sferica” (1923) è uno dei principali esempi di questa nuova concezione ed è suggestivo vedere come quella grande sfera rossa su sfondo nero riesca ad attrarre il visitatore al punto da perdercisi dentro, alla ricerca del significato più recondito e con il timore di scorgerlo davvero. Per chi continua a volgere lo sguardo a terra, c’è il Proiezionismo di Solomon Nikritin e Sergej Luciškin, un interessante corrente che sceglie come forma di espressione il teatro e il cinema, nella concezione che l’arte sia qualcosa di forzatamente incompiuto perché si completa solo nella mente di chi osserva.

Liubov Popova, Aleksander Mikhailovich Rodchenko, Kazimir Severinovič Malevič, Vladimir Tatlin sono tra i principali esponenti di questa mostra. Mi ha fatto particolarmente piacere scoprire il  nome di un’artista donna nel novero dei nomi più importanti di questa mostra. I dipinti di Liubov Popova caratterizzano gli anni e le correnti, mostrando una ricerca personale trasversale e versatile. La sua centralità nella sperimentazione artistica russa è pienamente espressa da uno dei suoi dipinti, “Ritratto cubo-futurista” (1915), opera simbolo del periodo a cui deve il nome. Come con la Popova, il nome di Rodchenko si ripete lungo tutta la mostra in un veste insolita, dato che lo si conosce soprattutto come fotografo e non come pittore come invece qui appare. Rodchenko aderisce al costruttivismo, apportandogli una visione assolutamente personale, fino al 1924, anno in cui abbandonò la pittura per la fotografia.
Con lo stalinismo del secondo post-guerra, molti artisti avanguardisti vengono condannati, perseguitati, esiliati. Chi resta vede spegnersi ogni fermento innovativo ed è costretto ad adeguarsi a forme d’arte funzionali alle ideologie del partito, prive di ogni elemento che potesse distinguersi dalla massa. Se non fosse stato per Costakis, molte di queste opere sarebbero andate distrutte e presto dimenticate. La mostra di Palazzo Chiablese è una grande opportunità per scoprire un momento dell’arte poco conosciuto e spesso considerato troppo difficile da comprendere, ma che, se si presta attenzione, apre una finestra su un mondo inedito, ricco di implicazioni storiche, sociali e politiche, ma soprattutto offre l’occasione unica di godere di straordinarie opere d’arte. Da non perdere.

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(Rodchenko, Expressive Rhytms, 1943)

La musica che mi frulla in testa

Questo mese vi propongo Like a Virgin cantata da Suor Cristina… scherzo!!!

Potrei dirvi che a inizio mese ero in fissa conChandelierdi Sia, soprattutto per il video, interpretato da una talentuosa ragazzina di soli 11 anni! Ok, la ragazzina è anche un po’ inquietante, mentre balla in quell’appartamento abbandonato, ma è indubbiamente brava.


Potrei dirvi che ho ascoltato con piacere L’amore non esiste del trio Fabi, Gazzè e Silvestri.


Vi dico, inoltre, che ascolto ininterrottamente la OST di Tutto può cambiare, che trovo piacevolissima.





Vi consiglio infine la playlist di Spotify “Las tipicas canciones que no sabes come se llaman…” che raccoglie moltissimi titoli di canzone che, davvero, non ricordi mai il titolo e sei sempre lì a canticchiarla e a dire “Ma sì, ma quella, dai, come si chiama?”. Ecco.





E con questo è tutto per questo mese. Buon Novembre!

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Book Wishlist Inspiration Board: A pesca nelle pozze più profonde di Paolo Cognetti

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Nuovo appuntamento con le board letterarie che vi raccontano i miei desideri libreschi. Questa volta la dedichiamo un autore di cui mi sono appassionata solo di recente, dopo la lettura qualche mese fa di Sofia si veste di nero. Si parla di Paolo Cognetti e del suo nuovo libroA pesca nelle pozze più profonde.Meditazioni sull'arte di scrivere racconti


La casa editrice dice:
 
cognetti_apescanellepozze_tn_150_173«A un certo punto del mio apprendistato mi misi in testa che, se volevo diventare un bravo scrittore di racconti, dovevo imparare a pescare». Un’educazione letteraria e sentimentale. Paolo Cognetti, probabilmente il più apprezzato scrittore italiano di racconti della sua generazione, si confronta con i grandi maestri di questo genere. Come si fa a scrivere un grande racconto? Cosa c’è dietro il lavoro quotidiano sulla pagina? Qual è il prezzo da pagare per riuscire a racchiudere il mondo in venti cartelle? Da Raymond Carver a Ernest Hemingway, da J.D. Salinger a Alice Munro, da John Cheever a Flannery O’Connor, Cognetti ci prende per mano trascinandoci nelle vite interiori e nelle botteghe di questi autori. A un certo punto ci sembrerà di sentire di cosa è fatto il lungo e duro tirocinio che può portare a capolavori come I quarantanove racconti di Hemingway o Nemico, amico, amante... della Munro. Non solo la tecnica, ma la disposizione d’animo, l’ostinazione, la vita. Un libro sull’arte di raccontare storie che solo un grande narratore poteva regalarci.

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Amo molto i racconti e aver incontrato uno scrittore italiano in grado di scriverne di belli, dimostrando di aver appreso la lezione americana, mi ha aperto una porta su un mondo incredibile. Perché quello di Cognetti è un mondo ben definito da uno stile preciso e inconfondibile, dove risuonano gli echi degli scrittori che lui ama molto e che inevitabilmente influiscono sulle sue storie. In questo libro, Cognetti decide di raccontare il mestiere dello scrittore e l’arte del racconto, raccontando le vite e il genio dei principali autori del grande racconto americano. Leggendo qui e là, ho avuto l’idea per una board dai sapori autunnali e in armonia con la natura, così come lo è Cognetti, dall’atmosfera raccolta e intima, sensazioni che ritrovo spesso nella sua scrittura. Ecco allora una macchina da scrivere, simbolo dello scrittore per eccellenza, un molo sul lago, dove sedersi avvolti in un caldo scialle per godersi un libro che amate, sorseggiare una tazza di tè, oppure pescare e lasciarsi per qualche ora il mondo alle spalle.

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Titolo: A pesca nelle pozze profonde| Autore: Paolo Cognetti|
Editore: Minimum Fax | Anno: 2014 | Pagine: 130 | ISBN: 978-88-7521-594-1

Serie Tv: The Affair, misteri e tradimenti in una delle novità migliori dell’anno

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THE AFFAIR (SEASON 1)

The Affair, la serie targata Showtime partita lo scorso 12 ottobre, è una delle novità di questo autunno, probabilmente una delle migliori. Il merito va a una regia curata, a un cast degno di nota e una scrittura intricata, accattivante, che mescola sapientemente la classica storia sentimentale fatta di bugie e tradimenti con le caratteristiche del thriller e del crime, in un alternarsi di punti di vista che confondono e stuzzicano lo spettatore. Non la solita storia di corna, non il solito caso di omicidio efferato e misterioso, ma una combinazione di elementi dell’uno e l’altro genere, intriganti e coinvolgenti, che danno vita a una delle offerte più promettenti della stagione televisiva.

 

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Siamo negli Hamptons, non quelli fighi e glamour di Revenge o Gossip Girl, ma precisamente nella cittadina pacifica e tranquilla di Montauk: oceano, pescherecci, tanta natura incontaminata e le ville dei ricchi intellettuali, il paradiso delle bio-farm e del vivere sano. Questa è l’idilliaca meta turistica di Noah, insegnante newyorkese che ha da poco pubblicato il suo primo romanzo ottenendo un certo successo, e la sua famiglia, diretti verso la casa dei ricchi genitori della moglie Helen. Sembra essere la solita estate, ma ben presto Noah conoscerà Alison, una cameriera del luogo che sta tentando di tenere in piedi il suo matrimonio e andare avanti con la sua vita dopo la tragica morte del figlioletto. Tra i due scatta una scintilla che li porterà a cercarsi e a spingersi fino in fondo nel loro gioco di attrazione che li condurrà a tradire i rispettivi partner. Ma la loro sembra essere molto di più di una storiella estiva: qualcosa è successo a Montauk, qualcosa di grave e oscuro in cui i due amanti sono coinvolti. Spetta al detective incaricato delle indagini ascoltare la versione dell’uno e dell’altro e mettere insieme i pezzi. Cosa sarà accaduto davvero in questa calda estate?

THE AFFAIR

Nonostante il titolo The Affair induca a pensare a una storia di tradimenti, che in effetti c’è ed è l’evento centrale da cui si dipana l’intera trama, il concetto chiave della serie è come la verità dimostri di avere molte più facce, tante quante sono le persone a raccontarla. Ogni episodio ci viene narrato dal punto di vista di Noah prima e Alison poi, ed è incredibile osservare come la realtà – anche i piccoli dettagli come il modo in cui è vestita lei o l’ordine in cui sono seduti i figli di lui nella scena alla tavola calda del pilot – si trasformi attraverso il racconto e la parole dei due protagonisti, entrambi sempre al centro dell’azione, ma capaci di reinventare la stessa storia mostrando angolature che l’uno e l’altro nascondono, se intenzionalmente o meno saremo noi spettatori a deciderlo. Se in un primo momento Noah appare un ingenuo professore con il sogno americano in tasca che viene attratto dalla conturbante cameriera, con la versione di Alison la situazione si ribalta e assistiamo a una donna molto sola che si lascia andare in un flirt con un uomo in piena crisi di mezza età e in cerca di un brivido che lo scuota e confermi la sua virilità frustrata da un matrimonio in cui lui appare come l’anello debole. E la domanda che ci faremo alla fine di ogni episodio sarà: chi dice il vero e chi il falso?

the affair alison

Nello sviscerare la loro storia di fronte a un’autorità, particolare che richiama alla memoria True Detective, ciò che colpisce è che le due storie non sono complementari come per i protagonisti della serie di HBO, ma le due versioni presentano molteplici contraddizioni, gettando l’ombra del dubbio su tutto ciò a cui assistiamo. L’atmosfera si fa vaga e confusa di minuto in minuto mentre procediamo nella visione e ci chiederemo continuamente se ogni dialogo sia andato davvero così o se gli eventi si siano susseguiti realmente nello stesso modo in cui vengono raccontati. Persino il motivo per cui i due amanti siamo interrogati dalla polizia (sicuramente un fatto di sangue) è accuratamente tenuto all’oscuro e farsi avanti in una storia sempre più torbida accresce il senso di intrigo e di inquietudine nello spettatore, insieme al desiderio di volerne sapere ancora di più e cogliere più indizi possibili per cercare di risolvere il mistero.

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Se il mettere in forse la realtà oggettiva si rivela l’espediente chiave per sorprendere lo spettatore e tenere alta la tensione, la tresca tra i due protagonisti stuzzica l’attenzione e il latente voyeurismo del pubblico, curioso di sapere fino a che punto i due amanti si spingeranno e se verranno scoperti dai rispettivi coniugi. Tra i due traditori, interpretati da Ruth Wilson (Luther) e Dominic West (The Wire),c’è un’ottima alchimia ed entrambi appaiono perfettamente calati nella parte, anche se, al momento, la Wilson risulta molto più convincente nell’interpretare una donna distrutta dal dolore e in cerca di qualcosa di diverso, moralmente discutibile, segretamente eccitante, che la aiuti a scappare da una vita che è come una ferita mai rimarginata e che non accenna a voler andare avanti. Dei loro comprimari –  Joshua Jackson (Dawson’s Creek e Fringe, se ci fosse bisogno di presentarvelo) nei panni del marito cowboy Cole e Maura Tierney (E.R.) nel ruolo della moglie ricca e maniaca del controllo Helen – si può dire ancora poco, relegati come sono a comparse quasi sempre disturbanti per i loro partner, ma crediamo e speriamo che il loro ruolo cresca e cambi la sua natura con il proseguire degli sviluppi nella vicenda.

the affair family

The Affairè una serie ottimamente interpretata e un ancora più ottima regia, studiata nei minimi particolari, dove ogni scena e dialogo necessitano di tutta la nostra attenzione per non perdere nessun dettaglio e contraddizione che possano aiutarci a seguire il filo della vicenda; ne consegue un ritmo appositamente decelerato, con lunghe scene di significativi silenzi carichi di angoscia e tensione e una struttura pensata per dare il massimo risalto ai discorsi dei personaggi. Non è una di quelle serie con cui rilassarsi mentre vi passate lo smalto sulle unghie né da guardare dopo una giornata di lavoro che vi ha reso uno straccio, dato che l’effetto narcotizzante è dietro l’angolo, ma se guardata con il dovuto interesse basterà davvero poco per esserne catturati.

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Il dramma familiare si colora dei toni del crime e, con i suoi dieci episodi, The Affair sembra avere tutte le carte in regola per dare vita a una stagione intensa e ricca di sorprese, capace di dosare la giusta quantità di suspense di episodio in episodio in modo che nulla trapeli troppo e il dubbio si instilli nello spettatore, sottile ma persistente. Non resta che guardare The Affair e attendere di scoprire quale direzione la serie prenderà tra le infinite strade a disposizione. Sperando sia quella buona.

Due cose due

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(***)

Cos’è Due cose due? La nuova rubrica di Una Fragola al Giorno. Un appuntamento ogni due settimane, con due segnalazioni per ogni categoria: Libri in uscita, Cinema, Eventi e Curiosità. Non si tratta di eventi a cui necessariamente parteciperò e non so se riuscirò a vedere o leggere tutti i libri o film, ma in questa rubrica metterò tutto quello che mi piace e rende più belle, di mese in mese, le mie giornate, sperando magari di esservi di aiuto o ispirazione.

Libri in uscita

I due libri che ho deciso di segnalarvi sono, rispettivamente, di uno dei scrittori che amo di più e di uno degli scrittori che ho più amato in passato:

- Sonno, di Murakami Haruki. Un'illustratrice visionaria e lo scrittore-illusionista per eccellenza si incontrano al confine tra il sonno e la veglia. Uno dei piú bei racconti di Murakami Haruki, in un'edizione accompagnata dagli splendidi disegni di Kat Menschik.

- Smith & Wesson, di Alessandro Baricco. Tom Smith e Jerry Wesson si incontrano davanti alle cascate del Niagara nel 1902. Nei loro nomi e nei loro cognomi c’è il destino di un’impresa da vivere. E l’impresa arriva insieme a Rachel, una giovanissima giornalista che vuole una storia memorabile, e che, quella storia, sa di poterla scrivere. Ha bisogno di una prodezza da raccontare, e prima di raccontarla è pronta a viverla. Per questo ci vogliono Smith e Wesson, la coppia più sgangherata di truffatori e di falliti che Rachel può legare al suo carro di immaginazione e di avventura. Ci vuole anche una botte, una botte per la birra, in cui entrare e poi farsi trascinare dalla corrente. Nessuno lo ha mai fatto. Nessuno è sceso giù dalle cascate del Niagara dentro una botte di birra. È il 21 giugno 1902. Nessuno potrà mai più dimenticare il nome di Rachel Green? E sarà veramente lei a raccontarla quella storia?

Finiti subito in wishlist, saranno sul mio scaffale quanto prima. E si spera presto ne sentirete parlare anche qui sul blog.

Cinema

Non vorrei perdermi due visioni in particolare:

- Interstellar, di Christopher Nolan. Con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, John Lithgow.
In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura. Un gruppo di scienziati, sfruttando un "whormhole" per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, cercano di esplorare nuove dimensioni. Il granturco è l'unica coltivazione ancora in grado di crescere e loro sono intenzionati a trovare nuovi luoghi adatti a coltivarlo per il bene dell'umanità.

- Frank, di Lenny Abrahamson. Con Michael Fassbender, Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scoot McNairy, Lauren Poole, Hayley Derryberry, Mark Hauberman.
Per un giovane aspirante musicista è una fortuna finire a suonare con Frank, o un terribile guaio? Perché Frank non è solo il leader di una band d’avanguardia dal nome impronunciabile, i Soronprfbs. Frank non è solo un genio della musica. Frank ha un vezzo inquietante: porta una gigantesca maschera di cartapesta. Forse è un pazzo, forse un profeta. Ma dopo aver lavorato con lui non sarai mai più lo stesso.

Eventi

- Bookcity Milano. Dal 13 al 16 novembre torna a Milano la quattro giorni dedicata a libri ed editori, organizzata dal Comune di Milano (in collaborazione con il Comitato Promotore, l’AIE (Associazione Italiana Editori), l’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) e l’ALI (Associazione Librai Italiani). Presentazioni, incontri, letture pubbliche, e mostre saranno mostre sparse lungo tutta la città, per la gioia di lettori che si troveranno questo weekend a passeggiare per le strade di Milano. Tra gli ospiti David Grossman, Amoz Oz, Wilbur Smith, Sophie Kinsella, David Nicholls.

- Torino Film Festival. IL TFF è uno dei cinefesival più importanti in questo paese, insieme a quelli di Roma e Venezia. Molto meno glamour ma molta più sostanza: i film presentatati sono 180 e i nomi non mancano. Tra i tanti a non perdere l’anteprima del nuovo film di Woody Allen, Magic in the Moonlight, con Emma Stone e Colin Firth; Wild di Jean-Marc Vallé, il regista di Dallas Buyers Club per intenderci; Whiplash e Cold in July e Turist/Force Majeure, riproposti dopo Cannes; il biopic su Stephen Hawkings La teoria del tutto e The Filth and The Fury, il film di Julian Temple, deidcato ai Sex Pistols. Il TFF vi aspetta dal 21 al 29 novembre.

Curiosità

- Che Gianni Morandi sia un idolo indiscusso del mondo social è ormai un dato di fatto. La sua pagina macina like e commenti da far invidia ai migliori social media strategist. Il segreto, pare, stia tutto nella sua semplicità, nel raccontare le piccole cose, nella comunicaizone diretta e sincera, nel suo ingenuo anacronismo quando usa la parola “autoscatto” invece di “selfie”. Il sito Oltreuomo Magazine ha analizzato il fenomeno da un altro punto di vista: voi lo vorreste un uomo come Gianni? Ecco allora i 10 buoni motivi per fidanzarsi con Gianni Morandi.

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- Secondo voi è più bella Parigi o New York? Per rispondere al quesito il regista Franck Matellini ha realizzata un corto che mette a confronto le due città, in un parallelismo che lascia scoprire tutto il fascino delle due metropoli e che finisce per mettere una gran voglia di visitare entrambe.

 

Alla prossima!

*** Copertina work in progress

Recommendation Monday: Consiglia un libro di uno scrittore nato a novembre

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Buon lunedì! Il Recommendation Monday di questa settimana è dedicato agli scrittori sotto il segno dello scorpione:
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Ne ho parlato qualche giorno fa sulla pagina Facebook e quindi ho deciso di dedicargli anche il nuovo RM. Si tratta di uno degli scrittori americani più influenti del Novecento, di cui purtroppo ho letto finora solo un libro, forse uno dei più importanti del XX secolo, una lettura che mi colpì molto per il suo raccontare un evento duro e difficile, come il bombardamento di Dresda e la Seconda Guerra Mondiale, attraverso gli schemi e i linguaggi, insoliti per le vicende narrate, della fantascienza. Un libro che è come un piccolo macigno che ti si pianta nel cuore, perché a distanza di anni non si può fare a meno di pensare all’orrore che Vonnegut, che lo aveva vissuto di persona, ci racconta con un sarcasmo e un umorismo nero capaci, se è possibile, di rendere ancora più terribile ciò che accade tra quelle pagine. Un libro difficile ma bellissimo. Si parla di Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut, nato l’11 novembre 1922. 

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Buona settimana!

Una Fragola al cinema: Interstellar

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Il nuovo film di Christopher Nolanè probabilmente anche uno dei più chiacchierati dell’anno. Che a chi è piaciuto e chi no, chi non l’ha capito e chi crede di aver capito tutto, chi contesta le inesattezze scientifiche e fisiche sparate dal film e chi si crogiola nella sua beata ignoranza per godersi lo spazio e Matthew McConaughey in pace. Interstellarè un lungometraggio fantascientifico che conduce lo spettatore nello stupendo e allo stesso tempo terrificante spazio infinito, ma si profila anche come un commovente viaggio all’interno dell’animo umano, capace di  rivelarsi anch’esso meravigliosamente privo di limiti.

 

interstellar locandina

 

 

 

 

Titolo: Interstellar
Regia: Christopher Nolan
Anno: 2014
Paese: USA
Cast: Matthew McConaughey, Anna Hathaway,
Jessica Chastain

 

 

 

 

 

 

 

L’inizio del film, c’è da ammetterlo, è un po’ lentino e mille anni luce dall’ambientazione spaziale che il titolo suggerisce. Nel futuro la Terra sarà un pianeta ormai privo di risorse e minacciato dalla “Piaga”, un non meglio specificato evento apocalittico che ha portato il genere umano a trasformarsi in un popolo di “guardiani”, con l’unico compito di proteggere quel poco che è rimasto: quasi l’intera superficie terrestre è stata convertita in enormi campi di grano, mais e ocra, mentre la maggior parte della popolazione è formata da agricoltori. Tra questi c’è Cooper, un tempo ingegnere aerospaziale e astronauta, ora coltivatore nella sua fattoria, dove vive con i suoi due figli e il padre della moglie ormai scomparsa. Eppure, Cooper non riesce a dimenticare il tempo in cui gli uomini guardavano al cielo spinti dalla curiosità di quello che c’è oltre e trasmette il suo amore per la scienza e il piacere della scoperta ai suoi figli, in particolare la piccola Murph. Sarà proprio grazie all’intelligenza e all’acuto spirito osservazione della figlioletta che Cooper scopre la verità: la NASA esiste ancora e sta mettendo a punto un piano per salvare l’intera umanità attraverso un wormhole che porta lontano verso nuove galassie e un nuovo futuro. Attraverso un vero e proprio viaggio della speranza nello spazio, Cooper riacquista se stesso e sembra riprendere in mano un’esistenza che sembrava segnata da una società soffocante e destinata a morire: l’uomo sa che qualcosa va fatto, comprende che quella è la causa giusta per tornare finalmente a vivere, non solo lui ma la sua intera specie. Eppure il distacco dalla famiglia è lacerante e il legame con quello che è il suo pianeta, il cuore pulsante della sua natura, pienamente simbolizzato dal rapporto viscerale con la figlia, che arriverà a trascendere ogni tempo e spazio, emergerà forte e doloroso, controverso e difficile, ma sarà anche il filo da seguire per raggiungere un domani possibile.

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Interstellar è un film che vuole dire molte cose, al punto che quasi  tre ore sembra non bastino. Nolan si diverte ancora una volta a giocare con il tempo e la mente umana e fa scendere in campo la relatività e la fisica dei quanti (pur con parecchie inesattezze che hanno fatto storcere il naso a molti, ma davvero, se avete voglia di precisioni scientifiche guardatevi un documentario e poche chiacchiere) per realizzare il suo viaggio al centro dell’umana natura. Perché, nonostante Interstellar si presenti come un film dedicato a una grande avventura nello spazio più profondo a milioni di anni luce, in realtà siamo davanti a un film profondamente umano e ancorato al pianeta di cui siamo abitanti. Nella figura di Cooper, interpretato da un ormai sempre bravissimo Matthew McConaughey, si alternano il desiderio tipicamente umano di viaggiare, fuggire, andare lontano, scoprire cosa si nasconde oltre il vialetto di casa, un desiderio che lo porterà ad accettare senza alcuna esitazione una missione ad alto rischio di insuccesso, con un istinto che tutti ben conosciamo, quel sentimento inspiegabile e innato che ci spinge a riconoscere una casa, a coltivare e mai troncare un legame con le nostre radici, il cui pensiero ci accompagna nel nostro girovagare, un filo che unisce cuore con cuore e che determina il nostro essere: tutti abbiamo un luogo e qualcuno da cui vogliamo tornare. Nolan ci mette il sentimento nel descrivere il rapporto struggente tra Cooper e la figlia Murph, e non c’è niente che può meglio descrivere il dolore del distacco e la gioia del ritorno se non lo scorrere del tempo: il suggestivo concatenarsi di momenti e sbalzi temporali, che restano lì come monoliti della nostra memoria e si fanno dimensione sensoriale, mettono in evidenza tutta la struggente forza di legami impossibili da spezzare.

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Nolan, però, non dimentica la componente Sci-Fi del film. Basandosi sul trattato del fisico Kip Thorpe, il regista costruisce la sua idea di apocalisse e di “odissea” nello spazio, mostrandoci la sua personale visione della spinta verso l’alto insita nell’uomo, la sua pretenziosità nel considerare questo pianeta come una casa costruita appositamente per lui e che lì fuori, tra le stelle, ci sia una nuova soluzione a tutti i problemi, lo slancio evolutivo che si scontra l’amara presa di coscienza di essere dei puntini nell’universo immenso indifferente alla nostra sorte. Lo fa avvalendosi di una gloriosa tradizione del cinema di fantascienza, da Solaris a 2011 Odissea nello spazio di Kubrik, a cui non mancano omaggi e citazioni durante tutto il film. Nonostante gli echi e i richiami innegabili, l’audacia dei contenuti e la grandiosità della sua produzione – con effetti speciali spettacolari e una fotografia dal leggero gusto vintage ma capace di stupire lo spettatore con vivida energia – rendono Interstellar un progetto decisamente attuale e dalla marca creativa originale.

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Per quanto riguarda il cast, accanto a McConaughey – per il quale non si risparmiamo lodi e continui moti di sorpresa di fronte a una bravura di cui nessuno si era accorto, men che meno lui – troviamo attori di tutto rispetto come Anna Hathaway,Michael Caine e la bellissima Jessica Chastain, mentre ci accorgiamo a poco più della metà del film dell’arrivo in scena di Matt Damon, che nella parte del cattivo di turno convince poco e lascia un segno facilmente dimenticabile. I loro personaggi si muovono, quando non sono su navi e stazioni spaziali, all’interno di paesaggi mozzafiato solo all’apparenza alieni ma assolutamente terrestri: Canada e, in particolare Islanda, Paese la cui strepitosa bellezza sembra davvero appartenere a un’altra galassia.

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Un film che confonde, inquieta, affascina, dove il tempo diventa specchio per riflettere verità recondite, mentre il buio dell’universo proietta le nostre paure più grandi. Interstellarè il lodevole tentativo di Nolan di affrontare temi più riflessivi e complessi, come quello della natura umana e della sua condizione nell’universo, attraverso linguaggi e strumenti popolari. Il film può allora essere visto come una grande operazione commerciale, il super blockbuster che allieta la platea con effetti speciali e avventure incredibili, ma anche come uno sguardo che scava nel profondo dell’animo umano per poi allargarsi man mano che il punto di vista si allontana, per abbracciare l’immensità che ci circonda. Come se un alieno ci stesse osservando per studiare dinamiche, interazioni e reazioni emotive. Quell’alieno, in fin dei conti, siamo noi ed è come guardarsi per la prima volta davvero.

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Voto: 8

 


Serie tv: The Best, The Worst, The Most… [St. 3 Episodio 4]

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Dopo quasi un mese di silenzio causato da molteplici sfighe personali, finalmente torna la rubrica con il meglio e il peggio della serialità televisiva. In queste ultime settimane è successo di tutto, ma cercherò di focalizzarmi solo sugli ultimi episodi andati in onda e darò il mio saluto alle prime due stagioni concluse dell’anno, entrambe britanniche. Come sempre ATTENZIONE SPOILER!

 

The Best:Homeland 4x07 e 4x08 – Redux e Halfway to a Donut

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Da un paio di anni l’andamento di Homeland si dimostra essere schizofrenico quasi quanto la sua protagonista. Un mese fa proprio in questa rubrica mi lamentavo del fatto che la serie, senza Brody, stesse prendendo una direzione piuttosto fiacca e deludente. Ma come l’anno scorso, quando la terza stagione era apparsa per buona parte fiacca e confusionaria per poi riguadagnare terreno verso le battute finali, anche quest’anno, arrivati al settimo e ottavo episodio, la serie di Showtime ci regala momenti intensi e scene al cardiopalma. In Redux gli autori ci fanno una sorpresa capace di farci andare fuori di testa come neanche Carrie. La nostra agente della CIA, infatti, è vittima di un sabotaggio che ha visto scambiare le sue medicine con degli allucinogeni, i quali le provocano visioni e disagi a non finire. Arrivata a toccare il fondo, non le manca che una visione, talmente realistica che quasi quasi ci crediamo anche noi da casa: Brody, tornato a salvarla. Whaaat?!? Ammetto di esserci rimasta secca. Sapevo che non poteva essere vero, ma la scena è di quelle dal grande impatto e mentre vediamo Brody accarezzare Carrie, che gli chiede perdono per non aver impedito la sua morte, beh ditemi voi come si fa a non commuoversi nemmeno un po’! Brody ci manchi. Punto. Intanto il povero Saulè in mano al nemico di quest’anno, avvenimento che mi ha colpito nel profondo perché io sono sinceramente affezionata al vecchio e barbuto mentore di Carrie e saperlo in pericolo mi ha provocato una stretta al cuore. Considerando poi che tanto lui quanto Carrie sembrano non desiderare altro che sacrificarsi costantemente per  la causa, c’è poco da stare tranquilli. Quando Saul riesce a fuggire e cerca di trovare un rifugio, Carrie non riesce a mantenere la promessa fatta a Saul e di sganciare il drone che ucciderebbe sia i talebani che il suo ex capo. Da parte sua, Saul non lesina ad aggiungere drammaticità alla situazione: dapprima tenta di suicidarsi, senza però trovarne il coraggio e decidendo di affidarsi a Carrie, per poi cadere nella trappola e tornare nelle mani dei talebani. Le sue ultime parole “Che tu sia maledetta!” rivolte a Carrie sono dolorose e cariche di angoscia e mettono ben in evidenza le difficoltà di un rapporto padre-figlia che è sempre esistito tra i due, oltre a lasciare un bel interrogativo che dovrà essere risolto nei prossimi episodi: e ora che si fa?

 

The most…badass butler:Gotham 1x08 e 1x09 – The Mask e Harvey Dent

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A partire dal settimo episodio, finalmente sembra che Gotham stia ingranando. Una svolta che mi rende felice, innanzitutto perché ripaga del fatto di averci speso tempo a seguire la serie e, in secondo luogo, perché credo che la serie abbia diversi aspetti positivi e non mi dispiace affatto. Non tutte le serie possono avere solo trame orizzontali da urlo, quindi ben vengano anche quelle con episodi conclusivi, purché fatte bene. Tutto questo gran giro di parole solo per dirvi che il the most di questa settimana va al mio personaggio preferito di Gotham, dopo il Pinguino, ovvero Alfred il maggiordomo. Quando guardavo il cartone animato di Batman da piccola, Alfred era un vecchio e compassato maggiordomo che attendeva Master Bruce da tutte le sue avventure, sempre pronto a supportarlo come ogni maggiordomo che si spetti. Ho sempre pensato che Alfred fosse molto più sveglio e avesse visto molte più cose di quanto volesse farmi credere. D’altronde non sei il maggiordomo di un supereroe per caso. In Gotham, però, Alfred assume nuovi connotati che danno al personaggio un’immagine insolita e da vero duro. Alfred qui è una guida per il piccolo Bruce, gli fa da padre e mentore oltre a difenderlo da ogni pericolo, e rivela un’anima dura e da combattente, un uomo che sa farsi rispettare e che potrebbe farti passare un brutto quarto d’ora se volesse. Nell’ottavo episodio, andando contro a tutto quello che di solito si vede nei film e telefilm, incita il piccolo Master Bruce a regolare i conti con un bulletto a suon di scazzottate, mentre nel nono episodio Alfred allena in maniera rigorosa Bruce nell’arte del combattimento. Insomma, Alfred è tutto fuorché un impettito maggiordomo dall’accento britannico, non ha problemi a sporcarsi le mani e la sa lunga. E per far cresce il futuro Batman non poteva esserci figura migliore al suo fianco.

 

Special Season Finale:Doctor Who 8x12 – Death in Heaven

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Anche l’ottava stagione di Doctor Who è giunta al suo termine. Una stagione di transizione questa, che ha visto il Dottore cambiare volto, da quello di Matt Smith, che ha interpretato il personaggio per 3 stagioni, a quello di Peter Capaldi, apprezzato attore britannico e grande fan della serie più longeva della tv. Ammetto di essere tra coloro che hanno fatto fatica ad affezionarsi a Capaldi. Così diverso dagli altri dottori che lo hanno preceduto (mi riferisco ala nuova serie e non quella classica), più cupo, scostante, più alieno in molti sensi. Dopo il decimo episodio, come avevo già scritto, qualcosa però è cambiata e Capaldi è diventato ufficialmente il Dottore ed è davvero difficile non adorarlo. Ovvio, quindi, che il finale di stagione fosse atteso con fibrillazione dai fan: il Dodicesimo Dottore si sarebbe trovato ad affrontare due dei sui più grandi nemici, i cybermen e il Maestro, questa volta in versione femminile e con il nome di Missy. Inoltre, si trattava dell’episodio di addio di Clara The Impossible Girl. Tutto faceva presagire un finale coi fiocchi, ma quello che abbiamo visto è stato, in fondo, un finale di stagione sottotono. Io non sono una grande fan di Moffat, almeno sul fronte Doctor Who, e credo che buona parte della responsabilità di questo tiepido risultato sia sua. Partiamo proprio dai due arcinemici, i cybermen e il Maestro. Se i primi vengono ridotti a manichini ormai facili da sconfiggere, indeboliti al punto che un Mr Pink qualunque può continuare a provare emozioni perché “difettoso”, del Maestro che conoscevamo rimane molto poco. Certo, anche Missyè fuori come una pigna, ma il Maestro è un essere che non ha più alcun limite, senza pudore, senza pietà alcuna, ma soprattutto senza più un vero obiettivo e la sua è una crudeltà senza motivi e fini ultimi. In Death in Heaven, invece, Missy dimostra di fare tutto questo per dare al Dottore le chiavi del potere, tutto pur di avere di nuovo il suo vecchio amico e dimostrare al mondo quanto il Dottore sia lontano dall’immagine del salvatore che il mondo conosce. Fortunatamente, un pizzico di crudeltà c’è ancora e lo conferma l’aver dato al Dottore delle coordinate sbagliate per Gallifrey, lasciando il Signore del Tempo di fronte al vuoto cosmico. Oltre ai cattivi snaturati, quello che dispiace sono tutte le domande disattese. Per un segreto rivelato – Missy è la donna che diede a Clara  il numero del Dottore, restano molti interrogativi, come il perché Pink non avesse attivo l’inibitore di emozioni o che cosa Clara volesse dire a Pink prima che questi morisse. Altro particolare con molto poco senso è il ritorno del bambino al posto di Pink dal regno dei morti, sprecando così l’unica possibilità per riunirsi con Clara, ma si sa che la serie cerca sempre di insegnarci qualcosa di buono e quindi meglio sorvolare. E poi: ma questa non doveva essere la stagione in cui il dottore si sarebbe diretto verso Gallifrey? Perché in dodici episodi il pianeta è stato sempre e solo citato e mai realmente cercato. Il finale, però, merita la lacrimuccia. Prima la delusione di Clara nel non vedere tornare Danny e quella del Dottore nel non trovare Gallifrey alle coordinate indicate da Missy, poi l’incontro e il lungo abbraccio tra Dodici e Clara nel triste momento dell’addio. Mi sono commossa e ho pensato che, nonostante tutto, il Dottore è sempre il Dottore e la magia e il fascino di questo show sono intramontabili. Ora non ci resta che attendere lo speciale di Natale come da tradizione. Santa is coming…

 

Special Season Finale:Dowton Abbey 5x08

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Chiudono anche i battenti di Downton Abbey. Il period drama britannico più amato al mondo conclude una quinta stagione forse non tra le più brillanti ma che dimostra tutta la solidità della serie. Personalmente ero molto curiosa di sapere come sarebbe finita per Edith, che nella quarta stagione avevano lasciato in attesa e di nuovo sola, e per Mary, corteggiatissima e sempre più snob. Quest’anno Edith è mamma, di nascosto ma pur sempre mamma e questo amore fraterno la porta a compiere scelte difficili e dolorose. Ho un debole per Edith, un personaggio spesso bistrattato e scarsamente considerato, forse anche per il carattere del personaggio, apparentemente mite ma che nasconde un grande fuoco dentro. Tutto il contrario di Mary, fredda e controllata, la tipica nobile inglese dell’epoca, che però quest’anno ci sorprende con un gesto a dir poco scandaloso per l’epoca: non solo si concede un weekend d’amore con Tony, ma poi decide addirittura di non sposarlo perché non le piace abbastanza. Vi lascio immaginare la faccia di Lady Violet, la mitica Maggie Smith. Ho apprezzato l’aver voluto dare un po’ di spazio in più anche a lei, con il suo tuffo nel passato attraverso la sua storia d’amore con il principe russo, come ho apprezzato il voler raccontarci un po’ di più del povero Tom, che quest’anno si invaghisce della maestrina del paese e per un momento spera di riuscire a coniugare fede socialista con l’immobilità della nobiltà inglese. Ovviamente il tentativo naufraga miseramente e Tom riflette sulla possibilità di andare via da Downton per salpare per l’America… lo farà davvero? Staremo a vedere. Ai piani bassi la vita procede tra gioie e dolori: dal triste tentativo di Tom di “guarire” la sua condizione, all’epoca vista come una malattia e degenerazione alla brutta vicenda di Anna e Mr Bates che non accenna ad avere una fine, quando la polizia nel finale porta via Anna per l’omicidio dello spregevole Mr Green. Intanto Daisy, spinta dall’aria di rinnovamento che il primo governo socialista della storia porta in terra britannica, decide dapprima di migliorare la sua istruzione e poi di pensare anche a un futuro fuori da Downton, anche se il problema principale sarà non far soffrire troppo la povera Mrs Patmore. E infine Carson pare deciso a fare qualche passo per avvicinarsi un po’ di più a Mrs Hughes che saggiamente sceglie di rimanere fissa sulla sua posizione per vedere fino a che punto si spingerà. In definitiva, ciò che continuo ad amare di Downton Abbey è la grande capacità di inserire cambiamenti epocali e innovazione nel costume e nella società che si verificano con lo scorrere degli anni nelle vite quotidiane di un piccolo gruppo di persone a cui è impossibile non affezionarsi. Non è ancora chiaro quale sarà il futuro di Downton Abbey, dato che Fellowes aveva dichiarato che lo show non avrebbe avuto una vita molto lunga, ma per il momento attendiamo l’immancabile speciale di Natale, un classico di cui ormai non possiamo più fare a meno.

 

Per oggi è tutto. Vi lascio con una versione molto freak di Come as you are interpretata dal nostro Lobster BoyEvan Peters. American Horror Story non smette di stupirci e il singolare intreccio tra ambientazione storica e colonna sonora post moderna di quest’anno ha su di me un effetto completamente galvanizzante.

Book Wishlist Inspiration Board: Funny Girl di Nick Hornby

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Questa volta la nostra Wishlist Inspiration Board ci porterà in un viaggio nel tempo verso i mitici Sixties. In compagnia del nuovo libro di Nick Hornby, Funny Girl.

La casa editrice dice:

libro-funny-girlNell’Inghilterra degli anni Sessanta spopola l’attrice televisiva Sophie Straw, ex reginetta di bellezza di un paesino del Nord, che ha cambiato nome e tagliato i ponti con la famiglia per trasferirsi nella Swinging London, inseguendo il sogno di far ridere la gente come la sua eroina, la star americana Lucille Ball. Insieme a lei, l’affiatatissima squadra che lavora alla serie della BBC Barbara (e Jim), di cui Sophie è l’indiscussa protagonista: un cast di personaggi straordinari che stanno vivendo, forse senza esserne consapevoli, la grande avventura della loro vita. Gli sceneggiatori, Tony e Bill, nascondono un segreto difficile da confessare. Dennis, il produttore colto e sensibile, ama il suo lavoro ma odia il suo matrimonio – forse perché è sposato con la donna che detiene il record mondiale di snobismo. Il protagonista maschile, Clive, più bello di Simon Templar e molto vanesio, sente di essere destinato a una carriera di più alto profilo. E Sophie, che si è giocata il tutto per tutto pur di sfuggire alla monotonia della provincia e alla minaccia di un matrimonio senza amore, si troverà a recitare un copione di scena troppo simile a quello della sua vita, e dovrà decidere che tipo di donna essere, e che tipo di uomo scegliere, in un mondo in cui anche le donne sperimentano nuovi ruoli e una nuova libertà.
L’attesissimo romanzo di Nick Hornby racconta una ragazza che vuole puntare sull’ironia, più che sulla bellezza, che vuole fare l’attrice, piuttosto che la soubrette, che vuole essere amata, ma davvero.

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La board dedicata a questo libro è smaccatamente vintage. Ciò che mi ha convinto maggiormente a inserire questo libro in wishlist, oltre al fatto che non leggo Hornby da tempo e che sono in un periodo molto brit, è di sicuro l’ambientazione temporale. Adoro tutto ciò che richiama gli anni ‘60 e le sue atmosfere, tra rivoluzione e scoperta, epoca di conquiste e di una spensieratezza che forse il mondo non recupererà mai più. Per non parlare del lato fashion di quegli anni: lo stile Sixties è tra quelli dal fascino intramontabile, pieno di sperimentazioni e colori e un pizzico di trasgressione capace di rendere la vita più facile da affrontare. Una trasgressione e una determinazione che dimostra  pienamente di avere la protagonista di questo romanzo, la quale scorrazza per le strade di Londra all’inseguimento del suo sogno, sicura di riuscire a realizzarlo. In attesa di leggere il libro, allora, facciamo un bel tuffo nel passato.

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Titolo: Funny Girl| Autore: Nick Hornby| Traduttore: S. Piraccini
Editore: Guanda| Anno: 2014 | Pagine: 384 | ISBN: 9788823509535

Due cose due #2

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Nuovo appuntamento con Due Cose Due: due segnalazioni per ogni categoria: Libri in uscita, Cinema, Eventi e Curiosità. Vediamo cosa ci riservano le prossime due settimane.

Libri in uscita

Questa volta vi segnalo un libro di un altro dei miei scrittori preferiti e una raccolta di racconti in cui si respira l’aria del natale per cominciare ad ambientarsi un po’ con le festività in arrivo il prossimo mese.

- La ballata di Adam Henry, di I. McEwan. «Divino distacco, diabolica perspicacia»: cosí si mormora negli ambienti giudiziari londinesi a proposito di Fiona Maye, giudice dell'Alta Corte britannica in servizio presso la litigiosa Sezione Famiglia. Sposata da trentacinque anni con lo stesso uomo e senza figli, il giudice Maye ha dedicato tutta la sua carriera alla composizione di dissidi sanguinosi spesso giocati nella carne di chi un tempo si è amato. Battaglie feroci per l'affidamento di figli non piú condivisi, baruffe patrimoniali, esplosioni d'irrazionalità cui il giudice Maye oppone un paziente esercizio di misura e sobrietà nella convinzione di «poter restituire ragionevolezza a situazioni senza speranza». I casi su cui è chiamata a pronunciarsi popolano i giorni e ossessionano le notti di Fiona, calcandone la coscienza. Forse la rendono piú sfuggente, distratta. Sarà dunque a questo che si deve l'oltraggiosa richiesta di suo marito Jack? «Ho bisogno di una bella storia passionale», un «ultimo giro» extraconiugale con la ventottenne Melanie, esperta di statistica. Umiliata, ferita, «abbandonata agli albori della vecchiaia», Fiona cerca rifugio, come d'abitudine, nel caso successivo. È quello di Adam Henry, violinista dilettante, poeta in erba, diciassette anni e nove mesi, troppo pochi per decidere autonomamente della propria vita o della propria morte. Adam è affetto da una forma aggressiva di leucemia che richiede trattamento immediato. I genitori del ragazzo e il minore stesso, Testimoni di Geova, si oppongono alla trasfusione di sangue che lo salverebbe. Del suo futuro deve decidere la corte, il giudice Maye, che, in deroga all'ortodossia, sceglie di stabilire un contatto diretto. E incontrando il ragazzo reale che si cela dietro il nome Adam Henry, scopre un essere sul ciglio dell'abisso e però sorprendentemente appassionato della vita.

- La leggenda della rosa di Natale di S. Lagerlöf.Il buio dell’inverno svedese, il Natale con le sue leggende, il Värmland, terra di laghi e di poeti, con le sue grandi distese naturali, il costante richiamo alla semplicità dei suoi abitanti, la nostalgia di antichi ricordi: queste sono le atmosfere che si respirano nella nuova raccolta di racconti della narratrice svedese, premio Nobel nel 1909, “la più grande scrittrice dell’Ottocento”, secondo Marguerite Yourcenar. Ritorna la fascinazione di Selma Lagerlöf per le semplici storie senza tempo che richiamano l’incanto dei sogni e delle fiabe: il miracolo della notte di Natale nella foresta di Göinge, le avventure del suonatore di violino di Ullerund, la leggenda della miniera d’argento. Storie solo all’apparenza ingenue, ma che presto rivelano l’abilità della scrittrice nel variare ritmi, creare colpi di scena, insinuare arguzie, usare il candore e la delicatezza, il potere suggestivo della sua scrittura come un velo ironico per la sua sapiente esplorazione dei meccanismi più sottili dell’animo umano.

 

 

 

Cinema

Non vorrei perdermi due visioni in particolare:

- Magic in the Moonlight, regia di Woody Allen, con Eileen Atkins, Colin Firth, Marcia Gay Harden, Hamish Linklater, Simon McBurney.
Berlino, 1928. Wei Ling Soo è un celebre prestigiatore cinese in grado di fare sparire un elefante o di teletrasportarsi sotto gli occhi meravigliati di un pubblico acclamante. Ma dietro la maschera e dentro il suo camerino, Wei Ling Soo rivela Stanley Crawford, un gentiluomo inglese sentenzioso e insopportabile che accetta la proposta di un vecchio amico: smascherare una presunta medium, impegnata a circuire una ricchissima famiglia americana in vacanza sulla riviera francese. Ospite dei Catledge sulla Costa azzurra e sotto falsa identità, si fa passare per un uomo d'affari; Stanley incontra la giovane Sophie Baker ed è subito amore. Ma per un uomo cinico e sprezzante come lui è difficile leggere dietro alle vibrazioni di Sophie un sentimento sincero. Un temporale e il ricovero della zia adorata, faranno crollare il razionalismo e le resistenze di Stanley: il soprannaturale esiste eccome e si chiama amore.

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- Quadrophenia regia di Franc Roddam, con Phil Daniels, Leslie Ash, Philip Davis, Mark Wingett, Sting.
Londra, anni sessanta. I mods e i rockers, le due principali giovanili a cui si aggregano i ragazzi britannici, si preparano al gran giorno in cui si scontreranno tra loro, alla spiaggia di Brighton, senza esclusione di colpi. Jimmy è un mod duro e puro, veste un parka e guida una lambretta, ascolta rhythm and blues e cura il proprio taglio di capelli. Dentro di sé la rabbia è pronta ad esplodere, alimentata dall'odio per un mondo incapace di comprenderlo.

 

Eventi

- Più libri più liberi. Roma, dal 4 all’8 dicembre. 400 editori, oltre 300 eventi e 5 giorni di esposizione ti aspettano al Palazzo dei Congressi dell'Eur: torna Più libri, più liberi, la  fiera dedicata alla piccola e media editoria nata nel 2002 con l’intento di dare maggiore visibilità quelle case editrici spesso oscurate dai gruppi più grandi e forti. La fiera è ormai un evento ben consolidato nel panorama degli eventi culturali di questo genere, creando una vetrina d’eccezione nel pieno centro di Roma. Numerosi ospiti tra esperti del settore e narratori, tra cui uno spazio crescente è riservato agli scrittori stranieri rappresentati da Björn Larsson, Céline Minard, Percival Everett, Andrei Kurkov, senza dimenticare illustratori come Zerocalcare, Makkox e Gippi che avranno ampio spazio nelle quattro giornate della fiera. Se potete, non perdetevi Più libri più liberi. http://www.piulibripiuliberi.it

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- Festival dei popoli. Firenze dal 28 novembre al 5 dicembre. Il principale festival internazionale del film documentario in Italia si tiene nella sua 55^ edizione a Firenze, organizzato dall’associazione Festival dei Popoli, impegnata da oltre cinquanta anni nella promozione e nello studio del cinema di documentazione sociale. Otto sezioni per 83 documentari, che trattano vari argomenti di attualità, dai pirati in Somalia alla storia della casa di moda Dior, dalla storia del’attivista ucraino Oksana Shacko al mondo acquatico delle Isole del Borneo. Non mancano nomi importanti come quello di John Malkovich, in veste di regista teatrale in Le Paradoxe de John Malkovich. http://www.festivaldeipopoli.org/

 

Curiosità

- La pista ciclabile ispirata a Van Gogh. Nella città di Neuenen, situata nella stessa regione che ha dato i natali a Vincent Van Gogh, è stata realizzata una pista ciclabile high tech che si ispira alla Notte stellata, la celebre opera dell’artista olandese. L’energia solare alimenta migliaia led disposti a formare figure curve e concentriche, ispirate alle famose pennellate del dipinto. La pista ciclabile luminosa è opera dell’artista Daan Roosegaarde, che ha voluto rendere omaggio a Van Gogh e allo spirito autentico del luogo. L’effetto è di quelli magici e indimenticabili. http://www.dezeen.com/2014/11/12/daan-roosegaarde-van-gogh-bicycle-path-glowing-patterns-nuenen-netherlands/

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- Supereroi fiamminghi. Il fotografo francese Sacha Goldberger ha realizzato una serie di foto raffiguranti i più famosi supereroi dei fumetti in un’inedita versione, ovvero con abiti e accessori dei soggetti dei quadri dei pittori fiamminghi tra Quattrocento e Settecento. Il progetto si intitola Super Flemish e rappresenta il tentativo di Golbberger di riappropriarsi dei personaggi dell’infanzia e di riportarli a un periodo che fece da fondamento per l’arte occidentale. Al progetto hanno partecipato 110 persone fra modelli, costumisti e grafici e fra i soggetti rappresentati vi sono eroi come Batman, Hulk, Spiderman a anche personaggi di Star Wars come Chubecca, Darth Vader e C3PO.

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Per vedere le altre foto: http://www.ilpost.it/2014/11/21/super-flemish-sacha-goldberger/super-flemish-2/

Alla prossima!

Serie TV: The Best, the worst, the most… [St. 3 Episodio 5]

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Appuntamento con la rubrica settimanale del meglio e peggio delle serie tv più amate. Settimana fiacca, molte serie erano in pausa per il Thanksgiving e altre sono andate in vacanza dopo il classico episodio di metà stagione. A tal proposito, ma non vi sembra che i midseason di quest’anno stiano arrivando troppo presto? A ogni modo, come sempre ATTENZIONE SPOILER!

The Best:Gotham 1x10 – LoveCraft

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Finalmente anche Gotham appare tra i best di questa rubrica. Devo ammettere che quasi non ci speravo più: dopo il primo episodio esplosivo, che ci aveva parecchio entusiasmato, Gotham ha avuto subito una botta di arresto, con puntate autoconclusive in pieno stile Bruno Heller deludenti e poco sensate, dato che lo schema “un episodio - un freak” non funziona molto se a contrapporsi non c’è il supereroe Batman ma il povero ordinario Jim Gordon. Anche se, con il senno di poi, appare chiaro che l’intento fosse dimostrare la frustrazione di questo giovane detective di belle speranze di fronte a una città spietata come Gotham e caricarlo della giusta rabbia esplosa proprio negli ultimi episodi, decisamente sopra la media. Dal settimo in poi, la trama si fa finalmente più orizzontale, i nodi vengono al pettine e ci si occupa più di quello che poi dovrebbe essere il fulcro di tutta la serie: la nascita e formazione di un eroe. Bruce Wayneè, infatti, sempre più presente nelle ultime settimane e, sebbene siano veloci e brevi accenni, i riferimenti alla sua vita prima di essere Batman, come gli allenamenti con Alfred o l’incontro con Selyna/Cat, rinsaldano l’intreccio e la serie ne guadagna di senso e coerenza. Si arriva così al midseason di questa settimana. Alfred si conferma il mio personaggio preferito: qualcuno mette in pericolo la vita di Master Bruce e lui inizia a sparare colpi a destra e manca, parla di amici poco raccomandabili lasciati a Whitechapel, mostrandoci un passato tutt’altro che facile per il maggiordomo, e  non lo fermano neanche i proiettili, pronto a tutto pur di salvare il suo padroncino. La tenerezza infinita ma anche tanta badass attitude, come abbiamo avuto modo di dire la scorsa settimana. Sempre a proposito di Bruce, il ragazzino se ne va in giro per la città con Selyna e fa anche incontri curiosi come quello con la piccola Ivy, già parecchio squilibrata per la sua età. In questa occasione Bruce si dimostra quel ragazzino sensato e giudizioso che credevamo essere, e non poteva essere altrimenti, ma la visione di ciò che accade davvero a Gotham, fuori da suo guscio protettivo, rappresenta una lezione di vita che è come un tassello andato a inserirsi in quel mosaico che è il suo futuro da supereroe. Intanto Jim non ce la fa più e sbotta. Dopo aver inseguito due sicari ninja per tutta la citta, si trova invischiato in un incidente spinoso che puzza tanto di complotto alle sue spalle. Sarà l’espediente che porterà il detective a essere trasferito come semplice guardia al famoso Arkham Asylum, nido di formazione dei più temibili nemici di Batman, e che ci mostra come, per diventare il commissario che conosciamo, la strada di Gordon sia stata tutta in salita e irta di ostacoli. Gotham, insomma, sembra aver imboccato una strada ricca di risvolti interessanti che potrebbero finalmente portare la serie a un livello superiore e renderla più simile al prodotto che ci eravamo immaginati all’inizio di questa avventura. Bene, bravi, continuate così.

The most… explosive episode:Homeland 4x09 - There's Something Else Going On

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Boom! Ecco. Tipo che sono rimasta a fissare lo schermo per un trenta secondi buoni prima di togliere lo streaming spegnere il pc. Episodio ad alta tensione quello di questa settimana con Homeland che, come abbiamo già avuto modo di dire, sta cercando di farsi perdonare un inizio piuttosto confusionario e altalenante con puntate adrenaliniche. Per carità, che ci fosse qualcosa dietro questo fin troppo pacifico scambio di prigionieri era chiaro come il sole già da un paio di episodi e in fondo, gli americanz, sempre troppo sicuri di sé, dovevano prevedere un’imboscata. Eppure in Homeland è sempre difficile capire davvero chi, cosa, quando. Resti lì, con l‘asia che ti attanaglia mentre l’inquietudine sale, insieme a un pensiero fisso in testa “C’è qualcosa che non va, qualcosa non quadra…” che le paranoie di Carrie sono nulla a confronto. E infatti si finisce con il botto in tutti i sensi. Tremo al pensiero di chi sia rimasto vittima e mi preparo a una valle di lacrime. E a proposito di lacrime, ma quando sofferta e commovente è stata la scena tra Carrie e Saul? Niente, anche questa volta Homeland è riuscita a trasformarmi in un involtino di feels… come non amare questa serie?

 

E per questa settimana è tutto. Vi lascio in compagnia di Sophie e una delle sue perle. Buona visione.

Una Fragola al Mese – Novembre 2014

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Novembre è appena terminato e prima di tuffarci a pieni polmoni nell’atmosfera dicembrina e natalizia, facciamo un bel riepilogo del mese trascorso.
Ed è novembre. I pomeriggi sono più laconici e i tramonti più austeri. Novembre mi è sempre sembrato la Norvegia dell’anno.
Emily Dickinson
I Libri di Novembre

Novembre è stato un mese così pieno di sfighe che ho passato la metà del tempo a rattristarmi e con tutti i pensieri che avevo, la voglia per leggere non era poi molta. Spero tanto di recuperare durante le feste! A ogni modo, non sono rimasta sprovvista di compagnia libresca neanche questo mese, tanto che quando mi hanno rubato la borsa (una delle sfighe del mese) l’unica cosa che mi è rimasta a parte il telefono è stato proprio il romanzo che stavo leggendo, a cui sono ormai legata come quei superstiti di incidenti e disavventure che ne hanno passate tante insieme:

- Nemico, amico, amante… di A. Munro. Primo incontro con la scrittura del premio Nobel e con i suoi racconti. Tutti al femminile, per la maggior parte ambientati in un’epoca che appare lontana ma i sentimenti e le emozioni provate dalle protagoniste sono più attuali che mai ed è difficile non ritrovare se stesse, un tassellino alla volta, in tutte le donne che popolano i racconti che compongono il libro. Ve ne parlerò meglio e presto (spero!)

Acquisti & co. Questo mese assolutamente zero. Ma intanto sto valutando un acquisto più consistente per dicembre, soprattutto dopo aver visto volatilizzarsi il mio iPad insieme alla mia borsa (ah, non vi avevo detto che era una sfiga bella grossa?) con il quale leggevo gli e-book. Insomma, l’intenzione di comprami un e-reader c’era già da un po’, ma ora si fa pressante. E a voi amici chiedo un consiglio: Kindle o Kobo? Attendo i vostri commenti!

Faccio cose, vedo gente…

Le sfighe non mi hanno fermato dall’andare a Milano in gita per vedere la mostra di Van Gogh - L’uomo e la terra. Che voi direte: “Ma Van Gogh lo vedi dappertutto, Parigi, Amsterdam, New York…” e voi magari non avete tutti i torti, non era certo la prima volta che mi trovavo di fronte a un dipinto del pittore olandese, anche di più belli e famosi. Eppure la mostra in Esposizione a Palazzo Reale merita di essere visitata ed è capace di dare vita a emozioni del tutto nuove.  La chiave di lettura della mostra è insolita, molto più vicina al Van Gogh uomo, nato e cresciuto nelle zone rurali dell’Olanda, che al pittore che tutti conosciamo. Il percorso presentato è un intimo e suggestivo viaggio nel mondo contadino dell’epoca e nel legame tra l’uomo e la terra che Van Gogh tenta di indagare con la sua opera, soprattutto nei primi periodi della su attività di pittore. Un rapporto, quello con il mondo contadino, con il contrato tra la fatica del lavoro dei campi e la bellezza della natura libera di esprimersi incontrastata, che Van Gogh porterà con sé in tutte le sue fasi: i primi disegni realizzati in Olanda, nei luoghi della sua infanzia, fino agli ultimi capolavori dipinti nei pressi di Arles.

Camminando per le sale della mostra, ciò che colpisce dei dipinti, al di là del loro valore e della bellezza incomparabile di alcuni di essi, è la sensazione di intimità che emanano, insieme all’idea di raccoglimento e di un attaccamento, fisico e spirituale, del pittore nei confronti dei paesaggi e delle figure ritratte. Quasi come se Van Gogh avesse voluto fissare per sempre le sue radici in quei quadri, che diventano principio non solo della sua storia umana ma anche del suo viaggio di artista. In essi confluisce intatto il legame profondo con le origini, l’affetto per alcuni dei personaggi raffigurati (come Ritratto di Joseph Roullin), il ricordo di un passato familiare che lo accompagnerà per tutta la vita, formando non solo un porto sicuro in cui rifugiarsi quando il confronto con la realtà sembrerà sopraffare il pittore e sarà necessario ristorare il proprio animo per trovare un po’di pace, ma anche un crogiuolo di ispirazioni e idee su cui plasmare sperimentazioni e dare forma alla propria visione del mondo. I colori meravigliosi di quadri come “Paesaggio con covoni di grano e luna che sorge” provengono proprio da questo percorso dalla terra al cielo, ed è incredibile come dipinti così luminosi nascondano una natura tormentata e sull’orlo di un baratro inevitabile. Incompreso dai sui contemporanei, oggi Van Gogh è uno dei pittori più famosi e amati al mondo e grazie a questa mostra, che raccoglie opere provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, dal Van Gogh Museum di Amsterdam, dal Museo Soumaya-Fundación Carlos Slim di Città del Messico, dal Centraal Museum di Utrecht e da collezioni private normalmente inaccessibili, possiamo godere delle sue opere e librarci con lo sguardo sui suoi paesaggi mozzafiato, tra distese dorate di grano e campi di lavanda, che ci raccontano una storia dai tratti commoventi e malinconici, ma anche dalla bellezza fulgida e potente. Avete tempo fino all’8 marzo per ammirarli.



Il video del mese
I The Jackal sono dei mostri e ogni loro video è non solo attesissimo ma è anche l’ennesima conferma della loro genialità e il talento nel fare satira su quello che ci è più vicino, sugli aspetti della vita di tutti i giorni in cui riconoscersi sempre. Per Anno Uno, con cui il gruppo di video maker collabora, il mese scorso hanno realizzato questo dissacrante video che racconta, a modo loro, la difficile realtà del mondo del lavoro, soprattutto per i giovani che combattono tutti i giorni per trovare un posto in questa società. E se, un giorno, proprio quando hai rinunciato a cercarlo, il posto di lavoro trovasse te? 



La musica che mi frulla in testa

Questo mese ho ascoltato e ascoltato ancora Ed Sheeran, in particolare Thinking Out Loud. Lui è bravissimo e la canzone è la ballad ideale per questo periodo. Tanto love.


E a proposito di momenti di relax, voi la conoscete la playlist “Un tè un libro” di Spotify? Se la risposta è negativa, correte ai ripari.





Non mi resta che augurarvi buon dicembre!

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